Perché se ci si affida solo alle fiere si rischia di uccidere l'arte contemporanea


È sempre più stretta la dipendenza di tante gallerie dalle fiere d’arte, diventate per molti luogo in cui si semina e si raccoglie al contempo. Ma un legame troppo stretto tra gallerie e fiere rischia di uccidere l’arte contemporanea: ecco perché. 

Parlare di mercato oggi significa parlare di arte, di opere d’arte e di tutte quelle dinamiche che influenzano fortemente la vita degli artisti e, di conseguenza, la realizzazione delle opere d’arte. Negli ultimi quindici anni abbiamo assistito al dominio delle fiere d’arte moderna e contemporanea, come eventi di tre o quattro giorni intorno ai quali si crea una piccola Biennale. Un vero e proprio “pacchetto vacanze” che vizia i collezionisti che in questo modo possono passare un piacevole weekend avendo la sensazione di vedere tutto (e male).

Le fiere dovrebbero essere il luogo dove raccogliere quello che si è seminato prima, e non il luogo dove seminare e raccogliere contemporaneamente. Il problema grave è che nell’arte contemporanea non ci sono luoghi e tempi per seminare e in particolare per trovare le ragioni e le motivazioni dell’opera d’arte. In altre parole servirebbero mostre e progetti realmente scollegati dal mercato e dove gli artisti, all’interno di cornici critiche e curatoriali adeguate, possano sperimentare, osare, rischiare, fare quello che in ambito industriale potremo chiamare “Ricerca e Sviluppo”.

Inoltre le fiere chiedono costi elevati per partecipare e quindi le gallerie sono costrette ad aumentare i prezzi per le opere contemporanee, e questo senza reali motivazioni ma semplicemente per una questione di “costi di partecipazione”. Un tale aumento arbitrario dei prezzi va a congestionare un mercato del contemporaneo già difficile e con prezzi molto alti che non trovano riscontro di lungo periodo rispetto ai reali valori in campo. Questo avviene dopo molti anni in cui il confronto critico, come la capacità di argomentare il valore delle opere di arte contemporanea, è completamente assente, e dove quindi non esistono tempi e luoghi per ritrovare ragioni e le motivazioni. E tutto ciò disincentiva ulteriormente il collezionismo del contemporaneo fortificando sempre di più il collezionismo del moderno che offre valori più sicuri essendo sedimentati nel tempo. In altre parole, le gallerie sono costrette a pagare per partecipare ad un grande “centro commerciale” dove si ritrovano in una competizione serrata con decine e decine di gallerie nazionali e internazionali.

Fiera d'arte.
Fiera d’arte. Foto: Finestre sull’Arte

Il periodo del Covid, come fosse un critico impietoso, ha reso evidente un’eccessiva dipendenza dalle fiere. Infatti il mercato, e il benessere di tutto il sistema, dipendevano semplicemente dall’apertura o dalla chiusura delle fiere. In Italia un’associazione di gallerie chiamata Italics, per reagire a questa eccessiva dipendenza, e proprio durante il Covid ha iniziato a organizzare un evento annuale, la mostra Panorama, come evento culturale diffuso e itinerante nei luoghi più belli dell’Italia. Questa mossa risulta strategica e fondamentale per diminuire la dipendenza dalle grandi fiere internazionali e creare una propria piattaforma che possa creare un proprio pubblico e un proprio collezionismo, con ambizioni di attrazione anche dalla scena internazionale. Se vogliamo, “Panorama” è una fiera d’arte moderna e contemporanea mascherata da “evento culturale”, e che permette ad alcune gallerie italiane di partecipare con costi molto bassi e tagliando fuori tutta la competizione delle gallerie internazionali. Anche in questo caso però il luogo della semina coincide con quello della raccolta e non sono previste modalità per approfondire e argomentare le ragioni e le motivazioni del contemporaneo rispetto ad un moderno/antico che rappresenta la vera fonte di sussistenza delle maggiori gallerie d’arte.

In fondo, perché una galleria d’arte dovrebbe impiegare tempo e denaro nel motivare e argomentare il contemporaneo, quando questo lavoro la porterebbe a scontrini più bassi rispetto a quelli che può raggiungere con il moderno senza alcuna fatica? Se posso vendere con facilità un quadro specchiato di Michelangelo Pistoletto a 100.000 euro, perché mi devo impegnare nel supportare un giovane facendo molta fatica e raggiungendo semmai una vendita da 10.000 euro? Ecco che al giovane artista è richiesto unicamente di essere un buon complemento d’arredo. L’opera deve essere formalmente piacevole e attirare l’attenzione del collezionista in pochi secondi. In questo modo, con uno scontrino basso, è possibile chiudere la vendita senza troppa fatica e l’opera andrà comunque ad arredare la “casa al mare” del collezionista. Questo sistema, che vediamo tanto nelle fiere quanto nelle alternative alle fiere come Panorama, con il passare degli anni uccide l’arte contemporanea e la rende “piacevole e innocuo decoro da interni”: è quello che potremo chiamare “IKEA evoluta”.


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