Musei, da dove ripartire: territorio, scuola e università, alleanza col mondo produttivo


Quando terminerà la chiusura forzata, i musei si troveranno di fronte a un paesaggio nuovo. Ecco alcune chiavi su cui dovranno lavorare secondo Francesca Bazoli, presidente di Fondazione Brescia Musei: territorio, scuola e università, alleanza con altre istituzioni e col mondo produttivo.

Al pari di moltissimi altri centri vitali della vita cittadina durante i mesi della pandemia i musei sono stati chiusi: la chiusura di gran lunga più duratura che si ricordi dalla fine della guerra. In quei giorni mi è capitato spesso di pensare agli immensi spazi monumentali inaccessibili e rinserrati in un silenzio irreale come ai più fedeli custodi del tesoro di opere da essi ospitato, preziosi alleati della città capaci di preservare la bellezza per offrirla nuovamente intatta alla comunità ferita dalla diffusione del virus.

In effetti, la prima funzione dei musei, ossia quella della custodia e conservazione delle opere d’arte, non è stata affatto inficiata dagli eventi calamitosi che hanno colpito la città, e anche questa banale osservazione vale a segnare una differenza radicale con la tipologia di evento a cui del tutto impropriamente, a mio avviso, la pandemia è stata in questi difficili mesi spesso associata, ossia la guerra: la storia insegna che le mura per quanto possenti dei musei non hanno potuto impedire distruzioni, bombardamenti e saccheggi.

I musei non hanno potuto espletare la funzione che sempre più viene riconosciuta come loro propria, ossia quella di essere luoghi di “fruizione” della cultura, di disseminazione del sapere e della bellezza attraverso la conoscenza sempre più diretta e accessibile, semplice e coinvolgente delle opere e della storia da essi narrata, pensati ed organizzati per un pubblico vasto e non solo per studiosi e addetti ai lavori. Questa mancanza è stata particolarmente grave in un momento quale quello che abbiamo vissuto, in cui il vuoto e il silenzio che si sono creati nella vita delle persone avrebbero richiesto stimoli adeguati. Ed in effetti abbiamo assistito ad un enorme sforzo di tutte le istituzioni museali più importanti per riuscire a rendere virtualmente accessibili, tramite la tecnologia digitale, collezioni permanenti ed esibizioni temporanee.

Da questo punto di vista occorre riconoscere che la chiusura forzata e la correlata necessità di inventarsi nuove forme di comunicazione con il pubblico sono state un’occasione formidabile di arricchimento delle competenze digitali per tutti i soggetti coinvolti nella gestione dei musei e di accelerazione sulla strada dell’integrazione tra la fruizione fisica e quella via web, che rappresenta sicuramente una delle frontiere più avanzate della museologia. In particolare, con riferimento all’esperienza di Brescia Musei, la chiusura ha dato l’opportunità per accelerare e completare l’approfondimento, già in corso, sia sulle più innovative metodologie didattiche per l’infanzia e la preadolescenza sia sugli strumenti hands-on, digitali, multimediali e interattivi, che garantiscano il migliore ingaggio da parte dei ragazzi nelle attività laboratoriali di contatto e disseminazione artistica. Così come molti format ideati e trasmessi nei mesi di chiusura costituiscono un patrimonio di ricchezza che non resterà limitato al periodo dell’emergenza ed al mondo social. Infatti si sta operando per un trasferimento del materiale sul canale Youtube e sul sito di Fondazione Brescia Musei affinché esso possa costituire un primo nucleo di “museo digitale di Brescia”.

D’altro lato, il grande esperimento sulle potenzialità del digitale condotto durante il periodo di segregazione forzata ha dato prova evidente dei limiti che inevitabilmente incontra l’impiego della tecnologia nella comunicazione artistica: laddove questa si pone in funzione sostitutiva, invece che strumentale/integrativa, dell’esperienza diretta, si rivela inefficace e tediosa. Come nelle relazioni umane, cosi anche nella relazione con l’opera d’arte la presenza fisica non è sostituibile, fondata com’è su cinque sensi invece che su uno o due soltanto.

Brescia, il Museo di Santa Giulia
Brescia, il Museo di Santa Giulia

Proprio per questo la Fondazione ha ritenuto doveroso, tra le primissime istituzioni museali in Italia, restituire fisicamente alla comunità il suo patrimonio d’arte e di storia non appena la riapertura è stata autorizzata, ovviamente nel più rigoroso rispetto delle norme e dei suggerimenti elaborati dalle autorità e dalla comunità scientifica al fine di rendere sicure le visite.

La fortissima discontinuità con le abitudini consolidate imposta dalla pandemia ha dunque da subito dato impulso alla sperimentazione di nuove forme di frequentazione e fruizione del patrimonio artistico. Non solo: essa aggiunge, a mio avviso, un grande stimolo alla riflessione che già era in corso su quali modelli di attività e quale tipologia di programmazione debbano perseguire le istituzioni culturali, specie in un luogo come la nostra città.

Quel che ora appare infatti del tutto evidente è il limite di un modello necessariamente basato su grandissimi numeri di visitatori, su massicci trasferimenti di opere e di persone, su ingenti investimenti di denaro: pare fin troppo chiaro, invero, che la segregazione delle persone imposta dalla pandemia ha acceso un enorme riflettore sui problemi di sostenibilità, di ordine sia economico sia sociale sia ambientale, che già si erano profilati con riferimento ad un modello di turismo culturale necessariamente globale e di massa.

