I musei avranno soldi a sufficienza per rimanere aperti?


Quali esperienze potrebbero mettere in atto i musei nel futuro per diventare più sostenibili? Alcuni spunti di riflessione per combinare in modo strategico l'online con la visita in presenza.

Questo articolo è rimasto in lavorazione per qualche tempo, dopo il mio primo pezzo su questo tema molto affascinante nel settembre del 2020. Per quell’articolo, avevo scelto una domanda come titolo. Scelgo di nuovo una domanda come titolo, però questa volta scelgo di rispondere... con più domande! I musei vogliono rimanere aperti e accessibili secondo le modalità precedenti nel caso in cui abbiano le risorse per farlo? Ma, di nuovo, i musei sono in cerca di resilienza per superare la tempesta e uscirne i più indenni possibili, o per reinventarsi? Ma allora cosa intendono i musei quando ambiscono alla riapertura definitiva e a tornare dai loro pubblici?

Qual è la situazione in questo momento? Sperimentare, molto più di prima.

Tempo

Un recente articolo su The Art Newspaper cita Chris Michaels (direttore della sezione Digital, Communications and Technology della National Gallery di Londra) il quale sottolinea giustamente che “i soldi non possono essere una priorità [per il coinvolgimento digitale] semplicemente perché non c’è un mercato di riferimento”, ma “la cosa più importante è imparare”, e se lo facciamo “troveremo più velocemente il formato, il prezzo, le modalità operative”.

Michaels mette in evidenza un paradosso. Di sicuro i musei devono e hanno bisogno di sperimentare le giuste formule del coinvolgimento digitale. E questo richiede tempo. Ma i musei potrebbero non aver tempo per sperimentare, o almeno di sicuro non quanto vorrebbero. E poi questo commento si riferisce esclusivamente al digitale. Cosa dire del coinvolgimento in presenza?

Si possono sperimentare diverse situazioni che vanno dalla presenza fisica a quella online, ma molto di ciò che viene provato e testato deriva dal concetto di museo come lo abbiamo conosciuto negli anni e nei decenni (se non nei secoli) passati. Siamo arrivati a concepire il museo come un’esperienza inscatolata che ha a che fare prevalentemente con gli oggetti e con la cultura materiale che ci viene presentata in questo spazio-scatola, un’esperienza che ha luogo in uno spazio definito, compreso entro le pareti degli edifici nei quali questi contenuti sono conservati. L’accesso a questo spazio definito è regolato da un tempo meccanico, e da un intervallo di tempo molto ristretto da dedicare a questa esperienza. I musei operano secondo tabelle orarie, che sono chiaramente definite da parametri di tempo e spazio. Curano programmi rivolti al pubblico, mostre ed esperienze definite nel tempo e nello spazio. Lo spazio e il tempo regolano l’idea di museo dall’ottica della fruizione e dell’accessibilità.

Quello che la stragrande maggioranza dei musei ha fatto finora, e in particolare durante i contrattempi e gli intoppi provocati dalla pandemia di Covid-19, è stato ritagliare delle finestre digitali attraverso le quali accedere a questa esperienza o, in alcuni casi, allargarle. La sperimentazione a cui Michaels si riferisce riguarda questi ritagli, operati all’interno del tessuto storico del museo come esperienza inscatolata. A questo punto nascono altre domande ancora. Che tipo di finestre ci servono? Di quali forme e dimensioni? E inoltre, queste finestre digitali sono la soluzione? Fatto sta che il consumo digitale non avviene all’interno di parametri temporali rigidi. E non dipende neppure dagli orari d’apertura o di chiusura dell’esperienza museale inscatolata. Al contrario, le possibilità di coinvolgimento attraverso il tempo sul digitale non hanno fine e, oserei aggiungere, non hanno scadenza.

Tutto questo mi porta al nodo della questione. Uno dei beni più preziosi di cui il museo dispone, il bene che potrebbe essere la risorsa giusta per gestire economicamente sia presente che futuro, potrebbe essere quello a cui paradossalmente attribuiscono il minor valore e che viene concepito quasi esclusivamente in ragione della versione “esperienza inscatolata” dell’idea di museo: il tempo… dell’esperienza!

Foto di NeONBRAND su Unsplash
Foto di NeONBRAND su Unsplash

Quali modelli di sostenibilità economica i musei potrebbero esplorare secondo questo modo di pensare? Guardiamo oltre l’ecologia museale.

