Se c’è da trovare un vero scempio che rischia di consumarsi attorno alla riqualificazione di via dei Fori Imperiali a Roma, lo si potrebbe agilmente individuare nel mantenimento dello status quo. Occorre naturalmente premettere che una coltre fumosa avvolgeva, ancor prima che venisse affossato, il progetto per il nuovo riassetto dello stradone, aperto sotto il regime fascista, che collega Palazzo Venezia al Colosseo. Pochi i dettagli trapelati sinora: il progetto “Centro Archeologico Monumentale” (CArMe) doveva ancora esser presentato alla cittadinanza, e sulla carta era ancora molto aperto, tanto che l’effettiva realizzazione doveva passare attraverso un concorso pubblico internazionale, ideato per richiamare a Roma i più grandi architetti, urbanisti e progettisti che avrebbero consegnato alla città e a tutti la nuova configurazione dell’area archeologica più bella del mondo. O meglio: il concorso ci sarà. Ma non ci sarà il progetto CArMe per com’era stato conosciuto sino a questo punto.
Presentato nell’autunno del 2022, il progetto era fondato sull’idea di “riconoscere gli antichi fori come piazze contemporanee”, come si leggeva nella relazione preliminare. Un progetto che fosse in grado di “restituire la visione integrale del foro di Traiano, di Augusto, di Cesare, di Nerva e del Templum Pacis e di mostrare, nel contempo, anche le testimonianze più significative delle fasi tardoantica, altomedievale, medievale, rinascimentale e barocca”. Un progetto che interveniva su quel tessuto che l’apertura di via dei Fori Imperiali aveva reso difficilmente leggibile: trasformare le rovine in una sequenza di spazi pubblici connessi al resto della città, con la via dei Fori Imperiali trasformata finalmente in uno spazio pedonale coerente coi resti archeologici, in una successione di piazze con affacci, discese, una nuova illuminazione, incremento del verde, la possibilità d’ospitare mostre ed eventi, il mantenimento d’un paio di corsie riservate ai mezzi pubblici per non compromettere la mobilità urbana. Il CArMe, per quanto ancora non presentato nei dettagli, aveva il potenziale per cogliere l’eredità del visionario “Progetto Fori”, una proposta a cui aveva lavorato, negli anni Settanta, l’allora soprintendente archeologico Adriano La Regina, assieme a personalità illustri della cultura, dell’architettura e dell’urbanistica, come Antonio Cederna, Italo Insolera, Vezio De Lucia e altri: l’idea, allora come oggi, era quella di restituire i fori a cittadinanza e visitatori, senza trasformarli in quello che la retorica ci ha abituati a chiamare un “museo a cielo aperto”, senza recintare l’area archeologica scollegandola dunque dal resto della città, ma integrandola nel tessuto urbano, rendendola uno spazio che non fosse solo leggibile, ma anche vivibile.
Il Progetto Fori cominciò a spegnersi nel 1981, dopo la scomparsa del sindaco Luigi Petroselli che l’aveva fortemente sostenuto. Il CArMe poteva essere l’occasione per dare finalmente forma al sogno d’un’area dei fori trasformata in uno spazio pubblico nel cuore del centro di Roma. Sottoporre a profonda revisione una strada ormai sovradimensionata e dunque anacronistica, oppure semplicemente “inutile” se si vuol adoperare un aggettivo utilizzato da Vezio De Lucia (e l’intervento, peraltro, non avrebbe stravolto il tracciato né l’asse prospettico, dacché il CArMe prevedeva che si continuasse a vedere il Colosseo da piazza Venezia, e quindi non avrebbe intaccato in maniera sostanziale la stratificazione novecentesca), per ricomporre il tessuto archeologico sottostante, in parte sepolto proprio da via dei Fori Imperiali, e ricongiungerlo al resto del centro storico. È in sostanza l’esatto contrario della “Disneyland” o del “luna park per turisti” di cui hanno improvvidamente parlato coloro che non vogliono che via dei Fori Imperiali venga toccata, e che hanno evidentemente frainteso lo spirito che anima il progetto, oppure semplicemente lo hanno liquidato per sentito dire. Un’area dei fori riconsegnata ai romani (che adesso peraltro tendono a evitarla) va nella direzione opposta rispetto a quella di un ipotetico paese dei balocchi per visitatori occasionali. Tanto più che per adesso si stava parlando di poco più che un’idea.
Probabilmente però non vedremo niente di tutto ciò. L’estate romana è stata animata da una sferzante campagna del Messaggero che, per motivi che francamente sfuggono, ha picchiato forte, e con frequenza quasi quotidiana, contro il progetto CArMe, alternamente bollato come uno “scempio”, un “oltraggio” (non si sa bene nei confronti di chi o di che cosa), un intervento che avrebbe “deturpato” il nucleo più antico della città. Poi, il 9 agosto, i colleghi del quotidiano romano potevano finalmente tirare un sospiro di sollievo: “i fori imperiali sono salvi”, titolavano dando notizia d’un vertice che ha riunito il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, il sindaco Roberto Gualtieri, la direttrice del Colosseo Alfonsina Russo, il sovrintendente capitolino Claudio Parisi Presicce e la soprintendente speciale Daniela Porro, e in cui si decideva per il mantenimento sostanziale delle caratteristiche della strada voluta da Mussolini. “I Fori Imperiali saranno valorizzati ma non stravolti”, si leggeva nel pezzo firmato da Ferdinando Magliaro: “niente piazzette posticce” (?), “niente gazebo”, “niente fioriere” (quasi fossero interventi permanenti!), “niente allestimenti d’arte contemporanea del tutto decontestualizzati” (come si fa a sapere che saranno “decontestualizzati” se ancora non sono stati progettati?), “niente Archeotram” (quando, in realtà, l’idea della tramvia dei fori veniva eliminata dal Piano Urbano della Mobilità Sostenibile già a inizio 2022). Sì, invece, alla strada che “rimane quella di oggi, senza ritocchi alle dimensioni della carreggiata”: “rifatti i marciapiedi, i bordi di scavo e saranno ripiantumati tutti i pini che nel corso degli anni sono crollati o sono stati abbattuti per fine vita o malattia”.
