Pont des Trous, perché è sbagliato demolirlo (anche se è stato ricostruito nel dopoguerra)


È giusto demolire un ponte di origini medievali, anche se ricostruito durante la seconda guerra mondiale, e in parte ancora intatto? No, è sbagliato: ecco perché.

Gli assertori della demolizione del Pont des Trous, il ponte medievale di Tournai, in Belgio, che sarà “decostruito” (questo il termine politically correct utilizzato per coprire con un velo lieve e trasparente la realtà) per consentire il passaggio di imbarcazioni più grandi di quelle che abitualmente solcano il fiume Scheldt (si passa dalle attuali 1.500 alle 2.000 tonnellate), continuano a premurarsi di sottolineare che il ponte è stato parzialmente ricostruito a seguito dei danni della seconda guerra mondiale. È vero: la storia di questo ponte è piuttosto complessa. Della struttura originaria rimangono soltanto le due torri: gli archi furono minati dagli inglesi durante la seconda guerra mondiale, quello centrale saltò in aria e i laterali ne risultarono gravemente danneggiati, e furono ricostruiti nel dopoguerra, con l’arco centrale rialzato e i laterali abbassati rispetto all’originaria costruzione innalzata tra il 1281 e il 1304 (sì, anche alla fine della guerra sussisteva il problema di far passare sotto il ponte battelli più alti rispetto a quelli che solcavano lo Scheldt in tempi antichi). È quindi vero che già dal dopoguerra il ponte non era più quello che era in origine. Ma demolirlo per ricostruirlo, anche se in forme simili a quelle che aveva in precedenza, appare una scelta completamente sbagliata.

Intanto, per pure ragioni di stratificazione storica. Anche se le forme non erano più quelle trecentesche, i rimaneggiamenti che avevano portato i restauratori del dopoguerra a elevare di 2,40 metri l’arco centrale e ad abbassere d’un metro quelli laterali, sono comunque parte della storia del ponte, una sorta di fotografia d’un momento storico e d’una mentalità (la voglia, spesso frenetica, di riprendersi dalla tragedia del conflitto: in Italia la conosciamo bene) che, fino a poche ore fa, ancora sopravviveva. Potremmo anche considerare poco tragica la perdita di tre arcate ricostruite nel dopoguerra, ma si consideri che il valore di un monumento storico non sta soltanto nella mera età delle sue pietre: esiste un valore immateriale che dev’essere parimenti preservato. Da ieri, una porzione della storia del Pont des Trous (e di questo valore immateriale) è stata deliberatamente cancellata: s’è fatto passare il messaggio secondo il quale le ragioni dell’economia (e, nelle fattispecie, quelle della navigazione intensiva che, si presume, si prenderà il corso dello Scheldt) possono più di quelle della storia.

Il Pont des Trous in un'incisione di Ernest George del XIX secolo
Il Pont des Trous in un’incisione di Ernest George del XIX secolo


Il Pont des Trous nel 1892
Il Pont des Trous nel 1892


Il Pont des Trous prima dopo i rimaneggiamenti del dopoguerra e prima della demolizione del 2019
Il Pont des Trous prima dopo i rimaneggiamenti del dopoguerra e prima della demolizione del 2019


Il Pont des Trous durante i lavori di demolizione dell'agosto 2019
Il Pont des Trous durante i lavori di demolizione dell’agosto 2019

E questo è il secondo errore. Se un messaggio del genere dovesse trovare sempre più diritto di cittadinanza presso le amministrazioni locali, allora non ci troveremmo più a discutere di piccole o grandi questioni, a cominciare dal passaggio delle grandi navi a Venezia fino ad arrivare alla presenza delle bancarelle in piazza dei Miracoli a Pisa. Per non parlare del fatto che un’operazione del genere potrebbe fornire argomenti in più a chi decide di smontare arcate di acquedotti seicenteschi per consentire il passaggio di tangenziali (se nel caso del ponte di Tournai l’argomento principale è “le tre arcate furono ricostruite nel dopoguerra”, per l’Acquedotto Mediceo di Pisa i fautori della demolizione sostenevano che “tanto è mal conservato e in diversi punti è già distrutto”: e tra le ragioni dei demolitori di Tournai e quelle dei demolitori di Pisa non vedo grosse differenze) o a chi ritiene che l’unico modo per mettere in sicurezza un torrente che passa per il centro storico di Carrara consista nell’eliminare tutti i ponti che lo attraversano, inclusi quelli antichi. A Tournai, di fatto, s’è consumato un pericoloso precedente.

Varrà poi la pena ricordare che, se in Italia si dovesse malauguratamente diffondere l’idea per la quale le parti non originali di un edificio possono essere modificate a piacimento (quale che sia il motivo), allora non dovremmo farci troppi problemi se a qualcuno venisse in mente di alzare o abbassare il ponte di Santa Trinita a Firenze o il ponte Scaligero a Verona (entrambi ricostruiti dopo la seconda guerra mondiale), elevare di qualche metro il campanile di San Marco a Venezia (ricostruito dopo il crollo del 1902), aggiungere una torre a Castel del Monte (il cui aspetto è stato alterato con i restauri del Novecento). Si obietterà che le forme dei monumenti appena citati sono del tutto simili a quelle degli originali: ma la ricostruzione non poté essere condotta con materiali che fossero totalmente di recupero, e le tecnologie addottate per le operazioni spesso non erano quelle impiegate per le costruzioni antiche. Ciò nonostante, non ci sogneremmo mai d’intervenire sul ponte Scaligero di Verona perché parte delle pietre con cui è attualmente costruito furono cavate ex novo nel dopoguerra. Oppure vogliamo credere che un monumento ricostruito in tempi recenti diventi automaticamente un’opera di serie B? Inoltre, rispetto ad alcuni dei casi appena citati, le parti originarie del Pont des Trous sopravvivono addirittura in misura maggiore. E cambia poco il fatto che il ponte di Tournai si presenti in forme diverse rispetto all’originale: un errore che fu fatto nel dopoguerra. E sarebbe forse il caso di non aggiungere errori su errori. I sostenitori della demolizione del Pont de Trous si pongano una domanda: in che modo avremmo discusso oggi, se solo i restauratori del 1948 avessero ricostruito il ponte mantenendo le forme precedenti, invece di procedere con le modifiche che tutti abbiamo avuto modo di conoscere?


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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