La domanda da porsi per valutare l’utilità e l’efficacia degli obiettivi e delle iniziative attuati dall’Italian Council è una sola: hanno contribuito realmente ad aumentare la presenza di artisti italiani in musei e rassegne internazionali o hanno solo permesso a artisti, curatori e musei di ricevere finanziamenti per le loro attività?
Nel secondo caso l’utilità è domestica e benefica, ma spesso i progetti sono forzati e indirizzati solo a chi abbia già risorse per ricevere risorse. L’ostatività in alcuni ambiti del cofinanziamento al 20% annulla le buone intenzioni del bando: si premia la qualità del progetto o chi abbia risorse per perfezionarlo? Se si eliminasse il limite del cofinanziamento e si ragionasse solo sui contenuti sarebbe tutto di guadagnato.
Nel primo caso, la verifica di quale utilità abbia avuto l’IC per l’arte italiana all’estero la si può misurare semplicemente osservando la presenza di artisti, curatori o mostre di arte italiana al di fuori dei recinti del bando, al massimo considerando occasioni che il bando avrebbe favorito o provocato dopo di sé.
A sentire le lamentele di molti operatori del settore e a vedere la non rilevante presenza di artisti italiani in biennali (anche nostrane) e mostre internazionali, le conseguenze della promozione dell’IC non sembrano aver sortito particolare effetto.
Le risorse date a pioggia non servono accontentano molti per non accontentare tutti e ancora una volta la tagliola del cofinanziamento premia chi ha già dei capitali (che vengano da gallerie, privati o altri poco importa: oggi l’arte di trovare soldi supera la capacità di saperla fare o ideare progetti validi), senza contare che alcuni criteri andrebbero rivisti. Ad esempio non ha senso finanziare opere che poi finiscono in collezioni italiane se si deve promuovere l’arte italiana “dopo un periodo di promozione all’estero” come indicato nel bando, come se presentando l’opera in un museo straniero (spesso marginale), per poi collocarla in Italia, abbia qualche utilità. Al contrario si dovrebbe finalizzare il progetto alla sola acquisizione o installazione (con conseguente e naturale promozione) presso un museo straniero (per la promozione e il sostegno in Italia in parte c’è già il PAC che assolve questa funzione).
Di seguito alcune cose che, nello specifico, si potrebbe cercare di evitare, ma che sono state puntualmente fatte nel corso degli anni (i casi riportati di seguito, pur meritori, sono del tutto esemplificativi e non ad personam ovviamente):
premiare per due anni di fila lo stesso artista seppur in ambiti differenti (Diego Marcon 2023 e 2024); assegnare più premi a uno stesso museo nello stesso ambito durante lo stesso anno (Madre e Museion nel 2024 o Mambo nel 2022) e assegnare tre finanziamenti nello stesso ambito e nello stesso anno a uno stesso editore (NERO nel 2021); premiare progetti riguardanti artisti già molto noti e affermati a livello nazionale e internazionale, praticamene storicizzati, sostenuti dalle più grandi gallerie del mondo e presenti in musei di ogni continente, che non avrebbero bisogno quindi della promozione dell’IC (Pier Paolo Calzolari, Giuseppe Penone, Alberto Garutti, Salvo, Paolo Icaro, Emilio Isgrò, Francesco Vezzoli e via dicendo); sostituire la tappa espositiva museale estera con la sede di un Istituto Italiano di Cultura all’estero o assegnare premi di qualsiasi tipo a musei che hanno risorse “illimitate” (Madre, Rivoli, MAXXI, Mart) rispetto a musei i cui budget annuali non equivalgono al premio stesso. Ricerche poi su temi quali la “decolonizzazione al Nord della Svezia” o le pratiche degli artisti indigeni della Nuova Zelanda” (2024) o “la nuova scena alternativa drag e club kids in centro e sud America” (2023), per quanto innovative e senza dubbio originali, sembrano fin troppo esotiche e specialistiche per un bando di promozione di talenti che non sia di ambito strettamente universitario. Senza contare che in alcuni casi il partner culturale del progetto comunicato ufficialmente dalla direzione generale non si ritrova nel colophon della pubblicazione finale (si veda Palazzo Collicola di Spoleto assente dal colophon del catalogo del bando vinto da Anna Scalfi Eghenter nel 2022 col Tiroler Landesmuseen di Innsbruck). Inoltre l’occasionalità e le tempistiche del progetto (di anno in anno) inducono a credere che la maggior parte dei progetti fossero già in essere e che la partecipazione al bando IC sia stata solo una risorsa (ulteriore o fondamentale poco importa) di finanziamento, ma non di provocazione del progetto.
Se l’intento è di dare a tanti per non scontentarne molti e offrire la speranza (illusoria?) che lo Stato sostiene l’arte e la ricerca artistica contemporanea in Italia (secondo la logica del dare a pioggia) forse l’obiettivo è raggiunto: ma a che e a chi serve? Se invece si vuole promuovere la ricerca e la valorizzazione dell’arte italiana fuori d’Italia non sembra questo il modo migliore.
Preferibile che si convogliassero queste risorse per promuovere, in importanti musei o istituzioni stranieri, una mostra come Italy: the new domestic landscape del 1972 curata da Emilio Ambasz al MoMA o The Italian Metamorphosis 1943-1968 del 1994 curata da Celant al Guggenheim di New York, forse avrebbe più senso. Ma servirebbe un impegno in termini di preparazione, politica culturale, ricerca e studio molto più esteso di un anno. E lo stesso dicasi per produzione di opere, pubblicazioni o ricerche. Ma tutto è migliorabile…
Questo contributo è stato pubblicato originariamente sul n. 25 della nostra rivista cartacea Finestre sull’Arte on paper, erroneamente in forma ridotta. Clicca qui per abbonarti.
L'autore di questo articolo: Marco Tonelli
Marco Tonelli (Roma, 1971), critico e storico dell’arte. Dopo la laurea in Storia dell’Arte presso l’Università La Sapienza di Roma (1996), ha conseguito il diploma di Specializzazione in Archeologia e Storia dell’arte (2000) e un Dottorato di Ricerca in Storia dell’Arte (2003) presso l’Università degli Studi di Siena. È stato assessore alla Cultura del Comune di Mantova, caporedattore della rivista Terzo Occhio e commissario inviti della XIV Quadriennale di Roma. Dal 2015 al 2017 è stato direttore artistico della Fondazione Museo Montelupo Fiorentino per cui ha ideato la rassegna Materia Prima e ha curato il progetto annuale Scultura in Piazza a Mantova. Dal 2019 al 2023 è stato Direttore artistico di Palazzo Collicola e della Galleria d’Arte Moderna di Spoleto. Attualmente è Curatore scientitico della Fondazione Progetti Beverly Pepper di Todi. Insegna all'Accademia di Belle Arti di Venezia.