Si sta parlando molto di alcune opere d’arte ritenute “non adeguate” e installate nel centro storico di Firenze, nel caso specifico di Emanuele Giannelli e Marco Lodola. Viene giustamente criticato il fatto che queste opere siano piombate dal cielo senza che gli artisti abbiano un valore artistico consolidato a livello internazionale (ma cosa significa oggi questo?) e senza che l’operazione sia stata guidata da un curatore d’arte di chiara fama internazionale (ma anche questo come misurarlo?). In questa operazione, come in molte altre in Italia relative al contemporaneo, c’è sicuramente un alto grado di improvvisazione e scarsa conoscenza della materia da parte delle amministrazioni pubbliche. Tuttavia, allo stesso tempo queste operazioni si pongono in un contesto culturale incapace di decifrarle, leggerle e riconoscerle. Questo avviene perché tutto il mondo dell’arte, anche la sua parte più “sofisticata” e “aggiornata”, ha completamente abbandonato la capacità critica e divulgativa, che sarebbe appunto capace di argomentare luci e ombre e quindi formare un gusto del pubblico.
Se domani la Federazione Calcio mettesse il principe Emanuele Filiberto di Savoia ad allenare la Nazionale di calcio ci sarebbe una sollevazione popolare. Se Giannelli e Lodola mettono in piazza la loro arte (anche per me stucchevole), nessuno dice nulla, se non con qualche articolo indignato di qualche addetto ai lavori. Il problema di queste operazioni va però ricercato molto prima, ossia nei mesi e negli anni che le precedono. Diversamente arriveremo sempre troppo tardi con le nostre critiche, anche qualora giuste, e con il risultato di far infervorare ed esultare solo pochi addetti ai lavori, che semmai sperano solo che la prossima volta la stessa Regione Toscana li possa chiamare finalmente in commissione curatoriale per poter mettere opere “di valore” in piazza. Ma cosa significa oggi “valore” nell’arte moderna e contemporanea?
Negli ultimi anni Firenze ha ospitato anche un albero rinsecchito di Giuseppe Penone (artista che il sistema più aggiornato non criticherebbe mai) e un’opera di un leone con in bocca una testa di un antico romano (opera di Francesco Vezzoli veicolata da Cristiana Perrella, allora direttrice del Museo Pecci, e Sergio Risaliti, direttore del Museo del Novecento di Firenze). Come può il pubblico capire che l’albero secco o il leone vanno bene mentre gli uomini di Giannelli e le figure di Lodola no? Se non viene fatto un lavoro di alfabetizzazione critica, che poi servirebbe anche ad allenare nuovi occhi ben oltre il tema dell’arte, non possiamo indignarci più di tanto contro nessuna operazione artistica in piazza a Firenze, come in nessuna piazza d’Italia.
Viene poi sollevata l’ipotesi di riferimenti oggettivi per dimostrare la qualità di artisti e curatori coinvolti. Si parla allora di artisti che avrebbero dovuto fare mostre all’estero. Ma dove? Oggi fare una mostra all’estero non è difficile. E ci sono cordate di “curatori-galleristi-direttori di museo” che possono permettere queste mostre al di là di qualsiasi parametro qualitativo. Ci si potrebbe allora affidare a curatori con evidente curriculum internazionale: anche qui, però, le cose sono manipolabili e potremo trovare un curatore di Giannelli e Lodola che possa effettivamente dimostrare un cursus honorum internazionale. Quindi come fare? Gli unici antidoti a questo “relativismo del tutto può andare”, sono il confronto critico e la capacità di divulgazione da mantenere vivi ogni giorno. Al contrario, il sistema dell’arte più informato e aggiornato sulle ultime tendenze, per mantenere buoni rapporti e buone relazioni commerciali con tutti, sfugge e disincentiva proprio quel confronto critico che sarebbe l’unica salvezza e l’unica soluzione rispetto operazioni criticabili come quelle della Regione Toscana. Non troviamo mai, fatta salva forse questa rivista su cui sto scrivendo, articoli, podcast, video che sappiamo argomentare luci e ombre di una mostra o di un’opera d’arte. Non troviamo mai una stroncatura, ovviamente argomentata, capace di alimentare confronto e dibattito. Il sistema “buono” dell’arte dà per scontato tutto, per poi arrivare ad indignarsi per queste operazioni estreme ed effettivamente criticabili. Ma queste critiche rappresentano ancora “lacrime di coccodrillo”: a prova di questo, non ho mail letto alcuna presa di posizione, per esempio, sulla mostra sulla Nutella e su quella di Autostrade per l’Italia che sono in corso al Museo MAXXI di Roma e che rappresentano due brand commerciali privati che si sono organizzati una mostra dentro un museo pubblico italiano.
Ma oltre ad alimentare un confronto critico quotidiano e di un gusto diffuso, quale potrebbe essere una soluzione immediata? Nell’immediato la soluzione può essere solo quella di coinvolgere in queste selezioni i principali direttori di museo italiani. Una sorta di “gran consiglio” che però può agire solo all’unanimità come avviene nelle giurie popolari nel sistema giudiziario americano. Se non sono tutti d’accordo il progetto non si può fare. Gilles Deleuze diceva che l’atto creativo è anche un atto di resistenza: non è detto che il “fare”, soprattutto in una città carica come Firenze, sia sempre la cosa migliore. Una commissione di esperti, che sarà quindi capace di traghettare queste committenze fino ad un momento in cui questi bandi pubblici saranno solo un proforma, visto che negli spettatori sarà maturata una nuova consapevolezza critica capace di riconoscere artisti e opere di “chiara fama”.