Una statua di una donna in Prato della Valle a Padova? Sarebbe la prima volta: infuoca il dibattito


A Padova da alcuni giorni è nato un dibattito molto acceso sulla possibilità di erigere una statua a una donna in Prato della Valle, la piazza che rappresenta anche il pantheon laico della città. Sarebbe la prima: adesso ci sono 78 statue tutte di uomini.

Ci sono volte, di cui si parla troppo poco, in cui le Soprintendenze accelerano i lavori. Ci sono volte in cui contribuiscono a scatenare un dibattito difficilmente immaginabile anche solo pochi mesi prima. A Padova, dal 27 dicembre, i giornali locali, ma anche accademici e ormai anche semplici cittadini, discutono moltissimo di una statua… che non c’è. Quella di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (Venezia, 1646 – Padova, 1684), prima donna laureata al mondo, in Prato della Valle, o meglio, quella che due consiglieri comunali di maggioranza, Margherita Colonnello e Simone Pillitteri, hanno proposto di erigere a Cornaro Piscopia, prima con una mozione in consiglio (23 dicembre) e poi con una conferenza stampa il 27 dicembre presso i due plinti vuoti presenti nella piazza. “Questa è la storia di una proposta che è ancora un sogno. Vogliamo che ci credano in tante e tanti, per fare di Padova una città delle donne e per rendere il nostro Prato un monumento vivo, che custodisce il passato ma rimane aperto, come auspicavano i suoi ideatori illuministi, al progresso e al futuro”, scriveva Colonnello sui social il 28 dicembre.

Sì, perché anche se si notano poco, in Prato della Valle a Padova ci sono 78 statue, 8 obelischi e… due plinti vuoti. Il progetto di riqualificazione della piazza, che prima era, appunto, un Prato, si deve ad Andrea Memmo (Venezia, 1729 – 1793), che decide di circondare l’isola artificiale che oggi prende il nome di Memmia di statue che celebrino i grandi interpreti della storia cittadina. Nella seconda piazza più grande d’Europa, si trova quindi una sorta di pantheon laico cui la città di Padova è legatissima. Il progetto originale prevedeva però 88 statue, ne erano state costruite 86 ma al passaggio delle truppe francesi che seguì la caduta della Repubblica di Venezia sei statue di dogi furono abbattute. Spostamenti e rimaneggiamenti portarono all’assetto attuale, datato agli anni Quaranta del XIX secolo, in cui in maniera non simmetrica statue si alternano a obelischi, usati come sorta di riempitivo, e a due plinti vuoti. Le vicende successive (1848, guerre d’indipendenza, nascita del Regno d’Italia) portarono quell’assetto fino ai giorni nostri. La fase storica, caratterizzata dalla rimozione delle figure femminili che hanno caratterizzato la storia della scienza e arte, spiega perché Cornaro Piscopia non sia effigiata nella piazza a differenza di diversi colleghi meno illustri, e anche meno noti alla comunità padovana.

Padova, Prato della Valle
Padova, Prato della Valle
Artista ignoto, Ritratto di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (XVIII secolo; olio su tela; Milano, Biblioteca Ambrosiana)
Artista ignoto, Ritratto di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (XVIII secolo; olio su tela; Milano, Biblioteca Ambrosiana)
La statua di Elena Cornaro Piscopia all'Università di Padova
La statua di Elena Cornaro Piscopia all’Università di Padova

L’assenza di Elena Cornaro Piscopia dalla pletora di statue di Prato della Valle era nota a pochi addetti al settore ma più o meno ignorata da larga parte della cittadinanza. La proposta forse sarebbe stata relegata alla marginalità fino a poco tempo fa, ma gli eventi degli ultimi mesi, in particolare il dibattito creatosi intorno all’inaugurazione della prima statua femminile a Milano, poi della criticatissima Spigolatrice di Sapri, poi alla pubblicazione dei risultati del censimento nazionale dei monumenti femminili e della mappa conseguente a cura dell’associazione Mi Riconosci, hanno creato un humus evidentemente favorevole (l’assenza di statue legate a figure femminili realmente esistite nelle principali città venete veniva diffusa dai giornali locali il 21 dicembre). Sta di fatto che non solo la proposta dei due consiglieri ha ottenuto immediatamente grande visibilità, ma pochi giorni dopo, senza alcuna richiesta formale del Comune in essere, il soprintendente Fabrizio Magani si è espresso sui giornali favorevolmente (“Inserirla nel pantheon delle glorie venete contribuirebbe a dotare la città di un nuovo modello di ispirazione e sarebbe coerente con la ragione per cui anche le altre statue si trovano lì”), pur con una proposta diversa da quella dei due consiglieri, quella di realizzare una statua dedicata a una donna contemporanea, realizzata da un artista padovano.

A quel punto il dibattito, come prevedibile, ha preso una piega accelerata e improvvisa, perché gli osservatori contrari all’intervento confidavano in uno stop da parte della Soprintendenza, che invece ha spalancato le porte.

Già prima della inattesa mossa del Soprintendente, Carlo Fumian, docente di storia, scriveva su Facebook il 29 dicembre un post molto duro: “si propone il costoso e altrettanto bizzarro progetto di piazzare una copia fuori contesto per motivi un po’ trendy ma culturalmente inconsistenti. Non facciamoci prendere dal delirio di abbattere o spostare statue. Fare la storia con la toponomastica e lo spostar monumenti come fossero Lego è un gioco pericoloso e poco intelligente”. Ignorando tuttavia il fatto che la copia per i proponenti era solo una delle possibilità messe in campo dai proponenti.

