I privati sono partner importanti dei musei, ma i musei non devono perdere la loro identità


Come rendere efficace il rapporto tra privati e pubblici nella gestione dei musei? Ecco in che modo potrebbero evolvere questi accordi: l'opinione di Adele Maresca, presidente di ICOM Italia.

Il concorso dei privati nella gestione dei beni culturali è ormai acquisito come un punto fermo, ma nel tempo sono mutate notevolmente condizioni e prospettive. Non mi soffermerò qui sul sostegno dei privati come mecenati o sponsor; vorrei proporre invece alcune riflessioni sulla partecipazione diretta dei privati, a diverso titolo, nella gestione dei musei. Sembrano passati anni luce dalle accese discussioni attorno alla legge Ronchey del 1993 che sancì l’ingresso di imprese commerciali e cooperative nei musei per attivare servizî accessorî, poi esteso progressivamente a funzioni “essenziali” come l’educazione, l’organizzazione di mostre temporanee, la comunicazione. Tuttavia ancor’oggi posizioni pregiudiziali di chiusura verso le esternalizzazioni o verso nuove forme di governo come le fondazioni non giovano a un’analisi serena di benefici e criticità riscontrate, né alla ricerca di soluzioni possibili.

Le finalità iniziali del coinvolgimento dei privati erano quelle di migliorare l’offerta museale e “alleggerire” le amministrazioni pubbliche di compiti per i quali non esistevano competenze interne, che richiedevano flessibilità organizzative nell’impiego del personale, capacità imprenditoriali, dotazioni tecnologiche adeguate, ma il criterio guida era la convenienza economica, la possibilità di acquisire dall’uso di spazi pubblici e dai ricavi derivanti dagli stessi servizî, risorse finanziarie aggiuntive da reinvestire in attività “più nobili”.

Non si può negare che questo processo abbia prodotto un ammodernamento complessivo dei nostri musei, a partire dai sistemi di accoglienza, di informazione, di orientamento e comfort del visitatore, conseguito anche grazie all’adeguamento funzionale degli edifici, assicurato da finanziamenti pubblici straordinarî, e dal rinnovamento degli allestimenti. Esso, inoltre, ha dato impulso alla produzione editoriale scientifica e divulgativa e ha favorito lo sviluppo di iniziative ed eventi che hanno ampliato l’audience e l’attrattività.

Naturalmente, accanto a questi aspetti positivi, sono emerse anche criticità e in qualche caso conflitti, causati per lo più da erronee valutazioni della sostenibilità economica delle concessioni da parte delle imprese, da una ripartizione non chiara dei ruoli e responsabilità nei bandi e nei contratti, dal mancato coinvolgimento dei privati nelle scelte di fondo e nella ricerca di soluzioni per fronteggiare difficoltà inattese. Problemi analoghi si sono riscontrati nei musei locali, ove si è fatto ricorso a società in-house e, sempre più spesso, al global service, con una esternalizzazione totale dei servizî. La riduzione consistente della spesa pubblica dei comuni e la mancanza di turn over del personale hanno reso in alcuni casi inevitabile questo sistema, che rischia di assumere tuttavia la forma di un’abdicazione totale di responsabilità pubbliche quando non siano definite in modo chiaro missione e obiettivi del museo e non siano previste funzioni di programmazione e di coordinamento in capo a figure competenti incardinate stabilmente nelle amministrazioni di riferimento. Un’altra preoccupazione riguarda più in generale la situazione del personale non inquadrato stabilmente nei musei. Il grave, progressivo depauperamento degli organici degli istituti ha portato al coinvolgimento di professionisti culturali, collaboratori individuali o impiegati nelle imprese, con contratti diversi non sempre rispondenti alle loro qualifiche, generando lavoro precario e non fornendo tutele adeguate. Un riequilibrio interno tra l’impiego stabile di professionisti e il ricorso a professionalità esterne (anche per garantire continuità a servizî importanti come quelli educativi) appare necessario, insieme alla definizione di strumenti normativi di garanzia per tutti i lavoratori.

Il bookshop del Colosseo. Ph. Credit Electa
Il bookshop del Colosseo. Ph. Credit Electa


Su tutte queste questioni ICOM Italia ha avviato una serie di approfondimenti: una prima occasione di confronto, attraverso la voce di esperti e addetti ai lavori, c’è stata il 21 novembre 2020, nel webinar dedicato a Nuove prospettive di partenariato pubblico-privato: ruoli, professionalità, competenze (www.icom-italia.org). Anche alla luce delle criticità evidenziate dalla crisi attuale, sembra chiaro che il rapporto tra le istituzioni pubbliche e i privati dovrà essere affrontato in futuro con una visione e un approccio diverso: i privati devono essere considerati sempre più come dei partner che condividono il progetto culturale del museo, e diventano quindi corresponsabili della qualità dei servizî e della sua immagine complessiva; ciascun museo deve esaminare autonomamente quali siano i servizî da esternalizzare, non perdendo di vista la sua identità e i nessi che legano tutte le attività, valutando non solo la convenienza economica derivante da canoni e royalties, ma anche la capacità dei privati di fornire apporti creativi, di sviluppare attività non strettamente legate alla visita, di aprire nuovi percorsi di interazione con le comunità locali;

occorre studiare e condividere con concessionari e altri partner modelli organizzativi ottimali che integrino e valorizzino le competenze dei professionisti interni ed esterni; bisogna introdurre all’interno dei contratti forme di flessibilità che autorizzino meccanismi di ridefinizione delle prestazioni e delle remunerazioni nel corso del tempo.

L’articolo 151, comma 3 del Codice dei contratti pubblici consente inoltre allo Stato e agli enti territoriali di attivare con procedure semplificate forme speciali di partenariato pubblico-privato. Pensati soprattutto per restaurare, aprire al pubblico e rivitalizzare siti e complessi architettonici, immaginando destinazioni d’uso e attività diversificate, questi accordi potranno essere sperimentati utilmente anche in ambito museale, al fine di ospitare attività culturali, sociali, ricreative, accogliere proposte da artisti, registi, attori, musicisti, artigiani e associazioni del territorio, che apportino nuova linfa e rinsaldino i rapporti con i cittadini. L’investimento delle imprese in termini di innovazione, un forte coinvolgimento del Terzo settore, un più intenso dialogo con gli altri settori della cultura, una maggiore consapevolezza delle esigenze del pubblico e delle comunità di riferimento sono elementi importanti per progettare il futuro dei nostri musei!

Questo contributo è stato pubblicato originariamente sul n. 8 della nostra rivista cartacea Finestre sull’Arte on paper. Clicca qui per abbonarti.


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Adele Maresca

L'autrice di questo articolo: Adele Maresca

Responsabile del settore Ricerche e pubblicazioni dell’Ufficio Studi del Ministero fino al luglio 2014, ha condotto studi e indagini su normative europee, nazionali, regionali in materia di beni culturali e su offerta e domanda culturale, con particolare riferimento ai musei: organizzazione delle strutture, analisi del pubblico, qualità dei servizi, competenze e formazione degli addetti. Redattore capo del «Notiziario» del MIBAC (1985-2011) e dell’opuscolo «Minicifre della cultura» (2009-2014). Docente e direttore di corsi di formazione per funzionari e direttori di musei. Membro di commissioni e gruppi di lavoro ministeriali:





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