La sostenibilità economica dei musei è stata di recente al centro di un articolo di Lindsey Green per Frankly Green + Webb. Nelle sue argomentazioni, Lindsey fa l’esempio di tre modelli che i musei hanno tradizionalmente seguito. Uno di questi, descritto come “cross-subsidy”, ha un impatto sul potenziale digitale per generare direttamente guadagni: “Utilizzare i finanziamenti di base e i guadagni generati dalle esperienze fisiche per fornire contenuti online significa che spesso il contenuto online è dominato dalla necessità di promuovere o imitare l’esperienza onsite. Rafforza l’idea per cui l’online sia qualcosa di meno, invece che qualcosa di diverso. Mentre altri settori vedono l’online come uno strumento per fornire nuovi prodotti e nuovi servizi disegnati specificamente per l’online, i musei hanno mantenuto l’idea secondo cui l’online lavora al servizio dell’esperienza onsite”.

Creare contenuti online che siano economicamente sostenibili è di sicuro la meta ambita, ma l’obiettivo sul lungo termine dovrebbe semmai essere esplorare come tutto ciò possa inserirsi nel quadro più ampio dei modelli di sostenibilità per i musei in tutti i tipi di esperienza.

I due modelli di finanziamento che propongo partono dalla ricerca di analogie che non corrispondono all’idea di museo così come la conosciamo: ovvero non rispondono all’idea di esperienza inscatolata con finestre digitali appositamente ritagliate. Piuttosto, sono modellati sulla base di un’idea di museo del futuro, che è liquida e ibrida. A quest’idea di museo potrebbe prendere la forma di una molteplicità di pacchetti o esperienze confezionate, in risposta a un’idea di museo antropocentrica, simile a un sistema solare di pianeti, lune e asteroidi.

Modello economico A. I viaggi low-cost

L’analogia con i viaggi low-cost sono stati il tema di un mio articolo scritto per museumnext qualche mese fa, in particolare pensando al futuro delle mostre itineranti. Il business model dei viaggi low-cost è, in breve, un amalgama di prezzi bassi, rotte frequenti punto-punto, sistemi di bigliettazione online, uso ottimizzato di modelli di aeromobili, uso di aeroporti secondari e lavoratori altamente produttivi. Non è il business model nella sua interezza che può suggerire analogie con pratiche potenziali da definire per il museo del futuro, forse anche per quello del presente. Ma alcuni elementi lo fanno, e in particolare i prezzi bassi e la miglior gestione del tempo. I criteri che i musei potrebbero sviluppare, potrebbero riguardare il ripensamento del tempo attraverso la lente delle aspettative del cliente e del suo desiderio di visitare il museo.

Sia le domande che i quesiti sono molti. Possiamo ripensare l’idea di museo come un’esperienza strutturata su più livelli, con quello più facile e basico accessibile gratuitamente e con livelli successivi, accessibili online, in presenza oppure sia online che in presenza, a pagamento? I musei possono vendere esperienze che cominciano online e continuano in presenza o viceversa, con gli uni che dipendono dagli altri in modo interconnesso?

Modello economico B. Il supermercato

Il modello dei viaggi low-cost può essere paragonato anche al modo in cui funzionano i supermercati, ma con molto più contenuto potenzialmente predittivo da esplorare. Il contenuto predittivo è una tecnica di marketing e di produzione che combina la flessibilità e la personalizzazione dei prodotti con i bassi costi associati alla produzione massiva.

Il paragone tra musei e supermercati non è nuovo. Risale al 1982, quando venne menzionato come un’analogia per comprendere i pubblici dei musei da John Falk, direttore dell’Institute for Learning Innovation e Sea Grant Professor di Free-Choice Learning alla Oregon Statr University. Falk parlava di “acquirenti seri” descrivendo coloro che sanno esattamente cosa vogliono e di “acquirenti finestre” per riferirsi a quelli che entrano solo per dare un’occhiata e sembrano non voler mai comprare niente. “Un museo”, scrive Falk, “è come un grande magazzino e i visitatori dei musei sono come acquirenti. In un negozio, le disponibilità economiche del cliente determinano in larga misura il suo comportamento, mentre nel museo è il tempo che gioca un ruolo primario”.

L’esperienza dello shopping è determinata dal tempo, a prescindere da cosa si decida di comprare, e dal denaro che si ha a disposizione per comprare. Questo avviene sia in presenza sia online.

