Viviamo un’epoca dove i luoghi, quelli definiti come tali, sono diventati sempre più liquidi, indefiniti. La geografia, come la percepiamo, è mutata. Quasi senza accorgercene, ci siamo trovati immersi in spazi che non sono più legati alla storicità di un contesto o a un’identità culturale riconoscibile. Siamo abituati a navigare nei non-luoghi, zone di passaggio dove il tempo e lo spazio sembrano diluirsi; eppure la nostra esperienza, come esseri umani, rimane densa di significato. L’arte contemporanea ha cominciato a interrogarsi su questi spazi, non solo come luoghi fisici, ma come possibilità di interrogare la nostra condizione nell’oggi, quella sospensione tra il “qui” e il “là” che caratterizza le nostre vite.
Il concetto di “non-luogo” è stato introdotto dal sociologo Marc Augé per descrivere ambienti privi di una dimensione sociale riconoscibile: centri commerciali, stazioni, aeroporti, autostrade. Sono spazi che non raccontano una storia, che non sembrano avere radici, eppure, proprio per questo, riescono a essere il palcoscenico perfetto per una riflessione contemporanea sulla nostra condizione esistenziale. Ci troviamo così di fronte alla sfida dell’arte di oggi: come riuscire a creare significato in spazi che per definizione sono privi di senso o di memoria? Come dare vita a un’arte che non risponde al tempo o al luogo tradizionale, ma che trova il suo spazio nell’effimero, nella temporaneità di un’esperienza che non si radica in nulla di stabile?
Alcuni artisti si confrontano con questa sfida con una lucidità che rasenta la poesia. Pensiamo a Olafur Eliasson, la cui installazione The Weather Project (2003) alla Tate Modern ha saputo restituire una sensazione di intimità e collettività in uno degli spazi più impersonali, quella gigantesca ex centrale elettrica di Londra. Eliasson ha creato un’illusione di sole, una sfera sospesa che riempiva la navata centrale del museo. Quello che avrebbe dovuto essere un non-luogo si è trasformato, attraverso l’arte, in un simbolo di connessione umana, una riflessione sul nostro rapporto con l’ambiente e con gli altri.
Ma la vera sfida dell’arte nei non-luoghi sta proprio nel suo rapporto con l’effimero. Gli spazi non-luoghi sono transitori, e la loro stessa natura è quella di non lasciare tracce durature. L’arte, quindi, si trova ad affrontare la precarietà del proprio essere. La temporalità diventa un concetto centrale. Non si tratta più di un’opera che resiste al tempo o che si stabilisce in un luogo, ma di un atto artistico che esplora e valorizza la propria evanescenza. Un esempio affascinante di come l’arte possa rispondere a questa sfida ci viene dalla pratica di Rirkrit Tiravanija, artista thailandese di fama internazionale. Tiravanija è noto per le sue opere site-specific che rifiutano la consueta fruizione estetica in favore di un’esperienza di partecipazione collettiva. In una delle sue installazioni più riconoscibili, Untitled (Free) del 1992, l’artista trasformò la galleria d’arte in un vero e proprio spazio conviviale, dove i visitatori potevano partecipare a un’esperienza di cucina e condivisione di un pasto. Il “non-luogo” della galleria veniva quindi invaso dal gesto quotidiano del cucinare e del mangiare, dando una nuova dimensione all’arte. La sua installazione non cercava di “decorare” lo spazio, ma di renderlo attivo e coinvolgente. La temporaneità dell’evento, la fugacità dell’esperienza culinaria, si faceva simbolo di un’arte che rifiutava di diventare statica o prefigurata. In questo contesto, l’arte diventa un atto che riattiva lo spazio non-luogo, lo trasforma in un luogo effimero ma significativo, anche se solo per un istante.
Allo stesso modo, Carsten Höller, altro esponente di questa nuova arte che sfida la permanenza, ha messo in scena esperienze sensoriali in spazi che sfiorano il non-luogo, come nei suoi lavori che ricreano atmosfere da parco di divertimenti o da esperimento scientifico. Le sue installazioni, come la famosa Test Site alla Tate Modern, con le scivolate in acciaio che attraversano la galleria del museo, creano un’atmosfera di gioco e di disorientamento. Lo spazio museale, tipicamente solenne e immutabile, diventa un non-luogo sospeso in un tempo effimero, dove le regole dello spazio sono totalmente ridefinite e il pubblico è invitato a partecipare fisicamente all’opera. L’effimero, in Höller, non è mai un’assenza, ma una presenza che risponde a un’immediata attualità sensoriale, trasformando ogni attimo in un’esperienza unica e irripetibile.
La questione del non-luogo è legata, dunque, a una ricerca del temporaneo, ma non come un aspetto negativo o di perdita, quanto piuttosto come una dimensione nuova da esplorare. È l’arte che si fa “evanescente”, per definizione capace di assaporare l’inadeguatezza e di sopravvivere grazie alla sua stessa impermanenza. L’arte nei non-luoghi non è pertanto una forma di evasione, ma un modo per riappropriarsi di un significato che sfida le regole stesse della stabilità e dell’immortalità dell’opera. Essa non si propone come resistenza alla fugacità, ma come un’esplorazione della sua potenza. L’effimero diventa il palcoscenico in cui si scrive una storia che è tanto più potente quanto più è destinata a svanire. L’arte, in questo senso, diventa un’esperienza che trascende il confine del luogo fisico e temporale per lasciare una traccia nelle emozioni, nei pensieri e nei sensi di chi vi ha partecipato.
Ecco perché, per artisti come Tiravanija e Höller, l’arte nei non-luoghi non è mai semplicemente un gesto di protesta contro la staticità dei luoghi, ma un invito a riscoprire ciò che accade nell’attimo presente, nell’incontro, nel passaggio. Un invito a riflettere su come il significato possa risorgere proprio lì dove meno ce lo aspettiamo: nell’effimero, nel fuggevole, nell’inatteso. Così, il non-luogo diventa il luogo ideale per un’arte che celebra la fragilità del nostro esistere, trasformandola in una nuova, potente forma di resistenza.
In un mondo che sembra voler sigillare ogni spazio e ogni esperienza in un formato definitivo, l’arte dei non-luoghi ci ricorda che, forse, ciò che è effimero ha un valore proprio per la sua transitorietà. Non si tratta solo di esistere, ma di riscoprire la bellezza del momento, di un istante che non ritornerà, ma che, grazie all’arte, diventa eterno nel cuore di chi lo ha vissuto. E, alla fine, è proprio questo il paradosso che l’arte nei non-luoghi ci invita a riflettere: come dare senso a uno spazio che non ce l’ha, e come trovare un’ancora di significato nel flusso continuo della vita contemporanea.
L'autrice di questo articolo: Federica Schneck
Federica Schneck, classe 1996, è curatrice indipendente e social media manager. Dopo aver conseguito la laurea magistrale in storia dell’arte contemporanea presso l’Università di Pisa, ha inoltre conseguito numerosi corsi certificati concentrati sul mercato dell’arte, il marketing e le innovazioni digitali in campo culturale ed artistico. Lavora come curatrice, spaziando dalle gallerie e le collezioni private fino ad arrivare alle fiere d’arte, e la sua carriera si concentra sulla scoperta e la promozione di straordinari artisti emergenti e sulla creazione di esperienze artistiche significative per il pubblico, attraverso la narrazione di storie uniche.