Viceversa, anche l’esperienza di questi mesi, da intendersi quasi come uno stress test sulla tenuta delle istituzioni culturali, mi pare possa consolidare l’idea di una vocazione alla “prossimità” dell’istituzione rispetto al suo territorio, sia dal punto di vista della funzione che dei contenuti.

Dal punto di vista funzionale la prossimità al territorio deve essere intesa come un ingaggio sempre più forte e strutturato dell’istituzione museale al servizio della comunità di appartenenza e, nel contempo, come l’appropriarsi da parte della comunità in tutte le sue diverse componenti degli spazi museali.

L’ambito elettivo per questo reciproco scambio si pone innanzitutto nel campo della formazione e, quindi, con la scuola: è possibile infatti immaginare che i già numerosi e qualificati servizi ludo/didattici/educativi che i musei più strutturati svolgono a favore delle istituzioni scolastiche e più in generale dei ragazzi in età scolare (Santa Giulia ne è un esempio virtuoso, in termini di organizzazione di visite specifiche, summer campet cetera) possono essere integrati mettendo a disposizione gli stessi spazi museali e le competenze di personale altamente qualificato per lo svolgimento di attività scolastiche curriculari. E così, oltre a risolvere nella contingenza del momento attuale il paradosso rappresentato da scuole troppo piene a fronte di musei troppo vuoti, si rinsalderebbe la forza di un legame virtuoso tra la città e i suoi abitanti in formazione, di qualsiasi provenienza essi siano, un legame fondato sulla consapevolezza dell’alto valore di cittadinanza che il patrimonio artistico adeguatamente raccontato e vissuto può donare alle giovani generazioni e sulla cultura della bellezza quale valore fondativo di una crescita armonica.

Allo stesso modo, è possibile immaginare un rafforzamento del legame tra istituzioni museali e universitarie nel segno della reciproca permeabilità, da realizzarsi sia a livello di collaborazioni scientifiche o didattiche sia, ancora, nell’utilizzo degli spazi museali ovvero in forme di accessibilità privilegiata alle collezioni e agli archivi a favore degli studenti.

Un altro terreno su cui è possibile declinare altre forme di prossimità tra istituzione museale e territorio è quello dell’alleanza con istituzioni pubbliche e private nonché con il vasto mondo del volontariato per fronteggiare le varie forme di disagio sociale e materiale, sia che questo riguardi i giovani, gli anziani o i malati. Da questo punto di vista le sperimentazioni già in atto paiono particolarmente promettenti e ampi sviluppi possibili.

Del tutto necessario e strategico risulta poi il rafforzamento del legame con il mondo produttivo, mediante la creazione di una “comunità” di attori privati e istituzionali, che trascenda la dimensione tradizionale del tipico patto sinallagmatico intrinseco alle sponsorizzazioni culturali, rinnovandolo in una logica di apertura, condivisione di progettualità ed anche di spazi fisici, comunicazione e creazione di esperienze diffuse per la presa di coscienza del ruolo chiave di ciascun attore nel raggiungimento degli alti obiettivi sociali legati al sostegno e alla promozione culturale. Occorre cioè istituire un rapporto duraturo, partecipativo e mutualmente beneficiale tra istituzioni museali ed aziende all’insegna della promozione di quel fondamentale asset di sviluppo sociale ed economico della città che è costituito dal suo patrimonio culturale. Enfatizzare a livello locale questo legame naturale tra attori privati e enti pubblici di gestione nella valorizzazione del patrimonio consente, in altre parole, di “risvegliare le radici” confrontandosi con la contemporaneità del proprio territorio quale volano essenziale per lo sviluppo della collettività.

Chiudo queste brevi note con un quesito, a partire dal tema della prima mostra temporanea organizzata al Museo di Santa Giulia dalla riapertura dei Musei, dopo gli oltre settanta giorni di segregazione e i poco più di due mesi di riavvio delle attività museali al pubblico. Il progetto “GestoZero. Istantanee 2020” ci parla, con il linguaggio dell’arte contemporanea, dell’emergenza e del dramma che abbiamo vissuto in una prospettiva di rinascita, nel segno della riaffermazione della capacità creativa dell’uomo. Esso affronta direttamente il tema del vuoto da cui il gesto di creazione artistica trae l’opera in vita e della fatica, del silenzio di cui quel gesto necessariamente si nutre e di cui, in qualche modo, l’isolamento mortifero cui la pandemia ha costretto è metafora, che indica la necessità e la fatica del suo superamento. L’origine della creatività ci porta dunque in un contesto che pare infinitamente lontano dagli esiti di un certo mondo dell’arte, in particolare dell’arte contemporanea, che pare dominato da attori (mi riferisco in particolare ad alcune gallerie internazionali dai ricavi miliardari) mossi da interessi che evidentemente trascendono i valori legati alla pura autenticità e creatività del gesto artistico. Mi chiedo dunque se l’esperienza che abbiamo vissuto possa anche in questo campo mettere in crisi modelli “da globalizzazione capitalistica” per segnare la via di un ritorno necessario ad una considerazione più ravvicinata ed attenta dell’autenticità e della fatica della creazione artistica.


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