Agli inizi di gennaio, il mio amico David Vuillaume, presidente di NEMO (Network of European Museum Organisations) ha postato un link a uno studio sui professionisti dei musei pubblicato dall’associazione dei musei tedeschi. Lo studio è di grande aiuto per confermare, ancora una volta, i modi e i mezzi attraverso i quali il settore dei musei si è allargato, a livello internazionale, nell’ultimo decennio. Dieci anni fa, l’ICOM elencò venti professioni museali allora riconosciute come fondamentali per il paesaggio dei musei. E questo report cita cinquantasei funzioni. Insomma, gli sviluppi che si sono registrati sono davvero impressionanti. Tutto ciò accadeva prima che la pandemia sconvolgesse l’intero sistema museale mondiale. In quel contesto che sembra ormai così lontano, la controversia del giorno riguardava, ad esempio, la posizione di“Head of Coffee” alla Tate, che certamente aiuta molto a dimostrare che i cambiamenti e la crescita non saranno tranquilli e lineari. La Tate è stata rapida a difendere la posizione (e la retribuzione) del suo “Head of Coffee”. “È scorretto”, hanno detto, “paragonare il responsabile di un dipartimento curatoriale con un responsabile di un altro livello. Tutti i dipartimenti della Tate hanno una varietà di ruoli con diverse responsabilità e diversi salari, inclusi i ruoli curatoriali. Noi valorizziamo tutto il nostro staff e ci sforziamo di pagare i dipendenti in modo appropriato per il lavoro che svolgono alla Tate”. Queste dichiarazioni contribuiscono a confermare l’instabile equilibrio tra le professioni tradizionali e le nuove professioni nel settore dei musei. Intanto, a metà agosto la Tate ha fatto sapere che avrebbe licenziato 300 dipendenti della rete gastronomica e di servizi di bookshop che gestisce, con ristoranti e caffetterie nei vari siti sparsi per la Gran Bretagna.
Un dettaglio del pensatore di Auguste Rodin |
Di certo, la ripartenza non sarà facile anche se si arrivasse alla capacità di mettersi completamente in gioco per ripensare il modello museale da capo. E di sicuro, il paesaggio dei musei continuerà a evolversi forse in maniera un po più rapida ed incisiva reagendo alle necessita finanziarie ed economiche del momento, cercando rilevanza e resilienza per tener fede a quegli ideali che hanno da sempre definito l’istituzione museale. Molti saranno i ruoli e le competenze necessarie per questo rilancio. Alcuni forse rimangono tutt’ora indefiniti man mano che la situazione continua ad evolversi. Le nuove competenze potranno anche dar luogo a una serie di tensioni tra le tradizionali professioni museali e quelle che invece devono ancora essere messe a punto, anche se la necessità di queste ultime dovrebbe essere riconosciuta dagli istituti più consapevoli e che più guardano al futuro.
Il “pensatore del museo” e le sue competenze
Vorrei aggiungere un ruolo, molto importante, che è diventato oggi di urgente necessità per i musei. Definirei questo lavoro come museum thinker: penso che l’attuale paesaggio dei musei ne abbia un bisogno disperato. In tutta onestà, i musei hanno dei pensatori tra le loro fila, ma spesso finiscono per impantanarsi in ruoli istituzionali che vengono considerati pressanti e molto più necessari. I musei infatti spesso non hanno il tempo di pensare all’attualità e al futuro, e a come su attualità e futuro si debba ragionare nello stesso tempo. Tutto ciò spesso porta a situazioni di “copia e incolla” nelle quali le idee vengono generate più in risposta a ciò che pare funzionare nell’ecosistema museale piuttosto che in qualità di risultato diretto di un’incubazione e di un approccio bottom-up. L’innovazione, infatti, arriva spesso dalle frange dell’ecosistema museale che dalle correnti maggioritarie.
Le formalità spesso remano contro la propria necessità di essere flessibili ma a volte potrebbero essere pratiche e utili... anche quando si tratta di definire un ruolo astratto e fuori dagli schemi come quello del museum thinker. Possiamo pensare ad almeno tre aree per le quali i museum thinker possono contribuire positivamente alla crescita sostenibile e allo sviluppo del settore dei musei.
Un fotogramma del film Una notte al museo (2006) |
1. Fare in modo che i dipendenti dei musei pensino
Parliamone: molti dei dipendenti dei musei, soprattutto se si tratta di musei di piccole o medie dimensioni, non hanno il tempo di pensare a ciò che non riguardi le loro necessità e le loro esigenze quotidiane. Con la pandemia del COVID-19 la situazione e ancora più critica. Maggiori sono le sfide che i museum thinker possono farsi venire in mente, migliore sarà il modo in cui il museo potrà posizionarsi per cogliere i cambiamenti, per riconoscere e affrontare le nuove tendenze, per continuare a essere rilevante e, soprattutto, per continuare a rimanere concentrato sui valori fondamentali che lo modellano e lo definiscono prima di tutto.
2. Leggere i segni del tempo
Questa è una delle necessità più pressanti che riguardano i musei del XXI secolo. Di sicuro la rilevanza non è congelata nel tempo: un istituto potrebbe essere rilevante e vivo nel momento attuale, ma potrebbe diventare totalmente irrilevante nel giro di un mese. La pandemia ha dato una rapidità impensabile a tutto ciò.
Leggere i segni del tempo richiede acume, conoscenze e sensibilità. È un qualcosa che va oltre la pianificazione strategica e la programmazione pubblica e riguarda la capacità di comprensione così come i modi e i mezzi con cui i musei possono modellare il loro futuro. I museum thinker lavorano meglio con i musei lungimiranti e motivati dalla voglia di innovare, e che spesso non sono istituti mainstream o musei universali o internazionali.
3. … e monitorare la rilevanza
Gli istituti spesso si affidano a meccanismi di controllo interni per sostenere la resilienza e l’accountability nei loro modelli di gestione. Questo è anche il caso dei museum thinker e dei musei.
Il processo alla base delle riflessioni sul museo dev’essere costante e duraturo. Deve guardare in profondità gli ingranaggi basilari della macchina del museo al fine di assicurare che l’istituto rimanga rilevante cambiando di continuo le pratiche troppo conservatrici su tutti i livelli operativi. Grazie al monitoraggio della resilienza, i thinker potrebbero essere la soluzione migliore per identificare i rischi del cambiamento e i suoi limiti per mantenerlo costante.
Questi tre valori sono collegati in modo inestricabile. Possiamo dunque pensare davvero a una descrizione onnicomprensiva di questi tre lavori che sono stati forse sottovalutati o lasciati ai margini. Ad ogni modo, pensare non vuol dire procrastinare l’azione.
Infine, non nascondo la consapevolezza della quale mi sono reso conto con questa versione in italiano del mio articolo originale scritto per The Humanist Museum agli inizi di gennaio. La pandemia ha reso più che mai necessario il cambiamento, accelerando la discussione che già c’era prima. Gli argomenti sono rimasti tutt’ora validi. La pandemia li ha resi tali ancora di più.
https://ars.electronica.art/error/en/think/ |
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Sandro Debono
Pensatore del museo e stratega culturale. Insegna museologia all'Università di Malta, è membro del comitato scientifico dell’Anchorage Museum (Alaska) oltre che membro della European Museum Academy. Curatore di svariate mostre internazionali, autore di svariati libri. Scrive spesso sui futuri del museo ed ha il suo blog: The Humanist Museum. Recentemente è stato riconosciuto dalla Presidenza della Repubblica Italiana cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia e dal Ministero della Cultura Francese Chevalier des Arts et des Lettres per il suo contributo nel campo della cultura.