Non vedo una ricetta uguale per tutti i musei italiani per avvicinare il pubblico locale. Penso che le strategie e le buone pratiche passino da un’analisi puntuale del contesto e dalla riflessione sui legami esistenti tra il museo e la comunità di riferimento. Parlerei quindi, più che di pubblico locale, di comunità patrimoniale, secondo la definizione della Convenzione di Faro (2005, ratificata dall’Italia nel 2020) che riflette il coinvolgimento attivo e di impegno civico che oggi i residenti cercano nel rapporto con il loro museo.
Sul piano gestionale ogni museo è alla costante ricerca di condizioni di ingresso calibrate per riservare particolare attenzione ai cittadini, per i quali si studiano promozioni dedicate. Ma è anche vero che negli ultimi anni, diminuendo i finanziamenti pubblici, viene chiesto ai musei – che non hanno scopo di lucro e rientrano tra i servizî pubblici essenziali – di aumentare la propria capacità di automantenimento per poter garantire il lavoro del personale, la funzionalità delle strutture, la conservazione delle collezioni, la produzione di ricerche, mostre e strumenti per la visita. Per questo motivo periodicamente vengono aggiornate le tariffe.
In generale rimane fondamentale il tema educativo e formativo ed è assodato che chi entra al museo fin da bambino, con i genitori, gli amici o con l’insegnante, potrà più facilmente percepirlo anche da adulto come uno spazio familiare.
Nella percezione diffusa incidono molto i luoghi comuni. Già la parola “museo”, per esempio, entusiasma chi vive per il museo e ci lavora, come nel mio caso, ma è ancora associata dai più a qualcosa di vecchio, immobile e polveroso, di comprensibile solo agli specialisti. Bisognerebbe davvero, come diceva negli anni Settanta Franco Russoli, tra i grandi soprintendenti della Pinacoteca di Brera, “dimostrare che il museo significa tutt’altro da ciò che si crede sia un museo”. Infatti, nella realtà è un organismo in continua trasformazione e sempre contemporaneo.
Credo quindi che una chiave di cambiamento per avvicinare i cittadini ai musei stia anche nel linguaggio, nella capacità di comunicare l’attualità e il valore che le testimonianze materiali e immateriali dei musei hanno per la loro comunità.
Lavorando in museo da trent’anni ho imparato a riconoscere il frequentatore abituale di un museo della sua città. In genere si distingue appunto come rappresentante della comunità patrimoniale: partecipa con passione alle iniziative, chiede di essere tenuto informato, è molto attento alla qualità e stimola lo staff con idee e proposte. I recenti dati ISTAT confermano purtroppo che si tratta di un profilo di fruitore ancora marginale rispetto a quello dominante del turista.
L’interesse si estende ad altri potenziali fruitori quando il museo riesce a migliorare la qualità dell’ascolto e dell’accoglienza, a porsi come una grande casa di tutti e per tutti e a incuriosire attraverso i suoi punti di forza: le collezioni, le ricerche, i percorsi, gli allestimenti. Allora il visitatore si affeziona e ritorna. Qui gli orizzonti dell’innovazione sono apertissimi. Si stanno diffondendo nuove forme di narrazione ibride tra l’esperienza fisica e virtuale degli oggetti, grazie all’incontro tra gli studi umanistici e le nuove tecnologie.
Oggi i musei, non solo italiani, indipendentemente dalle specializzazioni che li contraddistinguono (per esempio l’archeologia, l’arte antica, contemporanea, la storia naturale) sono investiti di nuove responsabilità. Come tutte le realtà culturali concorrono agli obiettivi dell’Agenda 2030 e rappresentano quindi un potenziale di enorme valore per dare slancio allo sviluppo della società.
Sul tema della partecipazione sociale, con i loro programmi agiscono come antidoti contro la povertà educativa e le disuguaglianze, sono luoghi di conoscenza e di sviluppo di capacità critiche. Un segnale in questa direzione si rileva dalle sempre più frequenti e strutturate le collaborazioni tra i musei e il mondo dell’istruzione, delle università, della ricerca, dei servizi sociali e del Terzo Settore. Ovunque in Italia si progettano anche iniziative di “museo fuori dal museo” (il museo che esporta la propria attività in luoghi di cura, centri sociali e così via) e cooperazioni pubblico-privato in grado di innescare processi di rigenerazione urbana. Nei Musei Civici di Verona stanno crescendo per esempio i partecipanti a “Dance Well”, un progetto concepito per persone con Parkinson e poi allargato a tutti.
Per i musei si tratta in definitiva di sviluppare nuovi modelli partecipativi di gestione per conquistare un nuovo spazio nella società, dove essere percepiti come motori del cammino dell’umanità, depositarî di memoria individuale e collettiva in senso ampio, locale e globale, per la costruzione della civiltà del futuro.
In linea con questo principio è importante che i cittadini siano coinvolti consapevolmente anche sui problemi dei loro musei. Pensiamo al tema dall’accessibilità fisica degli spazî, oggi giustamente molto sentito. Gli interventi migliorativi che sarebbero congeniali alle esigenze delle persone spesso non sono conciliabili con le esigenze di tutela dei monumenti storici che espongono le collezioni. Un caso esemplare è il Museo di Castelvecchio di Verona, con il restauro e allestimento di Carlo Scarpa famoso per essere un modello ancora preservato della museografia italiana del dopo guerra. Qui è difficile tracciare piani per abbattere le barriere architettoniche e ampliare i servizî di accoglienza senza comprometterne il magistrale progetto originale. Condividere un tema delicato come questo con i cittadini può aiutarli a comprendere i motivi di alcune carenze oggettive nei servizî e, allo stesso tempo, stimolare il museo a trovare nuove soluzioni.
Nella mia esperienza i progetti tra musei che fanno sistema tra loro hanno un ottimo potenziale per far percepire l’Istituto non come elemento a se stante ma strettamente connesso al territorio e alle comunità. Questo è un obiettivo fondamentale del Sistema museale nazionale, il progetto coordinato dalla Direzione Musei del Ministero della Cultura su cui si stanno investendo consistenti risorse del PNRR.
In un’ottica di rete, si stanno sperimentando anche nuove “mostre diffuse” che, estendendo i percorsi espositivi dalle sale museali a diversi luoghi cittadini e del territorio, riflettono il profondo senso di continuità tra il patrimonio culturale che sta dentro e fuori dal museo.
Altro modello da sviluppare per favorire la partecipazione è la realtà di musei, archivi e biblioteche (i MAB) che operano in una visione integrata per offrire servizî di qualità e nuovi spazi di benessere e di vita collettiva. Il 22 e 23 novembre prossimi si terrà a Verona un convegno nazionale sui musei di enti locali dove proprio i temi delle forme di gestione innovative, dei sistemi museali e della governance partecipata saranno al centro della riflessione.
Questo contributo è stato pubblicato originariamente sul n. 19 della nostra rivista cartacea Finestre sull’Arte on paper. Clicca qui per abbonarti.