Lupi, mani e carneadi. Gli Uffizi hanno un problema con l'arte contemporanea?


Le ultime due iniziative d'arte contemporanea degli Uffizi sono molto discutibili. E il museo non ha nel comitato scientifico un esperto d'arte contemporanea. Gli Uffizi hanno quindi un problema?

Possono le Gallerie degli Uffizi, il più grande e visitato polo museale del nostro paese, e dov’è conservato il meglio dell’arte italiana (e non solo) di tutti i tempi, concedersi momenti di eccessivo... rilassamento sull’arte contemporan-ea? I dubbî giungono rapidi e spontanei se si considerano le ultime due iniziative che le Gallerie hanno accolto: riesce davvero difficile ritenerle all’altezza del contesto che le ospita. La prima, ormai nota a tutti, sono i lupi del cinese Liu Ruowang, piombati in piazza Pitti un paio di settimane fa. La seconda sarà invece presentata martedì 4 agosto al Giardino di Boboli: si tratta di Give, un’opera di Lorenzo Quinn, dono dell’artista alla città di Pietrasanta, che sarà esposta a Firenze, proprio al Giardino di Boboli, fino al 1° novembre.

Sull’installazione di Liu Ruowang s’è già detto di tutto, e i commenti sono stati per lo più negativi, sia sull’artista (sostanzialmente un carneade di quarantatré anni, privo d’un curriculum solido, con esperienza internazionale scarsa, e che praticamente mai ha esposto le sue opere in contesti di livello), sia su questi improbabili lupi dall’aspetto cartoonesco e tutt’altro che “minaccioso”, come lo ha definito il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, intervenuto all’inaugurazione (perché i lupi, prima d’arrivare nel capoluogo toscano, erano stati a Napoli: e siccome la loro sortita partenopea evidentemente non bastava, s’è ben pensato di replicare sulle rive dell’Arno).

Ma il problema non è solo il curriculum dell’autore. Ho idea che Liu Ruowang in persona abbia frainteso la sua stessa opera. I lupi, ci hanno spiegato gli organizzatori, vogliono essere un’allegoria della risposta della natura alle devastazioni che l’uomo infligge all’ambiente, e un momento di riflessione sul rapporto tra essere umano e natura, oltre che su tutte le gravi problematiche ambientali che sconvolgono il mondo: l’annientamento dei paesaggi, i cambiamenti climatici, il riscaldamento globale, e via dicendo. L’idea, ha detto ancora De Magistris, è quella di “sollecitare il dovere morale di tutelare l’ambiente e custodirlo in buona salute per le generazioni che verranno”. Eppure, tutti abbiamo presenti le foto dell’inaugurazione, con il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, a cavalcioni di una delle belve orientali, e il sindaco di Firenze, Dario Nardella, seduto a terra nell’atto d’abbracciarne un’altra, assieme ai sorridenti Schmidt e De Magistris. L’artista stesso, da quanto m’è parso d’aver compreso, non disdegna l’interazione tra pubblico e opera. E allora, i casi non possono essere che due. O si tratta di un’opera dal significato grave, e allora merita il dovuto rispetto e un approccio contegnoso, e il pubblico dovrebbe stare ben distante per evitare di farsi prendere dalla tentazione di ridere di un’opera che in teoria non affronta i problemi del presente con l’arma dell’ironia (o se lo fa, non s’è capito). Oppure, si tratta di un’opera poco seria, e di conseguenza, in ragione della sua poca serietà, non viene presa sul serio dalle stesse istituzioni.

I lupi di Liu Ruowang
I lupi di Liu Ruowang


De Magistris, Schmidt e Nardella con uno dei lupi di Liu Ruowang
De Magistris, Schmidt e Nardella con uno dei lupi di Liu Ruowang


Give di Lorenzo Quinn
Give di Lorenzo Quinn

L’opera di Lorenzo Quinn, invece, dev’essere ancora presentata e scoperta. Credo che però non serva vederla dal vivo per rendersi conto che, anche questa volta, il figlio di Anthony ci rifilerà la solita sbobba: le sue enormi manacce che sono ormai divenute il suo riconoscibile marchio di fabbrica. Quinn, gioverà ricordarlo, s’è fatto conoscere dal grande pubblico (che per qualche ragione apprezza i suoi interventi: si tratta, del resto, di un’arte facilissima, un’arte fast food, priva di consistenza e di poesia) intrufolandosi a Venezia ad anni alterni, ovvero in concomitanza con la Biennale: naturalmente non è mai stato invitato alla Biennale (se non nel 2011, al famigerato padiglione Italia di quell’anno), ma per due volte di seguito è riuscito a piazzare le sue brutte manone in punti strategici della città. Specialmente lo scorso anno, quando ha creato non pochi grattacapi facendo piovere sulla città lagunare una sorta di pergolato di mani tozze e sgraziate, che nelle sue intenzioni dovevano ricordare dei ponti in grado di costruire un mondo migliore, ma che a me (e presumo a tanti altri) hanno semmai rammentato situazioni inverse, ovvero certi monumenti tronfi e trionfalistici da dittatura mediorientale (le si confronti, ad esempio, con l’arco della Vittoria di Baghdad, eretto sotto il regime di Saddam Hussein): questi Building Bridges erano stati collocati proprio di fronte all’Arsenale, e molti credevano facessero parte della Biennale: e cadendo sull’argomento occorreva spesso chiarire l’equivoco e sottolineare che, no, Lorenzo Quinn con la Biennale di Venezia non aveva niente a che fare, ed era semplicemente uno dei tanti che sfruttavano le luci della principale mostra d’arte contemporanea del mondo per ottenere una mezza riga su qualche giornale.

Anche Quinn, al pari di Liu Ruowang, è artista che non ha all’attivo esposizioni prestigiose o in contesti rilevanti, e non è in alcun modo sostenuto dalla critica autorevole. Eppure, anche lui, tra qualche giorno, potrà fregiarsi di una mostra nel contesto delle Gallerie degli Uffizi: ospitare però eventi simili non giova a nessuno, né al pubblico (molti, vedendo Quinn al Giardino di Boboli, penseranno d’ammirare l’opera d’un artista significativo: non è così), né agli stessi Uffizi (se si continua in questo modo, s’arriverà a un punto in cui, per un artista contemporaneo, dire d’aver esposto agli Uffizi, dove pure ci sono state diverse mostre d’artisti contemporanei di livello, non sarà più un attestato d’autorevolezza). Non sembra un problema dell’attuale gestione, perché anche anni addietro si ricordano mostre d’arte contemporanea di bassa qualità, davvero non all’altezza degli Uffizi (su tutte sovviene alla mente la personale di Andrea Martinelli nella Sala del Camino, nel 2013): è probabilmente un problema strutturale, dettato dal fatto che, anzitutto, il contemporaneo non è ovviamente il focus principale degli Uffizi (ma questo di per sé non sarebbe un ostacolo) e che, almeno attualmente, nel comitato scientifico del museo non ci sono esperti d’arte contemporanea. Un vulnus, quest’ultimo, che risulta incomprensibile, se il museo, nei proprî intendimenti, ha quello di continuare a proporre arte contemporanea. E che andrà sanato al più presto, perché gli Uffizi e il loro pubblico, sul contemporaneo, meritano davvero di meglio.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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