Se un robot realizza un'opera (venduta a un milione di dollari): è davvero arte?


Ai-Da è un robot umanoide dotato di una sofisticata intelligenza artificiale progettata per produrre opere visive: una sua opera è stata venduta a oltre un milione di dollari. Possiamo davvero considerarla arte? Una riflessione di Federica Schneck.

Nel momento in cui Ai-Da Robot ha compiuto l’impresa di realizzare un’opera d’arte, un’opera (Portrait of Alan Turing) che è riuscita a essere venduta per oltre 1 milione di dollari, ci siamo subito trovati di fronte a una delle manifestazioni più audaci della nostra epoca. Ma in che misura possiamo considerare questo dipinto “arte” o, più ancora, un gesto artistico? E soprattutto, che cosa significa acquistare una creazione che non ha un autore umano, ma un’intelligenza artificiale che esegue comandi programmatici?

Ai-Da è un robot umanoide dotato di una sofisticata intelligenza artificiale, progettata per interagire con il mondo e produrre opere visive attraverso un processo che riproduce in qualche modo quello di un artista umano. Dotata di telecamere nei suoi occhi, Ai-Da “osserva” e “interpreta” il mondo circostante, creando immagini che vanno oltre la mera riproduzione meccanica.

I suoi lavori, seppur tecnicamente impressionanti, pongono interrogativi profondi sulla natura dell’arte e sul ruolo dell’intelligenza artificiale in questo campo. In un’epoca in cui l’autorialità sembra ormai fluida, quale posto occupa una macchina nella nostra definizione di creatività?

Ai-Da Robot (by Aidan Meller), Portrait of Alan Turing (2024; tecnica mista su tela, 162,5 x 230 cm)
Ai-Da Robot (by Aidan Meller), Portrait of Alan Turing (2024; tecnica mista su tela, 162,5 x 230 cm)

A prima vista, potremmo rispondere con facilità: l’arte è sempre stata espressione umana, e dunque Ai-Da non è che uno strumento, un mezzo attraverso cui l’uomo ha scelto di esprimersi. Ma questa risposta, pur legittima, lascia aperti interrogativi: quando l’intelligenza artificiale diventa così sofisticata da essere in grado di produrre opere uniche, come quelle di Ai-Da, possiamo ancora parlare di un processo che esprime l’intenzione umana? E se sì, quale ruolo ha l’artista umano in questo caso?

Ai-Da, infatti, non è solo una macchina che replica modelli preesistenti, ma è anche una creatura che “impara” e interpreta in modo autonomo il mondo, spesso con risultati imprevedibili. Nel contesto di un mercato che premia sempre più l’originalità e la novità, il fatto che un’opera d’arte creata da una macchina venga venduta per un valore così elevato ci obbliga a confrontarci con il concetto stesso di valore artistico. È l’opera ad essere valutata per la sua estetica e il suo contenuto, o è la sua origine che ne determina il prezzo? La vendita per oltre 1 milione di dollari solleva una riflessione sul mercato dell’arte contemporanea: la crescente presenza delle tecnologie sta forse generando un cambiamento nei criteri di valutazione? L’intelligenza artificiale, che un tempo sembrava un campo lontano dalla creatività artistica, è ormai diventata uno strumento di sperimentazione visiva e, in questo caso, persino di affermazione nel mondo dell’arte.

Ai-Da Robot con un suo autoritratto. Foto: Wikimedia/Leemurz
Ai-Da Robot con un suo autoritratto. Foto: Wikimedia/Leemurz

Ma, tornando alla figura di Ai-Da, che tipo di rapporto c’è tra l’artista che ha progettato il robot e l’intelligenza artificiale che lo anima? Se Ai-Da crea un dipinto, è giusto attribuirle la paternità dell’opera, o il vero autore è colui che ha programmato la macchina? In questo scenario, l’artista diventa forse un ingegnere, un architetto di mondi digitali, e non più l’ispirato creatore di emozioni. Ai-Da, d’altronde, non ha un’anima, non prova sentimenti, né possiede una coscienza. Eppure, i suoi dipinti suscitano reazioni. Cosa accade quando la macchina fa emergere una bellezza che, in fin dei conti, ha un’origine non umana? Le emozioni provate dall’osservatore sono quindi autentiche, o sono un riflesso di ciò che attribuiamo alle macchine nella nostra costante ricerca di significato?

Queste domande sono essenziali, ma forse più essenziale è il fatto che Ai-Da, attraverso il suo operato, ci sta costringendo a rivedere le categorie che ci hanno accompagnato per secoli: l’idea di autore, di originalità, di emozione, e perfino di umanità. Ci siamo forse illusi che l’arte fosse solo un dominio umano, e oggi la macchina, che copia ma al contempo reinterpreta, ci invita a riconsiderare la nostra concezione di creatività e di bellezza.

L’arte di Ai-Da è, forse, una riflessione su noi stessi. Forse non stiamo guardando solo le sue opere, ma anche una rappresentazione della nostra capacità di innovare, di adattarci a un mondo sempre più invaso dalla tecnologia. In ogni caso, la vendita dell’opera di Ai-Da per oltre 1 milione di dollari non è solo una notizia di cronaca, ma un segnale del cambiamento in corso. Se l’intelligenza artificiale è in grado di produrre opere d’arte che meritano un tale valore, la domanda rimane: siamo pronti ad accettare che l’arte possa essere, in parte, anche un prodotto dell’ingegno di una macchina?


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Federica Schneck

L'autrice di questo articolo: Federica Schneck

Federica Schneck, classe 1996, è curatrice indipendente e social media manager. Dopo aver conseguito la laurea magistrale in storia dell’arte contemporanea presso l’Università di Pisa, ha inoltre conseguito numerosi corsi certificati concentrati sul mercato dell’arte, il marketing e le innovazioni digitali in campo culturale ed artistico. Lavora come curatrice, spaziando dalle gallerie e le collezioni private fino ad arrivare alle fiere d’arte, e la sua carriera si concentra sulla scoperta e la promozione di straordinari artisti emergenti e sulla creazione di esperienze artistiche significative per il pubblico, attraverso la narrazione di storie uniche.



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