“Troviamo preoccupanti le affermazioni del sindaco in merito ad una messa a valore di siti quali Castel dell’Ovo, il Maschio Angioino, il Pan, il Cimitero delle Fontanelle o le numerose chiese della città: dichiarazioni che lasciano intendere la volontà di introdurre o maggiorare i biglietti d’ingresso” scrivevano gli attivisti napoletani di Mi Riconosci in un articolo del 20 febbraio. Ma la “messa a valore”, era solo l’antifona di un progetto più ampio. E da questa mattina, proprio su spinta del gruppo locale dell’associazione, ha preso il via una petizione per chiedere di fermare quel progetto.
Il 14 marzo scorso infatti il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, ha presentato ai cittadini e alla stampa il suo “Piano della Cultura 2022-2026”. Il punto fondamentale del piano, già preannunciato attraverso una serie di interviste e dichiarazioni rilasciate dall’inizio di febbraio, è la creazione di una fondazione che gestisca il patrimonio culturale della città, in particolare il Maschio Angioino, Castel dell’Ovo, il Pan (Palazzo delle Arti di Napoli), il complesso di San Domenico Maggiore e l’Ipogeo di piazza Plebiscito. Sono luoghi oggi gestiti attraverso la società partecipata comunale Napoli Servizi - o completamente gratuiti (Castel dell’Ovo), o che prevedono biglietti diversi - o mai aperti al pubblico (l’Ipogeo). Secondo il sindaco “l’idea è creare una struttura per la gestione dei siti che devono avere una chiara e identificata vocazione culturale, nel senso che ad ogni contenitore deve essere associata una definita attività culturale così che il visitatore sappia che recandosi in quel sito troverà quella specifica offerta culturale”. Ma soprattutto, ha spiegato in quella sede, il modello della Fondazione consentirebbe a questi siti di avere un bilancio autonomo e dunque di non pesare sul bilancio comunale, allo stesso tempo garantendogli risorse per la manutenzione e la cura. Nelle intenzioni del comune, lo studio di fattibilità per l’istituzione della Fondazione dovrebbe chiudere a breve, e il nuovo istituto dovrebbe nascere entro la fine dell’anno. Il modello, esplicitamente dichiarato da Manfredi nell’intervista al Corriere del Mezzogiorno del 20 febbraio, è quello della Fondazione Musei Civici di Venezia.
Nel pratico quindi, fuori dal linguaggio politico, si tratta di creare un nuovo istituto di diritto privato ma partecipato al 100% dal Comune, che gestisca (in partenza) sei diversi siti, i quali, imponendo un biglietto d’ingresso (o alzando quello esistente) e contando sulla crescita dei flussi turistici che si sta registrando da un decennio a Napoli (+110% tra 2010 e 2019), possa in buona parte o totalmente, negli auspici del sindaco, autofinanziarsi. La Fondazione Musei Civici di Venezia ci era quasi riuscita, nel 2019: un anno caratterizzato dall’assenza di grandi progetti di restauro e dal picco dei flussi turistici internazionali. Ci era riuscita anche perché, negli anni precedenti, aveva ridotto gli orari di apertura dei siti e musei meno centrali nei flussi turistici, concentrando le risorse sui musei di Piazza San Marco. Poi c’è stato il lockdown, il crollo del turismo, e il seguito è cosa nota, almeno a chi segue le vicende museologiche italiane: la Fondazione ha tardato a riaprire, ha mantenuto aperture ridottissime, le più ridotte d’Italia, per tutto il 2020 e 2021, ha dichiarato a dicembre 2020 che non avrebbe riaperto i musei “in assenza di turisti”. Il tutto per tenere i lavoratori in cassa integrazione, a spese dello Stato, mentre riceveva 8 milioni di euro di aiuti statali nel 2020 e 4 nel 2021: gli stipendi della dirigenza della fondazione non venivano nel frattempo toccati. Poi qualche settimane fa altre due accuse pesanti: un tribunale l’ha condannata per intermediazione illecita di manodopera, mentre è stato aperto un fascicolo sui lavori di ristrutturazione a Palazzo Fortuny, che sembra siano avvenuti senza l’autorizzazione della Soprintendenza.
