Bernini, Caravaggio, Rubens e altri: quegli one-painting show che distruggono la storia dell'arte


Ultimamente vanno di moda gli one-painting show, esibizioni di una sola opera: ecco perché distruggono la storia dell'arte impedendo un approccio genuino.

In questi ultimi tempi si sta diffondendo, con sempre più preoccupante rapidità, la piaga dei cosiddetti one-painting show, ovvero le mostre in cui protagonista è un’unica opera d’arte. Non necessariamente un dipinto, come la locuzione, recentemente introdotta per designare questo tipo di operazioni, farebbe supporre: a viaggiare sono indistintamente quadri, sculture e, in generale, oggetti d’arte che, secondo le aspettative degli organizzatori, avrebbero la capacità di attrarre folle festanti che si accalcano fuori dai luoghi di tali esibizioni per riverire i loro idoli. La lista di questo tipo di "mostre" (e mi premuro d’inserire il termine tra virgolette dal momento che mi riesce parecchio difficile paragonare queste operazioni a vere mostre) nel tempo si è fatta davvero lunga, ragione per la quale stilare un elenco completo sarebbe operazione da condurre con non poche difficoltà.

Di sicuro, una diffusione così veloce degli one-painting show è dovuta all’estrema facilità con la quale si possono condurre in porto eventi di tal sorta: creare una mostra attorno a un’unica opera significa abbattere i costi di realizzazione, evitare di porsi il problema di inquadrare le opere nel loro contesto, e ovviamente fare in modo che anche il pubblico sia portato a risparmiarsi un approccio alla mostra che non sia quello puramente estatico. Le opere d’arte sono così diventate nuovi feticci, e le code che il pubblico è disposto a sopportare in attesa di ammirare i suoi idoli artistici non sono così dissimili dalle file dei fedeli recentemente accorsi a Roma per adorare la salma d’un santo a cui si attribuivano poteri taumaturgici. E tra il santo-taumaturgo e l’artista-taumaturgo parrebbe non intercorrere differenza alcuna: come i santi erano ritenuti in grado di operare miracolose guarigioni, allo stesso modo certi artisti sarebbero in grado di suscitare impagabili emozioni in chi ha la fortuna di vedere le loro opere.

Questo approccio, quello della mostra con un’unica opera, è però del tutto dannoso nei confronti della storia dell’arte. Perché fa perdere di vista un concetto fondamentale: quello secondo il quale l’opera è sempre un prodotto di un preciso contesto, ed è sempre un oggetto che sta in relazione con altri oggetti. Lo diceva anche Roberto Longhi: l’opera d’arte è un oggetto “relativo”. Estirpare un’opera dal suo contesto (sia essa la sede in cui era originariamente collocata o un museo nel quale l’opera viene posta in rapporto con altri oggetti al fine di ricostruire il suo contesto originario) per una mostra in cui tale opera diventa protagonista solitaria, significa recidere i suoi legami con quel fitto tessuto di relazioni che hanno permesso all’artista di produrla. E se si distruggono questi legami, più difficile (se non impossibile) sarà per noi la comprensione di quell’opera e del suo significato, del messaggio che voleva comunicare, del contesto storico, sociale, economico e politico entro cui l’autore si muoveva, della tecnica che l’artista ha adoperato per realizzarla. Viene meno, insomma, il senso più elevato della storia dell’arte: trasmettere conoscenza.

