Sta forse per giungere alla conclusione il processo di aggiornamento della definizione ufficiale di museo di ICOM, l’International Council of Museums, dopo un dibattito impervio iniziato in qualche modo nel 2016, durante la conferenza internazionale di Milano intitolata “Musei e Paesaggi Culturali”, e che ha subito uno scossone nel settembre 2019 a Kyoto quando 24 comitati nazionali (su 119) rifiutarono, con una lettera pubblica, la definizione proposta dall’allora comitato esecutivo, portando nei mesi successivi alle dimissioni della presidente Suay Aksoy, di Jette Sandahl (presidente del comitato permanente per la definizione, le prospettive e i potenziali del museo), di altri due membri della stessa commissione e di ben cinque membri del comitato esecutivo. Portando quindi ad un azzeramento e un riavvio del processo, sotto la guida di un nuovo presidente, Alberto Garlandini, proveniente da uno dei comitati nazionali, quello italiano, che avevano criticato la definizione proposta.
A quel punto è iniziato, non senza fatica, un nuovo percorso. Come scrive ICOM nel suo sito, non senza enfasi, il “Comitato permanente per la definizione di museo” ha formulato una nuova metodologia “con l’obiettivo di rispondere alla necessità di un processo democratico e aperto di consultazione dei Comitati Nazionali, dei Comitati Internazionali, delle Alleanze Regionali e delle Organizzazioni affiliate che costituiscono l’ICOM”. Metodologia che constava di cinque round di consultazioni, il primo a livello nazionale, gli altri a livello sovranazionale, basati sull’individuazione di parole chiave che devono essere accettate da tutti i comitati e infine di cinque definizioni tra le quali sarebbero state scelte due definizioni tra le quali sarà selezionata la definizione che poi verrà votata dall’assemblea generale a Praga il 24 agosto 2022. Un processo che dovrebbe mettere a tacere le accuse di poca trasparenza e spazio di discussione che hanno caratterizzato la proposta del 2019. Ma che esista una difficoltà nello spiegare al pubblico ciò che è accaduto nel lasso di tempo 2017-2020 è evidente anche solo dal fatto che, nella pagina web sulla “definizione di museo”, quelle vicende sono semplicemente bypassate.
Oggi, la proposta che sarà votata a Praga è stata infine annunciata. È questa (traduzione in italiano non ufficiale): “Il museo è un’istituzione permanente senza fini di lucro al servizio della società, che ricerca, raccoglie, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano in modo etico, professionale e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze varie di educazione, diletto, riflessione e condivisione di conoscenze”.
Nella votazione lanciata il 9 maggio, l’ultima, ha avuto la meglio sull’altra proposta rimasta in gioco, che in italiano suonava così: “Il museo è un’istituzione permanente, senza fini di lucro, accessibile al pubblico e al servizio della società. Ricerca, raccoglie, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale e naturale materiale e immateriale in modo professionale, etico e sostenibile, per l’educazione, la riflessione e il diletto. Opera e comunica in modi inclusivi, diversificati e partecipativi con le comunità e il pubblico”.
Due definizioni relativamente simili tra loro, tra le quali ha vinto quella più “riformista”, che contenevano comunque entrambe innovazioni rispetto a quella attualmente in vigore, risalente al 2007, che tradotta letteralmente dall’inglese suona più o meno così: “Un museo è un’istituzione permanente, senza fini di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che acquisisce, conserva, ricerca, comunica ed espone il patrimonio materiale e immateriale dell’umanità e del suo ambiente a fini educativi, studio e divertimento”. Emergono facilmente i nuovi termini che caratterizzano la nuova definizione: sostenibilità, diversità, inclusivi, etica e professionale. Tutti termini chiave assenti nella definizione attuale. Termini che quindi, salvo ulteriori scossoni imprevisti, caratterizzeranno la nuova definizione ufficiale di museo. Ma non solo: è possibile anche notare quali termini si siano conservati dalla definizione precedente, e quali siano stati eliminati da quella proposta nel 2019, quindi le altre dinamiche di resistenza o bocciatura di determinate parole chiave. E attraverso questa analisi, capire le tensioni che percorrono la comunità museale globale.
Quella proposta di definizione, molto più radicalmente innovativa, mai votata - ma, lo ricordiamo, approvata dalla larga maggioranza dei comitati nazionali - suonava così: “I musei sono spazi democratizzanti, inclusivi e polifonici per il dialogo critico sul passato e sul futuro. Riconoscendo e affrontando i conflitti e le sfide del presente, conservano reperti ed esemplari in custodia per la società, salvaguardano ricordi diversi per le generazioni future e garantiscono pari diritti e pari accesso al patrimonio per tutte le persone. I musei non sono a scopo di lucro. Sono partecipativi e trasparenti e lavorano in partnership attiva con e per le diverse comunità al fine di raccogliere, preservare, ricercare, interpretare, esporre e migliorare la comprensione del mondo, con l’obiettivo di contribuire alla dignità umana e alla giustizia sociale, all’uguaglianza globale e al benessere planetario”. Rispetto alla definizione attuale e quella rimasta in ballo, scomparivano parole come educazione e diletto, e si introducevano concetti come pari diritti e pari accesso, dialogo critico o democratizzazione, fino a quella sorta di manifesto conclusivo che parlava di “contribuire alla dignità umana e alla giustizia sociale, all’uguaglianza globale e al benessere planetario”. Erano proprio le parole che avevano creato scompiglio in alcuni comitati europei di ICOM, come quello italiano e francese. Scriveva allora il Corriere della Sera che “proprio frasi come «giustizia sociale» e «dignità umana» hanno creato allarmismo e polemiche all’interno del comitato. Juliette Raoul-Duval, di Icom Francia, lamenta in particolare il tono politico di quello che definisce un «manifesto». Hugues de Varine, ex direttore di Icom, protesta contro il «preambolo ideologico» [...] Icom Italia fa sapere in una nota che «ritiene la formulazione inadeguata a definire il museo, che storicamente ha svolto il ruolo di istituto dedicato all’acquisizione, conservazione, documentazione, ricerca, comunicazione ed esposizione di oggetti patrimoniali», «i quali vanno considerati testimonianze dell’umanità e del suo ambiente. I musei sono rivolti allo studio, all’educazione, al diletto e sono attori di primaria importanza nelle società moderne e contemporanee»”.
Ed ecco quindi che, pur nella netta innovazione presente nella nuova definizione proposta, rimangono i termini cari ai comitati che avevano protestato nel 2019: “ci sembra che la definizione soddisfi la doppia esigenza di porsi in continuità con le precedenti e di innovarle alla luce di quanto è mutato nel mondo museale e nella società”, scrive ICOM Italia. Con una particolarità, il termine enjoyment tradotto come diletto nella definizione ufficiale di ICOM Italia, nella nuova proposta di definizione viene tradotto come piacere. Un cambiamento soft rispetto alle rivendicazioni del 2019?
La definizione di museo dunque avanzerà, con cautela, esplicitando che i musei devono essere inclusivi ma non democratizzanti, diversi e accessibili ma non polifonici, e, soprattutto, devono occuparsi di educazione e piacere, ma non di contribuire alla dignità umana o alla giustizia sociale. Una soluzione di compromesso che verrà votata a Praga, ma che non risolverà, e naturalmente non vuole né deve risolvere, i dubbi su cosa siano i musei e il loro ruolo nel XXI secolo. ICOM, con impegno e fatica, sta provando a rispondere.
L'autore di questo articolo: Leonardo Bison
Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.