Secondo l’assessore al turismo di Roma, Alessandro Onorato, visitare la Fontana di Trevi dovrebbe essere una “experience”, qualunque cosa voglia dire: parola sua, lo ha detto in un video che ha pubblicato sul suo profilo Instagram. Ora, non è importante indagare quale sia il significato di questo nuovo, ridicolo anglicismo: è importante capire che, per chiunque verrà da fuori Roma, questa “experience”, in un futuro più o meno prossimo, dovrà essere pagata. L’assessore ha già illustrato il piano: l’accesso alla piazza, dice, sarà libero, ma chiunque desideri scendere nel catino della fontana dovrà prenotare il proprio posto via internet, scegliere la fascia oraria in cui presume di andare a vedere la Fontana di Trevi, e pagare un biglietto che avrà un costo di due euro o giù di lì.
La misura, stando alle credenze dell’assessore, avrà diversi effetti benefici: dice “maggiore tutela per il bene”, e poi lunghe mailing list di turisti che s’iscriveranno al portale per le prenotazioni, e addirittura un “turismo più sostenibile perché non si potrà più entrare nel catino col cibo e i gelati ma questo si consumerà fuori dal monumento”. Cosa intende l’assessore per “maggiore tutela”? Investire per lucidare le superfici d’un monumento ch’è stato peraltro già rinnovato nove anni fa, con due milioni di euro messi a disposizione da un privato? No: più banalmente, lo spiega in un altro video, per lui “maggiore tutela” significa impedire le azioni dei “vari mitomani che si tuffano credendosi forse Mastroianni”. Probabilmente l’assessore non è stato minimamente sfiorato dall’idea che un turista pagante potrebbe comunque essere tentato dalla voglia di nuotare nella fontana, e se questo è il proposito non sarà certo un obolo di due euro a trattenerlo. E probabilmente non è stato neppure toccato dall’idea che il turista armato di patatine acquistate dal noto fast food a cinquanta metri dalla Fontana di Trevi (è l’esempio che fa Onorato) non deciderà di cambiare le sue abitudini alimentari solo perché l’assessore lo costringe a pagare due euro per vedere il monumento da vicino: semplicemente, si limiterà a masticare e sbriciolare sul pavé della piazza anziché sui gradoni di travertino della Fontana. Se questa è la sua idea di tutela, si può dare all’assessore una notizia: per tutelare il monumento e rendere più sostenibile il turismo in accordo coi suoi concetti di tutela e sostenibilità, è sufficiente qualche vigile in più.
Perché se questo è il punto, mettere a pagamento l’ingresso alla Fontana di Trevi non servirà a garantire maggior tutela, né a rendere più sostenibili i flussi turistici della capitale. Se oggi alla fontana vanno ogni giorno diecimila persone che non pagano niente, domani ce ne andranno diecimila che pagheranno due euro. O, forse ancor meglio, una parte di questi diecimila pagheranno due euro, e gli altri si accalcheranno sulla piazza, così da rendere ancor più complicato e fastidioso il passaggio. Le masse che attraversano la piazza non conosceranno la minima modifica dopo che per entrare nel catino della Fontana si pagherà un biglietto di due euro. È semplicemente un’idea distopica che vuole dettare al viaggiatore, al cittadino e più in generale al passante i ritmi con cui godersi la fontana, frugandogli nelle tasche e mettendogli addosso anche una certa fretta. È una stoccata inferta al flâneur o, più banalmente, a chiunque voglia girare per Roma senza l’ansia demenziale e frenetica di dover programmare minuto per minuto la propria passeggiata (dato che la fenomenale pensata dovrebbe imporre a chiunque voglia vedere da vicino la Fontana di Trevi di sapere con largo anticipo a che ora ci passerà davanti). È un’idea sbagliata perché cancella la funzione primaria della Fontana di Trevi, quella di essere parte ancora viva d’una città, per trasformarla in un’attrazione turistica ingabbiata. È una trovata grottesca che ammazza ogni sorpresa e ogni emozione, e che non ha altro scopo se non quello di trasformare in un bancomat il più famoso monumento di Roma rimasto ancora gratuito, ancora non toccato dalle politiche turistiche di chi, più o meno inconsciamente, considera i centri storici delle nostre città come dei grandi parchi a tema. Mettere la Fontana di Trevi a pagamento significa compiere un ulteriore passo verso la completa trasformazione di Roma in una Disneyland dell’antichità, in un luna park dove i monumenti non sono più tracce della sua storia, brani della memoria collettiva, patrimonio che appartiene a tutti coloro che li ammirano, ma diventano più banalmente giostre, attrazioni, scenografie per autoscatti da pubblicare sui social.
Se proprio si deve pagare per vedere la Fontana di Trevi dall’invaso, allora è più apprezzabile la schiettezza della ministra del turismo Daniela Santanchè, priva d’ogni remora nel dichiarare che “dobbiamo mettere a reddito le nostre ricchezze, quindi va bene far pagare e creare un meccanismo di prenotazione, e non di numero chiuso”. Sarà pure una visione rozza, antiquata e sorpassata del patrimonio culturale, ma almeno si presenta senza veli. Perché parlare a sproposito di tutela e sostenibilità, quando l’unico fine plausibile di questa pensata è la messa a reddito di uno dei monumenti più famosi del mondo? L’idea dell’amministrazione capitolina è la quintessenza della mercificazione del patrimonio culturale: chiedere a tutti (anzi, quasi tutti: i romani, gentilissima concessione, saranno esclusi dall’obolo, ma dovranno comunque sottostare alla prenotazione) di pagare per vedere un monumento pubblico, che fino a oggi è, come del resto è normale che sia, di libero accesso e davanti al quale chiunque si può fermare quanto gli pare, senza aver l’assillo d’una hostess o d’uno steward che, a tempo scaduto, lo invitano a togliersi di mezzo.
“Stiamo ragionando su come rendere operativa la proposta”, dice l’assessore nel video. C’è un solo modo per renderla operativa: evitare che si concretizzi. Lasciare tutto com’è. Lasciare che la Fontana di Trevi rimanga un monumento pubblico ad accesso libero. Certo, i sostenitori della proposta si domanderanno allora quali dovrebbero essere le adeguate contromisure per gestire i flussi che attraversano la piazza. Non c’è nessuna contromisura: i flussi non si possono gestire una volta che arrivano davanti alla fontana, a meno che non si voglia chiudere la piazza, misura ancor più distopica e impraticabile. L’unico modo per gestire i flussi è agire più a monte. A Barcellona, per esempio, hanno cominciato ad affrontare il problema decidendo di non rinnovare le licenze per gli affitti brevi, con l’obiettivo di mitigare almeno in parte gli effetti del turismo di massa. Nella città italiana che, nell’ultimo anno, ha conosciuto il più vistoso aumento degli affitti brevi (e nel 2025, anno del Giubileo, sicuramente la situazione non migliorerà), forse occorre cominciare a ragionare di politiche turistiche in modo un poco più ponderato.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).