Ma le ostentazioni scriteriate di capolavori sottratti ai loro luoghi di conservazione producono ulteriori effetti nefasti, che si possono facilmente intuire anche facendo riferimento agli ultimi casi. Tanto per cominciare, si mette inutilmente a repentaglio la sicurezza di opere molto fragili: quando pochi giorni fa il Salvatore di Gian Lorenzo Bernini, un’opera tarda del grande scultore barocco, ha dovuto lasciare la Basilica di San Sebastiano fuori le Mura a Roma per spostarsi ad Agrigento onde essere esposta alla Sagra del mandorlo in fiore, Tomaso Montanari, uno dei massimi esperti dell’arte di Bernini, suggeriva che “una scultura di questo rilievo e di questa straordinaria fragilità (è un marmo, alto 103 centimetri, pieno di delicatissime creste e di sottili corpi aggettanti, come le dita) dovrebbe muoversi il meno possibile, e solo in casi di eccezionale spessore culturale: per esempio una mostra che riunisse gran parte dei marmi del Bernini tardo”. Non è neanche il caso di evidenziare quanto sia fuori luogo esibire un’opera di Bernini nel contesto di una sagra (seppur importante e di richiamo internazionale): succede, tuttavia, quando gli interessi della politica vengono prima rispetto a quelli della cultura. E, nel caso dell’ostentazione del Salvatore, di interessi politici probabilmente si è trattato: patrocinatore dell’operazione è stato il ministro degli interni Angelino Alfano, originario di Agrigento, città sede della Sagra del mandorlo in fiore nonché sua città d’origine.

Protagonisti degli ultimi one-painting show
I protagonisti degli ultimi “one-painting show”: l’Adorazione di Rubens, il Salvatore di Bernini (credit), la Flagellazione di Caravaggio

Ma non finisce qui: com’è lecito aspettarsi, i soggetti che prestano le loro opere per gli one-painting show privano se stessi di opere che spesso sono tra le più importanti per l’istituto, la chiesa o il museo che le conserva. Pensiamo per esempio alla recente ostentazione dell’Adorazione dei magi di Pieter Paul Rubens a Milano, avvenuta durante le ultime festività natalizie: il dipinto è forse il più noto e significativo di quelli conservati presso la Pinacoteca Civica di Fermo, che ha dovuto privarsene per più di un mese. Lo stesso accadrà tra pochi giorni al Museo Nazionale di Capodimonte, che vedrà partire la Flagellazione di Caravaggio: il capolavoro del pittore lombardo sarà infatti esposto in un altro discutibile one-painting show alla Villa Reale di Monza. Che non è affatto nuova a queste iniziative: già lo scorso anno era stata condotta un’operazione simile con un’altra opera di Caravaggio, e cioè il San Francesco di Carpineto, in deposito a Roma a Palazzo Barberini. E la materia non compie alcun passo avanti, né progressi vengono compiuti in termini di divulgazione, anche per il fatto che i nomi proposti da questi “one-painting show” sono sempre i soliti: Caravaggio, Tiziano, Bernini, Rubens, Michelangelo, Raffaello, gli impressionisti e via dicendo.

Cosa fare, dunque? Rassegnarsi alla squallida proliferazione di esibizioni di opere solitarie senza che alcunché si possa fare per opporsi? Dover sottostare all’atroce ma sempre più diffuso assunto secondo il quale le vere mostre sarebbero eccessivamente faticose per il pubblico, e gli one-painting show sarebbero invece rilassanti e sorprendenti? Accettare l’idea di trovar un numero sempre maggiore di cartelli in formato A4 che, nelle chiese e nei musei, annunciano la momentanea assenza di un capolavoro partito per diventare assoluto protagonista di una mostra allestita senza il minimo criterio scientifico? La risposta a tutte queste domande è, ovviamente, negativa, e l’opposizione a questo fenomeno può partire da gesti molto semplici: chiedere più cultura, più rispetto per l’arte, selezionare con cura le mostre da visitare, sia sulla base di quanto possono regalarci in termini di emozioni (è da sprovveduti negare che l’arte produca emozioni), sia sulla base di quanta conoscenza possono trasmettere. Iniziative che espongono un quadro solo non sono operazioni culturali, non rispettano l’arte, non trasmettono conoscenza e spesso, affollate e caotiche come sono (a Milano, per Rubens, fuori da Palazzo Marino ho visto personalmente code tali da vanificare qualunque approccio tranquillo nei confronti dell’opera d’arte), non riescono neppure a suscitare emozioni positive. Dobbiamo essere, insomma, più esigenti, avere più fame di cultura. E gli one-painting show non sono in grado neppure di stimolare l’appetito: l’arte ha bisogno di più serietà.

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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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