Davide Tramarin, storico dell’arte ed ex segretario del PD padovano, sempre il 29 dicembre scriveva che “prima ancora di sollecitare la Soprintendenza su un progetto così estemporaneo [..] mi appello ai consiglieri comunali affinché approccino con la necessaria sensibilità l’idea di votare e richiedere, da parte della città, un intervento del genere che, solo in apparenza, pare semplice e con un ammirevole portato di sensibilizzazione in tema di pari opportunità, ma che in realtà è profondamente sbagliato e irrispettoso nei confronti della storia e del ‘valore materiale’ di uno dei monumenti più rappresentativi e importanti non solo di Padova, ma d’Italia e d’Europa”.

Il 2 gennaio il Mattino, il principale giornale locale, in un articolo in prima pagina faceva raccolta di questi pareri, aggiungendone altri, che finivano per essere, però, tutti contrari e tutti espressi da uomini, tranne uno, quello dell’architetto Camillo Bianchi che però proponeva in realtà tutt’altro: una scultura contro il femminicidio. Parere favorevole l’aveva espresso sullo stesso giornale Vincenzo Milanesi, docente di filosofia ed ex rettore, scrivendo il 31 dicembre che si trattava di una proposta “carica di valenze positive” che “senza indulgere alla “cancel culture” di moda, anzi quasi in controtendenza rispetto ad essa, alla nostra storia intrisa di maschilismo giustappone, senza demonizzazioni, un simbolo del grande significato della presenza femminile all’interno di tale storia medesima”.

Onnipresente in queste dichiarazioni illustri il riferimento alla supposta cancel culture, nonostante anche l’unico caso di statua abbattuta negli ultimi due anni in Europa abbia dimostrato ormai da tempo di non avere nulla a che fare con la cancellazione della storia.

Il dibattito non si ferma, anzi esplode. Il 3 gennaio la vicenda assume rilievo nazionale e internazionale, con articoli su La Stampa, Corriere della Sera, il Giornale, ANSA, The Guardian, dopo che anche la rettrice dell’Università di Padova Daniela Mapelli ha preso parola sul tema, dicendosi favorevole all’apertura del dibattito. “È importante che questo dibattito sia partito a Padova”, ha spiegato al Corriere della Sera, aggiungendo che che “L’argomento è molto più ampio e va al di là della singola statua”. Ma sulla scelta di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia anche la rettrice ha qualche riserva: “La sua statua l’abbiamo già nel nostro ateneo e quella è la sua casa. Per il Prato della Valle non si deve pensare necessariamente a lei. È giusto che nella scelta venga coinvolta la città intera”.

In un comunicato stampa rilasciato nel pomeriggio del 3 gennaio, anche la sezione padovana dell’associazione Mi Riconosci, in qualche modo corresponsabile del dibattito creatosi, ha espresso la sua opinione. “Avere un pantheon cittadino solo maschile ha un impatto sulle nostre vite e sul nostro immaginario collettivo, non possiamo negarlo”. Le attiviste notano che il regolamento di Prato della Valle del 1776 vietava di avere statue di santi, persone viventi e persone che non avessero legami con la città, ma non ha mai vietato di rappresentare donne, cosa che quindi si potrebbe fare senza contraddire le volontà degli ideatori della piazza. Attraverso le parole dell’attivista e storica dell’arte Cristina Chiesura, tra le promotrici del censimento sui monumenti femminili, l’associazione spiega che l’idea di spostare una statua o istallare una copia di quella che oggi si trova nel Palazzo sede dell’Università non li trovI favorevoli: “[Elena Cornaro] si troverebbe tra l’altro, in quel modo, a essere l’unica statua seduta in mezzo a statue in piedi”, e aggiunge “non crediamo neppure che ci si debba concentrare intorno a una sola statua e una sola figura femminile: vero è che, senza nulla togliere alle varie figure effigiate in Prato della Valle, stride moltissimo la sua assenza, ma siamo certe della necessità di avviare un ragionamento più ampio sul Prato” nella sua interezza. L’associazione propone una serie di dibattiti pubblici sul tema.

Il dibattito sul Mattino di Padova del 2 gennaio 2022
Il dibattito sul Mattino di Padova del 2 gennaio 2022

Alessio Mazzaro, artista padovano e attivista di Art Workers Italia, l’associazione dei lavoratori dell’arte contemporanea, ha un’esperienza in progetti partecipati, e definisce l’idea di intervenire su Prato della Valle “sensata, anche il tempismo e il clima politico appaiono favorevoli”, tuttavia è preoccupato dalla piega che sta prendendo il dibattito: “si rischia un miscuglio dannoso, una contrapposizione tra aggiungere e abbattere che non esiste”. Mazzaro sottolinea come in queste condizioni non basterà fare assemblee cittadine, ma bisognerà dare gli strumenti alla cittadinanza per capire cosa sta succedendo in Italia e nel mondo, per evitare un dibattito viziato da pregiudizi che rischiano di trascinarlo su lidi di contrapposizioni poco legate alla realtà della proposta e delle esigenze cittadine.

Con gli ottocento anni dell’Università da celebrare, e le elezioni amministrative alle porte, c’è da giurare che questa “battaglia delle statue”, che per la prima volta assume dimensioni simili in Italia, sia solo agli inizi: le opinioni e i pareri si accavallano man mano che passano le ore, ma nel momento in cui scriviamo queste righe, nessuno della giunta comunale si è ancora esposto su tema. Né l’assessore alla cultura, né l’assessore alle pari opportunità, né il sindaco. Ma c’è da aspettarsi che accadrà a breve.


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Leonardo Bison

L'autore di questo articolo: Leonardo Bison

Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.





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