Con questo articolo, dal titolo volutamente provocatorio, vorrei tornare a parlare della rapina al Museo di Castelvecchio di Verona, anche alla luce degli ultimi sviluppi della vicenda: riteniamo sia doveroso continuare a focalizzare la nostra attenzione su uno dei più sconvolgenti eventi che abbia interessato il patrimonio storico-artistico italiano negli ultimi anni perché, con il furto delle diciassette opere d’arte del museo, è come se si fosse volatilizzata una parte della nostra stessa identità culturale. La vicenda, a nostro modo di vedere, non riguarda soltanto Verona: riguarda tutti noi, perché alcune delle opere trafugate sono tra le più importanti della storia dell’arte e costituiscono altissime testimonianze delle evoluzioni che l’arte ha conosciuto nel corso del tempo. Averle perse equivale ad aver perso un brano della nostra memoria collettiva. Senza contare tutti i ricordi (compresi i nostri) che chiunque abbia visto le opere dal vivo serbava nel profondo della propria intimità: è un po’ come se tale intimità fosse stata violata.
Sono emersi, nelle ultime ore, certi aspetti oltremodo inquietanti. Abbiamo scoperto che i malviventi hanno avuto a loro disposizione addirittura un’ora e un quarto di tempo per condurre a termine la rapina, e abbiamo scoperto che il Museo era dotato di un sistema d’allarme che, all’attivazione, avrebbe dovuto lanciare una segnalazione visiva alla centrale operativa di Securitalia, la ditta incaricata della vigilanza, ma nonostante ciò nessuno sembrerebbe essersi accorto della mancata entrata in funzione dell’allarme. Non solo, dunque, il Museo era costretto a contare sull’operato di un’unica guardia giurata che vigilava su tutto il vasto edificio, ma nessuno dalla centrale operativa parrebbe essersi allarmato. Le indagini faranno ovviamente luce su quanto accaduto giovedì sera: certo è che tutti noi abbiamo bisogno di veloci risposte sulle condizioni di sicurezza del nostro patrimonio artistico.
Alcune delle opere rubate al Museo di Castelvecchio. Elenco completo con immagini a questo link |
Quello che però temiamo è che, da parte di chi dovrebbe tenere alta l’attenzione, la collaborazione sia ben poca. La notizia, già nelle ore vicine al momento della rapina, è stata relegata agli ultimi minuti dei telegiornali nazionali, e nei giorni seguenti gli sviluppi sono stati immediatamente declassati a notizia di cronaca locale: ormai, per informarsi sulla piega che stanno prendendo gli eventi occorre aprire i quotidiani di Verona e dintorni, oppure rivolgersi alle riviste di settore. È ovvio che siamo tutti preoccupati per gli allarmanti eventi che in questo periodo si stanno verificando in Italia e in tutta Europa, ma tacere su un così colossale furto d’opere d’arte (uno dei più gravi mai avvenuti in Italia) lascia intendere che il nostro paese sia poco interessato alla cultura. Si investono ingenti somme pubbliche in banali mostre di cassetta, si annunciano grandi eventi di dubbia utilità, ma una delle più gravi offese degli ultimi decenni condotta contro il nostro patrimonio non trova un’adeguata copertura mediatica. E senza copertura, non può scaturire un dibattito sulla sicurezza del patrimonio che non sia limitato ai soliti nomi: la nostra cultura è un patrimonio di tutta la nazione, e le sue condizioni di sicurezza dovrebbero diventare tema d’interesse nazionale. Allo stesso modo, facendo passare la rapina del Museo di Castelvecchio come una marginale notizia locale, si rischia di far perdere di vista il valore più alto delle opere d’arte, che non devono essere considerate alla stregua di celebrities di cui parlare solo in occasione di altisonanti e ben sponsorizzati eventi, oppure merce in grado di far notizia solo quando infrange un qualche record economico a seguito di una vendita. Le opere d’arte sono testimonianza del nostro passato e guida per il nostro futuro: ed è chiaro che se non riconosciamo alle opere d’arte questo immenso valore, ben più alto di quello derivante da qualsiasi stima economica, non avremo neppure la percezione del pesantissimo oltraggio che la nostra cultura ha subito giovedì sera a Verona.
Spiace inoltre dover constatare la lontananza delle istituzioni e della politica: nel momento in cui pubblico questo articolo, il ministro Dario Franceschini, a due giorni di distanza dall’inizio della vicenda, non ha ancora espresso alcuna dichiarazione, foss’anche costituita da semplici parole di vicinanza alle persone coinvolte negli attimi più concitati della rapina. Perché ricordiamo che una cassiera e una guardia giurata sono state costrette sotto minaccia a far strada ai delinquenti, e possiamo solo immaginare il trauma da loro subito. È vero che il Museo di Castelvecchio è un museo civico, e quindi non è gestito dal Ministero: ma questa non è certo una scusa valida per non rilasciare dichiarazioni. Intanto perché le Soprintendenze, che sono istituti statali, pur non occupandosi della sicurezza, affidata al Comune, hanno comunque competenza sulla vita delle opere (dichiarazioni d’interesse culturale, restauri, prestiti, trasferimenti e spostamenti). E poi perché il ministro dei Beni Culturali è il più alto rappresentante della cultura nel nostro paese: non può pertanto non sentirsi toccato dalla vicenda. E il suo silenzio è quanto mai grave e imbarazzante. Ricordiamo inoltre che il Museo di Castelvecchio è conosciuto anche per le numerose iniziative d’alto valore che si sono sempre tenute entro le sue mura: magari non facevano notizia come certe mostre di grido, ma a un ministro dovrebbe star più a cuore la qualità di un evento rispetto al clamore da quest’ultimo suscitato. O almeno, per noi e per chi ama davvero l’arte, le cose stanno così.
Adesso tutti noi nutriamo la speranza di riveder le opere tornare al loro posto. Nel frattempo, ci aspettiamo una dichiarazione da parte del ministro, e attendiamo di ricevere rassicurazioni sulle condizioni del nostro patrimonio. Non possiamo più permetterci di celebrare la bellezza a parole e poi, nei fatti, consentire che quella bellezza tanto decantata venga violentata nel peggiore dei modi: serve dunque un’inversione di tendenza, occorre riconoscere il vero valore della cultura, servono investimenti seri e produttivi, è necessario che la cultura torni ad assumere ruoli centrali nei dibattiti. Perché non vorremmo certo arrivare a pensare davvero che l’arte sia amata più dai ladri che dai politici e dai media.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).