Ancora più domande e quesiti. I musei possono ripensarsi come risorse simili a prodotti culturali che possono essere messi su scaffali virtuali e messi a disposizione degli acquirenti secondo la loro qualità e il loro tipo? Questi prodotti possono essere consumati in futuro, parzialmente consumati nel presente, creati in serie, con uscite regolari o sviluppi dell’esperienza disponibile per l’acquisto lungo un periodo di tempo definito che va dal futuro immediato a un futuro distante?

Foto di Nikki Normandeau su Unsplash
Foto di Nikki Normandeau su Unsplash

Partendo dall’esperienza low-cost e quella del supermercato propongo tre possibilità di fruizione del tempo museale. Sono tre assaggi, da comprendere più che mai come riflessioni di esperienze possibili.

Esperienza A. “Visito l’edificio principale del museo. Non mi serve un biglietto d’ingresso per visitarlo e posso rimanere quanto voglio. Ho molto tempo da trascorrere. Scelgo cinque esperienze specifiche preconfezionate in formato digitale e pago solo per quelle. Una è una semplice introduzione al museo di cinque minuti. Le altre quattro sono più lunghe e uno di questi è una sessione di meditazione, di ispirazione slow looking. Un’altra esperienza preconfezionata viene offerta a un prezzo ridotto. Scelgo anche questa perché è più corta. Finisco col trascorrere tutta la giornata al museo pagando solo per quello che mi è d’interesse specifico ”.

Esperienza B. “Scelgo l’esperienza preconfezionata online, con una scelta mirata e specifica. Uso anche le foto ad alta risoluzione per vedere nel maggior dettaglio possibile. Susseguentemente, decido di visitare lo spazio fisico del museo e mi trovo a mio agio nell’aggirarmi per le sale grazie all’esperienza online antecedente. A un certo punto scelgo una presentazione preconfezionata sulle tecniche artistiche in formato digitale, abbastanza impegnativa da seguire. Il fatto che avessi già percorso le tappe salienti nell’esperienza preconfezionata online la rende più interessante e comprensibile. Il tempo sta per finire e ho solo 15 minuti anche perché al museo paghi tanto quanto rimani con un biglietto da visita intero che parte dal trascorrere dall’ora e mezza in poi. Decido per un altra esperienza preconfezionata: un’introduzione alla galleria principale. Decido di tornare in futuro al museo. Nel frattempo tornerò sull’esperienza online più di frequente e scaricherò esperienze preconfezionate dal sito. Anche questa volta pago solo per quello che scelgo di consumare”.

Esperienza C. “Decido di visitare il museo ma ho solo 30 minuti. Scelgo un esperienza preconfezionata che include musica meditativa scelta sulla base dei miei dipinti preferiti. Decido di ritornare ma nel frattempo avrò utilizzato l’esperienza online per selezionare e scegliere le opere che vorrei vedere e per scaricare i contenuti preconfezionati in anticipo. Nel frattempo avrò utilizzato l’esperienza ludica online ossia il videogioco del museo che è gratis e mi dà la possibilità di avere dei premi tra cui uno sconto per un prodotto di design da prendere al bookshop quando tornerò”.

L’innovazione che il museo cerca potrebbe giacere nelle periferie. L’identità autoreferenziale del museo, che in un certo verso è anche storica, spesso soffoca l’innovazione alla quale il museo ambisce. Se partiamo dal museo come lo abbiamo sempre compreso e riconosciuto ci limitiamo nel riconoscere le svariate possibilità per ripensarlo in formato più fruibile, accessibile e resiliente. Non si tratta di snaturare l’idea di museo. Riguarda le svariate possibilità per la fruizione dell’esperienza inscatolata che va oltre ai ritagli o allargamenti delle finestre digitali. E il tessuto storico del museo mediterraneo come esperienza inscatolata può far nascere un sistema di fruibilità museale che va oltre lo spazio e il tempo.


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Sandro Debono

L'autore di questo articolo: Sandro Debono

Pensatore del museo e stratega culturale. Insegna museologia all'Università di Malta, è membro del comitato scientifico dell’Anchorage Museum (Alaska) oltre che membro della European Museum Academy. Curatore di svariate mostre internazionali, autore di svariati libri. Scrive spesso sui futuri del museo ed ha il suo blog: The Humanist Museum. Recentemente è stato riconosciuto dalla Presidenza della Repubblica Italiana cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia e dal Ministero della Cultura Francese Chevalier des Arts et des Lettres per il suo contributo nel campo della cultura.





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