Veneto, la Regione propone tagli continui alla cultura, e il settore si mobilita


In Veneto la scure dei tagli rischia di abbattersi sulla cultura, in una regione che è già agli ultimi posti in Italia per spesa in cultura. E il settore ha cominciato a mobilitarsi.

“Siamo riusciti a far diventare la cultura un tema finalmente, hai capito?” a parlare è Filippo Tognazzo, attore e regista, tra gli animatori di RES - Rete Spettacolo dal vivo, una delle tante realtà nate nel 2020 che oggi stanno costringendo le istituzioni della Regione Veneto e il dibattito pubblico a fare i conti con la situazione del settore culturale regionale. “Fare della cultura un tema”: potrebbe sembrare una banalità, a chi non conosce la realtà locale (in tutta Italia la Cultura è più o meno marginalizzata) eppure ciò che sta accadendo in Veneto in queste settimane ha ben pochi precedenti nella storia regionale recente.

La vicenda ha inizio il 9 novembre scorso, quando nella sesta commissione consiliare della Regione (che si occupa di cultura e istruzione), in un’audizione riguardante il bilancio 2022 alla presenza di diversi rappresentanti del mondo culturale regionale, si comunicano tagli lineari per circa il 20%: dai 14 milioni del 2020 ai 9 per il 2022. Non doveva essere una comunicazione particolarmente problematica, da parte di chi aveva deciso i tagli: il Veneto non ha un’assessore alla cultura (la delega alla cultura è all’assessore al territorio e alla sicurezza Cristiano Corazzari), è sempre stato agli ultimi posti in Italia per investimenti nel settore, con 3,5 euro a persona (la Toscana ne spende 8,66), e non ha mai avuto grandi problemi a tagliare su un settore che è stato abituato a lavorare con le briciole, o con la spesa privata (gli incassi dei biglietti, a cui possono accedere solo alcuni comparti). Solo nel 2017 lo stanziamento per la valorizzazione dei beni e delle attività culturali era di 32,7 milioni di euro, poi sceso nel 2018 a 29,1 milioni e nel 2019 a 20,6 milioni, fino ai 17,1 milioni del 2020 (dato previsionale): ovvia anticamera a un ulteriore taglio. Ma qualcosa in quella commissione è andato storto, come raccontano alcuni dei presenti. La pandemia aveva portato le realtà del settore a organizzarsi, da una parte, e dall’altra aveva portato una maggiore consapevolezza del ruolo economico e sociale del settore, ma anche delle migliaia di persone che lì lavorano. Ma non solo. Già prima del lockdown, nel 2019, aveva visto la luce una legge regionale per la cultura, che avrebbe dovuto entrare in vigore nel 2022 e che avrebbe finalmente creato, come in altre regioni, degli standard per ottenere finanziamenti pubblici anche per le realtà non partecipate dalla Regione stessa. Tagliare, non investendo nulla su quella legge, l’avrebbe resa inefficace. I fondi, tolti alla cultura, avrebbero dovuto essere stanziati per le televisioni private. Ma non è andata così: alcuni dei presenti in commissione, a partire da AGIS, il sindacato di settore, ma anche da alcuni consiglieri regionali di minoranza, sono insorti. L’assessore Corazzari ha lasciato la discussione (parlando di un impegno di lavoro) e il giorno dei tagli parlavano tutti i giornali locali. 

Venezia, Palazzo Balbi, sede della giunta regionale del Veneto
Venezia, Palazzo Balbi, sede della giunta regionale del Veneto

Nei giorni seguenti i dati fioccavano: il Veneto, penultimo in Italia per spesa in cultura, taglia ancora. “Non è una novità in assoluto. Succede da anni. [...] Ma tagliare le risorse vuol dire rendere vana la riforma normativa introdotta con la Legge 17/2019 che AGIS ha voluto e costruito assieme all’Assessorato alla Cultura. E ci sono voluti 7 anni! Ma dopo 7 anni, la carenza di risorse mette tutto in discussione e noi siamo più che preoccupati; non ci soffermiamo sulle cifre (che comunque sono importanti) ma ricordiamo che il confronto con le altre Regioni è impietoso”: così il 9 novembre reagiva il presidente di AGIS Triveneto Franco Oss Noser. Ma non era solo. Consiglieri regionali, organizzazioni e associazioni del mondo dello spettacolo, fondazioni e musei, ma anche personalità illustri come Andrea Pennacchi, Natalino Balasso o Andrea Segre prendevano parola contro l’azione della Regione. 

