Credo che sia comune a molti il moto di soddisfazione provato la settimana scorsa nel ricevere la notizia dello stanziamento di dodici milioni di euro, da parte del Ministero per i Beni Culturali, per portare a termine l’annosa vicenda della Loggia di Isozaki, la grande opera che completerà l’uscita degli Uffizi. E ammetto che questa contentezza m’ha portato a far aggiungere un “finalmente” al titolo dell’articolo che, su Finestre sull’Arte, abbiamo dedicato all’annuncio. Forse quell’avverbio comunicava troppo compiacimento, ma c’è anche da considerare che il caso si trascina avanti da più di vent’anni, che piazza del Grano è ancora oggi un irrisolto cantiere, e che non se ne può più di vedere quell’indecente guazzabuglio nel cuore di Firenze, con un’enorme gru che da anni è ormai entrata a far parte, in pianta stabile, dello skyline della città (chissà se ha già i requisiti per ottenere il vincolo della soprintendenza!), e con una piazza caotica e un’uscita che non è all’altezza a un museo dell’importanza degli Uffizi.
Certo, potremo discutere per ore sull’adeguatezza del progetto, o su quanto sia ancora attuale, e quindi su quanto sia buona l’idea di costruire un’architettura contemporanea vent’anni dopo che è stata progettata, almeno nelle forme in cui era inizialmente prevista. Di sicuro, qualcosa in piazza del Grano occorre pur fare, per evitare di prolungare a oltranza il cantiere pluridecennale dell’uscita degli Uffizi, ed è bene che ci si continui a porre il problema. Forse c’è però una domanda ancor più a monte, per la quale occorre una premessa: le risorse messe a disposizione per la Loggia di Isozaki fanno parte del piano strategico “Grandi Progetti Beni Culturali”, che riserva 103 milioni di euro a undici interventi in diverse città d’Italia. Così, tra opere in ritardo di vent’anni e risorse per musei e cantieri inediti, viene naturale e spontaneo chiedersi quale sia la strategia del ministro Franceschini e quali siano le sue priorità in un momento storico così delicato, con musei che faticano a riaprire (un esempio tra i tanti, e che abbiamo denunciato anche su queste pagine, è quello del Museo Nazionale di Ravenna che senza volontarî è costretto a chiudere 5 giorni su 7), città che sono state letteralmente abbandonate dai turisti, biblioteche e archivî che rilevano fortissime difficoltà.
Rendering della Loggia di Isozaki |
Evidentemente per Franceschini non è strategico o prioritario investire per migliorare l’esistente, ma per aprire nuovi musei e avviare cantieri faraonici, in località che peraltro hanno già offerte culturali varie e strutturate. È difficile comprendere quanto sia strategico, per esempio, stanziare 4,5 milioni di euro per aprire, nel pieno centro storico di Firenze, un Museo della Lingua Italiana, che sarà amministrato da un Comune di Firenze che ha avuto notevoli difficoltà nel gestire i suoi musei durante l’estate della pandemia di Covid-19, con aperture in ritardo e musei che sono ancora chiusi. E il tutto mentre le biblioteche, vale a dire i primi e più importanti presidî, assieme alle scuole, per la “promozione” della lingua italiana, languono e soffrono.
Del tutto insensato appare poi spendere 3 milioni di euro per un’inutile “Casa dei Cantautori Liguri” a Genova, un museo caldeggiato per anni dall’assessore regionale alla cultura e che avrà sede in un polo decentrato (l’abbazia di San Giuliano, già quasi completamente restaurata e recuperata, e peraltro già in uso), ma di cui non s’avverte la benché minima necessità, in una città dove non mancano strutture e iniziative che già valorizzano il cantautorato locale e la sua storia, dove ci sono musei con importanti cantieri di restauro attivi e dove tra l’altro l’amministrazione comunale ha lamentato, appena a maggio, l’insostenibilità dei costi di messa in sicurezza di alcune sedi già esistenti. E ancora, ci si domanda che senso abbia investire 5 milioni di euro per rifare da capo il Parco di Palazzo Te a Mantova, ovvero un sito molto frequentato dai cittadini, ben tenuto e che non presenta criticità serie: ma è davvero questo il momento di spendere risorse preziose per un maquillage? E ancora: è questo il momento di destinare 20 milioni di euro all’ampliamento dell’Arsenale di Venezia? O di concentrarsi su di un museo dedicato a The Floating Piers di Christo a Monte Isola, un progetto criticato anche a livello locale?
Si potrebbe obiettare sottolineando il fatto che si tratta di spese d’investimento e non di spese di gestione, e quindi sarebbe improprio far presente che il ministero apre nuovi musei quando i vecchi non hanno personale sufficiente per tenere aperto, o chiudono se mancano i volontarî. Ma sono comunque nuove strutture che avranno costi di gestione in futuro, e che spesso intervengono su realtà per le quali non è detto che gli equilibrî non debbano rompersi: il caso di Firenze, in questo senso, è decisamente esemplare.
E questo senza dimenticare il fatto che quasi tutti i 103 milioni si concentrano su grandi città (Firenze, Roma, Venezia) o su realtà turistiche importanti (Rimini, Monte Isola, Mantova). Uniche eccezioni a questo schema sono il Parco Archeologico di Laus Pompeia a Lodi Vecchio e il Parco Archeologico di Sibari (quest’ultimo, peraltro, unico intervento finanziato nel Meridione: su 103 milioni, solo 3 vanno a sud della capitale). Se è vero che la pandemia doveva spingere il ministero a puntare sul turismo di prossimità e sul rafforzamento delle strutture sul territorio, anche con l’obiettivo di spingere i cittadini a esser più partecipi nella vita culturale delle loro città, con il piano strategico “Grandi Progetti Beni Culturali” sembra invece che sia stata imboccata la direzione inversa, con investimenti su realtà ben consolidate, probabilmente in vista della ripresa del turismo di massa quando il Covid-19 sarà solo un brutto ricordo e quando potremo di nuovo tagliare nastri in pompa magna, e pazienza se poi sarà difficile gestire tutto. Nel frattempo, le navi romane di Comacchio e Ravenna continueranno a giacere in attesa d’esser restaurate, il Museo Archeologico Nazionale di Crotone continuerà a fare a meno degl’impianti di condizionamento, molti musei continueranno ad avere allestimenti ottocenteschi e collezioni non presenti online, le biblioteche a non avere le dotazioni per le acquisizioni, diversi cantieri di restauro o aree di scavo seguiteranno ad andare a rilento. Però potremo vedere la lambretta di Giorgio Gaber alla Casa dei Cantautori. Sono risultati.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).