Vado a enumerare i siti Unesco del Veneto: Venezia e la sua Laguna, Vicenza e le ville del Palladio, Verona, Padova (la mia città, che ha due siti Unesco: l’Orto Botanico e, di recente, i cicli di affreschi del Trecento, e quindi una realtà molto conosciuta), le opere di difesa veneziane (cito Peschiera per tutte) che condividiamo con altre regioni e altri paesi del versante dell’Adriatico, le colline del prosecco di Conegliano e Valdobbiadene (di abbastanza recente riconoscimento), e poi anche una serie di siti minori, anche qui in coabitazione con altri, come i siti palafitticoli dell’arco alpino (per esempio il laghetto di Arquà che fa parte di questo circuito). Poi, tra i siti MAB, il Delta del Po, il Monte Grappa e i Colli Euganei. In questo elenco riconoscete anche destinazioni molto importanti: certo, ci sono destinazioni rilevantissime, universalmente conosciute come Venezia, e che quindi sono anche già grandi destinazioni turistiche. Quindi il tema del turismo evidentemente non vale per tutti: il tema è semmai ritornare al concetto di sito Unesco.
Io faccio parte anche del comitato di pilotaggio del sito Venezia e la sua Laguna, e ho incontrato sia prima del covid che dopo il covid la delegazione Unesco e la delegazione Icomos che venivano a fare verifiche perché Venezia era un sito a rischio di uscita: venivano dunque a verificare quali misure venissero intraprese dalla città, perché il problema non è solo l’overtourism, di cui si è parlato tanto, anche troppo forse, a volte anche a sproposito. Il fatto è che la monocultura turistica può portare a una compromissione di una destinazione fragilissima come Venezia, quindi le risposte sono diverse e non stanno nel turismo, stanno nel come trattenere la popolazione, o come cercare nuove opportunità occupazionali che siano compatibili con una realtà come come questa.
L’altro dialogo che ricordo è quello che ho avuto col capo della delegazione Unesco all’epoca del primo tentativo delle Colline del prosecco, quello che non fu accolto: si raccomandò di fare attenzione allo sviluppo turistico, perché la zona è riconosciuta per il suo paesaggio, quindi non dovevamo pensare a strutture ricettive se non in coerenza con questo modello e con questo paesaggio.
Non voglio fare l’anti-turisti (faccio turismo da quarant’anni, ho iniziato facendo promozione, ho gestito una destinazione per molti anni, e il mestiere la promozione lo conosco bene), però oggi il tema, sia per le destinazioni, sia per i siti Unesco maturi, sia per quelli emergenti, è come trovare quell’equilibrio che consenta di consegnare alle future generazioni la fruizione di questo che non è più un patrimonio solo del territorio. Il riconoscimento Unesco non va vissuto come una medaglietta che ci si deve apporre. Certo, si deve essere orgogliosi, ma anche consapevoli di ciò che significa essere siti Unesco. E allora qui faccio una riflessione: da sempre, fin da quando ero direttore dell’Azienda Turismo di Padova e mi raffrontavo con il prefetto dell’Orto botanico di Padova, il più antico orto botanico universitario al mondo rimasto nello stesso luogo, mi confrontavo sul piano di gestione e dicevo di fare attenzione, perché un piano di gestione del sito Unesco, in una città che sia o voglia essere anche destinazione turistica, non può essere avulso da, ad esempio, un piano strategico di destinazione, da un destination management plan.
Io credo (e qualche sforzo lo stiamo facendo, ad esempio con la collega Katia Basili che segue sia a Venezia che Vicenza) che occorra integrare la programmazione strategica di una destinazione turistica con quella del sito Unesco, perché se il tema è quello dell’educazione, della valorizzazione e della consapevolezza allora serve fare iniziative avendo presente che sei sito Unesco e avendo presente che vuoi far fruire il territorio in modo consapevole. Ecco, io credo questa sia la sfida: non c’è una differenza tra siti Unesco già noti, e che già calamitano flussi turistici, e siti emergenti. Il tema vero è la consapevolezza: sempre più con i colleghi che gestiscono anche importanti destinazioni (penso a Luca Caputo che gestisce Verona Garda Foundation) ripetono, e gli operatori non ci fraintendano, che occorre fare sempre meno promozione (certo, ci sono luoghi che hanno bisogno di essere promossi conosciuti) e sempre più organizzazione e gestione, perché il tema vero sta nella qualità dell’accoglienza, nella qualità della fruizione dei luoghi, nel come si approcciano i luoghi e anche nel creare consapevolezza in chi viene a visitarli. A volte si parla anche generalmente di overtourism, ma forse dovremmo dire overcrowding, ovvero sovraffollamento di alcuni luoghi in alcuni momenti: per alcuni siti, come il Delta del Po, non si può parlare di overtourism.
Servono quindi equilibrio e consapevolezza, è necessario organizzare l’offerta, organizzare l’accoglienza, rendere la fruizione del territorio piacevole e davvero idonea per un sito Unesco. Vale per tutti i siti, ma vale a maggior ragione per i siti Unesco. Chi viene a visitare un sito Unesco deve trovarsi bene, come devono trovarsi bene i cittadini che vivono quei luoghi, e quindi serve sempre più (nella gestione del turismo, nella gestione delle destinazioni, nella gestione dei siti Unesco) il coinvolgimento delle comunità ospitanti, il coinvolgimento dei residenti, per far acquisire loro la consapevolezza e l’orgoglio del luogo in cui si trovano e anche per restituire loro il valore che questo luogo esprime, che non è solo appannaggio di chi lo viene a visitare, ma anche di chi lo vive tutti i giorni.
Questo intervento è stato tenuto in occasione del convegno Essere Sito Unesco, organizzato da Finestre sull’Arte alla fiera TTG di Rimini, 9 ottobre 2024.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Stefan Marchioro
Stefan Marchioro unzionario della Direzione Turismo della Regione Veneto dove si occupa di progetti territoriali e governance del turismo.