Se il sindaco di Napoli ha in mente un modello simile per Napoli, sarebbe importante che i cittadini del capoluogo campano fossero informati. I musei civici di Napoli hanno riaperto praticamente subito, dopo i lockdown. E, come il sindaco ha già chiarito, il Comune provvederebbe ai costi di manutenzione e restauro, lasciando l’onere alla neonata fondazione (come a Venezia) solo di gestire, staccare biglietti e aumentare i visitatori. Si tratta di una mossa difficile da giustificare. Come nota Marco Demarco sul Corriere della Sera, avendo il sindaco la possibilità di gestire l’intero settore culturale cittadino attraverso l’assessorato preposto (Manfredi ha tenuto per sé la delega alla cultura) la creazione di un nuovo istituto, che peraltro gestirebbe solo i siti che possono sbigliettare, non tutti gli istituti culturali civici, deve avere necessariamente altre finalità, legate a una più agile gestione di incarichi e fondi.
In questo spazio si inserisce la petizione lanciata dalla sezione locale di Mi Riconosci e sostenuta, come primi firmatari, tra gli altri dall’ex Opg-Je sò pazzo, L’Asilo, Ecomuseo Urbano Scampia, Legambiente Napoli, Italia Nostra Napoli, Rete SET, Emergenza Cultura, e altre realtà napoletane e nazionali. “Il popolo napoletano merita che i beni culturali del Comune restino liberi e gratuiti, o con biglietti molto accessibili: vanno evitati fenomeni come l’innalzamento improvviso dei biglietti, la conseguente inaccessibilità economica e l’ulteriore marginalizzazione sociale di cui soffre una città come Napoli” recita il testo. Può sembrare retorica, ma “non lo è” spiega Evelina Pasquetti, attivista di Mi Riconosci e tra le promotrici della petizione “perché se è vero che a Napoli e in Campania si è registrato un forte aumento di visitatori nei musei, questo è legato soprattutto all’aumento dei flussi turistici. La partecipazione culturale in Campania è invece più bassa rispetto alla media nazionale, sia per quanto riguarda la frequentazione di musei sia la lettura di libri e altro. Con un aumento dei prezzi o addirittura l’aggiunta di biglietti in luoghi da sempre gratuiti si rischia di allontanare ancora di più i napoletani dai loro monumenti e dagli spazi di aggregazione culturale e collettiva, proprio in questa regione e in questa città, dove è tanto necessario”.
C’è da aggiungere un fatto. Ormai esistono diverse delibere che notano criticità nelle “irragionevoli adesioni a fondazioni di partecipazione” difficili da rendere “controllabili e giustiziabili nell’interesse pubblico” (usando le parole della Corte dei Conti della Basilicata, 22 dicembre 2020). Le fondazioni private a partecipazione pubblica, secondo la Corte dei Conti, registrano “frequenti opacità nella gestione delle risorse pubbliche [..] ed, in particolare, alle attività contrattuali dalle stesse poste in essere, ivi compreso il ricorso quasi totalizzante alla negoziazione di stampo privatistico”. E ancora: “La fondazione è inquadrabile in un modello di organizzazione “atipico” di amministrazione pubblica, certamente più agile e versatile rispetto ai paradigmi tradizionali, seppur fortemente caratterizzato dall’incertezza degli istituti applicabili che scontano una disciplina legale ancora di là da venire per cui particolarmente pressante è l’esigenza che gli enti partecipanti provvedano a porre in essere ogni doverosa azione per un obiettivo controllo dell’efficienza e legittimità del complesso di spese sostenute sebbene ormai consolidate”. Forse il sindaco di Napoli ha letto questa delibera, prima di ipotizzare una nuova fondazione che gestisca per intero il patrimonio civico pubblico, ma probabilmente il grosso degli osservatori napoletani non ancora.
La petizione chiede senza mezzi termini che Castel dell’Ovo e il Cimitero delle Fontanelle restino gratuiti; che il Pan e Castel Nuovo rimangano a gestione pubblica e aperti alla cittadinanza, senza alcuna maggiorazione di biglietti d’ingresso; che nessuna nuova Fondazione di Partecipazione venga creata per gestire il patrimonio pubblico, né venga messa in atto alcuna altra forma di privatizzazione dei beni culturali del Comune; che l’amministrazione comunale si impegni in una riflessione su come garantire l’interesse pubblico nella gestione dei luoghi della cultura e la dignità del lavoro culturale; e infine che l’amministrazione comunale si impegni a rispettare il lavoro delle professioniste e professionisti della cultura, favorendo contratti stabili ed evitando forme di lavoro precario. Dopo il caso, pur molto diverso, della Fondazione Mont’e Prama creata in Sardegna dal Ministero della Cultura, un’altra proposta di creazione di una fondazione privata per gestire patrimonio culturale pubblico fa parlare di sé. E vedremo come si svilupperà il dibattito cittadino.
L'autore di questo articolo: Leonardo Bison
Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.