Sì, in Italia sappiamo fare grandi mostre e non solo mostre grandi


Dopo “aridatece la Gioconda”, dopo “le piramidi le hanno costruite gli alieni”, dopo “i depositi dei musei sono pieni di capolavori”, uno dei luoghi comuni artistici più frequenti è “in Italia non si fanno grandi mostre”. Le cose non stanno davvero così. Basta guardarsi attorno. 

Subito un elenco di grandi mostre per rispondere a chi afferma che in Italia non si fanno mostre di qualità: Moroni a Milano, Pierre Huyghe a Venezia, i Preraffaelliti a Forlì, Toulouse-Lautrec a Rovigo, Masolino a Empoli, Pier Francesco Foschi a Firenze, Hendrick ter Brugghen a Modena, El Greco a Milano, Morandi a Milano, Luca Giordano a Firenze, il Perugino a Perugia, Urbano VIII a Roma, Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa a Ferrara. Ovvero, una decina di mostre importanti, serie, rigorose, di medie e grandi dimensioni, che abbiamo potuto vedere in Italia nell’ultimo anno. E di sicuro ne sto dimenticando diverse, ma non importa: penso che già questa lista sia sufficiente per sfatare il mito di un’Italia in cui le mostre rilevanti sono rare eccezioni, rispolverato ieri da Vincenzo Trione in un fondo sul Corriere. “Due minuti di lettura”, avverte la versione online del giornale: due minuti per leggere un Trione che, senza fare neppure un esempio, lamenta la presunta esistenza di “evidenti differenze tra il sistema delle mostre organizzate in Italia e il modello francese”. Scopriamo peraltro oggi che esisterebbe un modello espositivo francese fatto di rassegne “progettate con largo anticipo, curate da studiosi con una solida esperienza, esito di anni di ricerche, rigorose e, insieme, sorprendenti, con quadri provenienti da importanti collezioni internazionali”. Ovvero, gli stessi presupposti su cui erano fondate le mostre dell’elenco sopra (a parte Pierre Huyghe che non dipinge e quindi non esponeva “quadri”).

I casi allora sono due: o in Italia seguiamo da tempo un modello francese senza saperlo, oppure Trione sta dando in pasto ai suoi lettori uno dei tanti luoghi comuni dell’arte. Dopo “aridatece la Gioconda”, dopo “le piramidi le hanno costruite gli alieni”, dopo “i depositi dei musei sono pieni di capolavori”, dopo “l’Italia potrebbe campare solo di turismo”, possiamo aggiungere tranquillamente, alla lista degli evergreen del qualunquismo artistico, il sempiterno “le mostre italiane sono peggio di quelle francesi”. Per Trione, vale la stessa risposta che avevamo dato qualche mese fa a Nicola Lagioia, che s’era prodotto nelle stesse considerazioni: rimandiamo il lettore a quell’articolo per sapere se in Italia le mostre fanno davvero così schifo.

La novità, ammesso che di novità si possa parlare, è che per Trione la dicotomia sembra essere tra le mostre “definitive”, come le chiama lui (o mostre “imperdibili” per usare un altro suo aggettivo), e le “mostriciattole”, ovvero gli “eventi prêt-a-porter” condannati “a essere consumati nell’indifferenza”, che “ripropongono le solite celebrities senza svelarne lati poco indagati, presentando opere per lo più provenienti da un’unica fonte”. Quali siano non è dato sapere, l’articolo di Trione non ne indica neanche mezza: il lettore si contenti del responso e, se proprio vuole, che indaghi per conto suo. Ma esiste davvero un dualismo tra mostre “imperdibili” e “mostriciattole”, senza niente nel mezzo? Se davvero occorre essere così rigidi e ammettere un’unica suddivisione tra progetti imperdibili e progetti scadenti, allora forse vale la pena farsi una domanda: in quale categoria va collocata la versione XL della Venere degli stracci che Trione, in qualità di curatore, ha somministrato ai napoletani lo scorso anno? Personalmente, ho serie difficoltà a ritenerlo un progetto definitivo o imperdibile. Quindi, se le cose stanno così, direi che il cerchio si restringe...

La mostra del Perugino del 2023, con lo Sposalizio della Vergine prestato dal Musée des Beaux-Arts di Caen
La mostra del Perugino del 2023, con lo Sposalizio della Vergine prestato dal Musée des Beaux-Arts di Caen

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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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