Una settimana dopo, i tagli non solo venivano ritirati, ma si aggiungeva un milione in più rispetto al bilancio del 2020. La maggioranza in consiglio regionale celebrava il fatto con orgoglio. “Come anticipato già nei giorni scorsi”, scrivevano in una nota il 17 novembre i consiglieri leghisti Villanova, Scatto e Sandonà, “abbiamo ripristinato oltre 4 milioni di euro da destinare alla Cultura. Un atto dovuto che dimostra ancora una volta l’importanza assegnata da questa amministrazione ai nostri beni artistici e culturali”. La presidente della sesta commissione Francesca Scatto, che si era spesa anche personalmente per l’obiettivo, diceva: “Abbiamo mantenuto l’impegno e siamo soddisfatti per l’attenzione che l’assessore (al bilancio ndr) Calzavara ha posto reintroducendo i capitoli di spesa e destinando un milione per l’attuazione della legge sulla Cultura ma anche 400mila euro per l’Identità veneta”. Mentre l’assessore Calzavara rivendicava che “di fatto (con l’emendamento) si parte con un bilancio di previsione già pari a quello licenziato dalla precedente legge di bilancio”. In effetti senza dei malesseri anche interni alla maggioranza su questi ulteriori tagli al settore, una retromarcia così repentina non avrebbe potuto avere luogo. Ma, come notano gli attivisti che si sono spesi nella lotta ai tagli, ritornare ai livelli del 2020 significa comunque restare su stanziamenti del tutto inadeguati e, inoltre, quanto stanziato ora è quasi interamente dedicato alle partecipate regionali (Biennale, Arena di Verona, Fenice, Teatri stabili…) senza nulla o quasi che arrivi al resto del settore. 

Qui inizia la parte della storia meno attesa. Eliminati i tagli, il settore culturale non si è fermato. Già il 17 novembre le opposizioni PD, con Giacomo Possamai e Vanessa Camani, spiegavano che “il vero obiettivo, sancito dalla Sesta commissione e dal Consiglio, è aumentare i fondi, invece, a oggi, c’è lo stesso bilancio di previsione triste sottofinanziato dell’anno scorso”, mentre la consigliare Elena Ostanel, della lista civica Il Veneto che Vogliamo annunciava che “la mobilitazione è servita ma non è finita qui. Nei prossimi giorni lanciamo comunque la campagna di artisti, maestranze, sindacati e operatori che vogliono puntare all’obiettivo finale: aumentare i fondi”. E così è andata. Una petizione che chiede di tornare almeno allo stanziamento del 2017 (30 milioni) lanciata pochi giorni fa ha superato le 1500 firme, e i promotori sono pronti ad aumentare le azioni mediatiche e di protesta. “Stiamo ottenendo il sostegno di artisti e volti noti” spiega Ostanel, che si dice fiduciosa nell’aumento dell’attenzione sul tema “basterebbe fare come il Piemonte, regione a trazione leghista e simile al Veneto anche per abitanti. Lì la Regione stanzia 84 milioni per la cultura. Però ribadisco: la battaglia sulla cultura non è di destra o di sinistra. È di tutti”.

Il Veneto rispetto ad altre regioni ha in realtà meno disponibilità di fondi “liberi”, svincolati dagli stanziamenti statali, da destinare alla cultura, perché ha scelto di tenere più basse (evitando l’addizionale IRPEF) le tassazioni per i redditi alti. Ma questo non impedisce di tornare agli stanziamenti di pochi anni fa. Il 6 dicembre inizia la discussione sul bilancio regionale, che sarà votato pochi giorni dopo. E per la prima volta lo si farà in un contesto in cui sia il settore, sia la cittadinanza, sono consci del fatto che, senza un cambio di passo, ci saranno 18 regioni italiane che spenderanno più del Veneto per la cultura, dai 346 euro a persona della Val d’Aosta ai 3,57 euro (poco più del Veneto) della Lombardia. Nonostante, con orgoglio, la regione si presenti come la più turistica d’Italia e, a detta dello stesso governatore regionale Luca Zaia, la cultura (già oggi, nonostante investimenti così ridotti) rappresenti “il 5% del PIL regionale e il 6% dell’occupazione”: dunque non si capisce perché investirci solo lo 0,001% del bilancio.


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Leonardo Bison

L'autore di questo articolo: Leonardo Bison

Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.





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