Dopo la parentesi estiva, dopo il Salone del mobile e la Design week, con un po’ di timore per eventuali possibili nuove restrizioni, MIART apre i battenti in presenza con poco meno di 150 gallerie, di cui la maggior parte italiane, come era facile prevedere, e si inaugurano eventi e mostre nei vari spazi di Milano.
Si entra con un senso di attesa e di moderata speranza che questa edizione rappresenti una “rinascita”.
L’allestimento lineare e arioso degli stand aiuta una visita calma, meditata, e consente un’osservazione delle opere decisamente più slow, rispetto alle affluenze che tutti ricordiamo prima del lungo periodo di astinenza e di lunghe telefonate a cui ci siamo sottoposti per mantenere una parvenza di normalità.
Beninteso: la pandemia ha solo squarciato prepotentemente il velo di una crisi di sistema che da molto tempo si era manifestata in tutti gli ambiti culturali, definita “crisi” anche se in realtà vera recessione, con il dominio delle aste a livello internazionale e una forbice sempre più ampia tra un collezionismo attento e rigoroso e l’ansia di accaparrarsi i “brand”, qualsiasi cosa essi producano, per quelli definiti “billions”, i super ricchi sempre più ricchi che comprano al telefono opere di artisti che costano come i calciatori, forse anche di più.
Eppure, con la consapevolezza acquisita che riconosce mondialmente i nuovi mercati, in questa fiera si ha la possibilità di ammirare vere e proprie “chicche”, curiosità, e interessanti lavori di importanti artisti “storici”, decisamente presenti in misura superiore rispetto ai “contemporanei”. Anche la relazione fra oggetti di design di qualità, dipinti, sculture e installazioni è ben condotta, in quel rapporto di reciprocità che anche nella design week si è visto. Interessante, infine, la diversità nell’uso di materiali e tecniche, ad ampio raggio, con sorprese avvincenti per artisti non proprio popolari, oggi, e che invece meritano di essere riscoperti.
Al di là degli esiti che mi auguro di grande soddisfazione per i galleristi (una fiera è sempre una fiera), personalmente, così come è stato per il fuori salone una settimana fa, questo momento di incontri e di opere dal vivo mi riempie di fanciullesca felicità. Sì, perché non se ne poteva più, almeno per quel che penso io, di video spesso amatoriali che descrivevano i percorsi delle mostre, con relativo focus sul singolo lavoro, con la voce recitante fuori campo e non, che avevano affollato i nostri pc nei mesi precedenti. Certo, era l’unico modo di far sapere di esistere, anche se il tempo per vedere le opere non può essere solo pre-stabilito da una videocamera con allagata spiegazione delle varie poetiche, in una sorta di intimismo percettivo simulato.
Auguriamoci tutti che sia davvero l’inizio della ripresa, con Art Basel alle porte (nonostante si paventi il divieto di accesso per i vaccinati con Astrazeneca) e che la cultura possa fare un balzo in avanti per la soddisfazione collettiva di tutti gli addetti ai lavori. Certo, niente sarà, forse, come prima, ma chissà che non sia una buona notizia.
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