In sostanza, via dei Fori Imperiali non si tocca. Non si comprende allora a che cosa serva un concorso internazionale, se il massimo consentito sarà rifare i marciapiedi e ripiantumare i pini. E soprattutto non si comprende il perché di questa scelta. Non si capisce perché via dei Fori Imperiali va lasciata intatta: è un’idea reazionaria e anacronistica. Non ci sono motivazioni ragionevoli. Il CArMe s’ispira, come s’è visto, a un progetto cui hanno lavorato personalità autorevoli, lungimiranti, visionarie. Era ancora una sorta di piano di programmazione generale, non era ancora un piano esecutivo: certo, vigeva ancora l’incognita dell’eventuale distanza tra idea ed esecuzione, ma evidentemente anche l’idea non ha riscosso gradimento. Ed era tutto fuorché un’offesa a Roma. Anche le associazioni Bianchi Bandinelli, Italia Nostra Roma e Carteinregola hanno inviato al sindaco Gualtieri una lettera per chiedere i motivi d’una decisione che per ora appare sostenuta, secondo quanto si legge nella missiva, dal “solo ed unico scopo di servire allo svolgimento di parate militari”. Se questa è davvero la ragione, la scelta di rinunciare al progetto originario assume contorni ulteriormente curiosi, se non grotteschi. Ma davvero si rinuncia a un progetto pensato per il futuro di Roma perché non si riesce a trovare un altro posto per la parata del 2 giugno? Allora, come ha scritto Giovanni Caudo, presidente della Commissione Speciale PNRR del Comune di Roma, se si lascia tutto com’è occorrerebbe almeno avere il coraggio di fare l’unica cosa che avrebbe senso fare con una via dei Fori Imperiali sostanzialmente inalterata: “la riapertura al traffico”, “almeno così si giustificherebbe la conservazione della sede stradale”.
C’è poi un altro tema: la riqualificazione di via dei Fori Imperiali è già stata inserita nel Dpcm dello scorso 8 giugno che approva la proposta di programma dettagliato degli interventi connessi alle celebrazioni del Giubileo del 2025. Per l’intervento numero 23, “pedonalizzazione e riqualificazione via dei Fori Imperiali”, sono stati già assegnati 10,5 milioni di euro: “l’obiettivo dell’assetto per la futura nuova area dei fori imperiali”, si legge nell’allegato al decreto, “è quello di una integrazione spaziale, funzionale e monumentale del livello contemporaneo con quello archeologico, per la realizzazione di una nuova scena di spazio pubblico e per la trasformazione degli antichi fori in piazze contemporanee, non musealizzate e aperte alla vita cittadina”. Il decreto specifica anche come raggiungere l’obiettivo: discese e piazze pubbliche ubicate sulla quota archeologica, affacci, possibilità di organizzare manifestazioni culturali. Ci sono poi altri stanziamenti: un milione e mezzo di euro per la “valorizzazione dell’immagine urbana” dell’anello archeologico del CArMe (ovvero gli allestimenti, gli arredi urbani e le opere d’arte che serviranno per definire l’immagine unitaria dell’area), 1,8 milioni per l’ampliamento del centro servizi di Via del Tempio della Pace, trecentomila euro per il concorso internazionale, e altro ancora. Non si comprende allora come si possa dar seguito all’idea di creare “un’integrazione del livello contemporaneo con quello archeologico per la realizzazione di una nuova scena di spazio pubblico” se non sarà possibile toccare alcunché. Bene allora fanno le associazioni a chiedere al sindaco la divulgazione di entrambi i progetti nei loro dettagli, sia quello originario sia quello modificato, per poter discutere con maggior cognizione di causa.
Per adesso, non rimane che attendere i prossimi sviluppi, nella speranza che il progetto non si limiti a riconsegnarci via dei Fori Imperiali così com’è, con solo qualche marciapiede rifatto e qualche pino ripiantumato. E con la consapevolezza che la vera sistemazione della strada non è che rimandata, dal momento che un intervento che integri veramente la via con l’area archeologica è inevitabilmente scritto nel futuro di Roma. Lo scriveva già nel 1981 Antonio Cederna: “Smantellare l’asfalto, riportare in luce i fori imperiali significa sottrarre le antichità all’uso triviale che finora se ne è fatto, ridotte come sono state a semplici fondali scenografici sprofondati in catini, e restituire ad esse il ruolo di protagonisti della scena urbana, a contatto vitale e non superficiale e retorico della gente”. Questo servirebbe a una Roma moderna.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).