Il terribile pot-pourri artistico di Sgarbi e Farinetti per Expo 2015. Di cui nessuno parla


Vittorio Sgarbi e Oscar Farinetti stanno allestendo una terribile mostra per il padiglione Eataly a Expo 2015. Solo che nessuno ne parla. Alcune riflessioni di Federico Giannini

Cosa c’entrano, tra loro, Lorenzo Lotto, Francesco Cairo, Bartolomeo della Gatta e Virgilio Guidi? Assolutamente niente, non foss’altro per il fatto che sono tutti pittori. Da questi giorni però possono fregiarsi di aver tutti e quattro un nuovo tratto comune: sono stati infatti scelti da Vittorio Sgarbi per la sua mostra I tesori d’Italia, che si terrà al padiglione di Eataly nel contesto dell’Expo di Milano. Sì, avete letto bene: capolavori d’arte antica e contemporanea, scelti in rappresentanza delle venti regioni italiane secondo chissà quali logiche, verranno spediti a Milano per assecondare le mai sopite (e mai compiute) velleità culturali di Oscar Farinetti. Il rampante rampollo amico di Renzi che ha aperto i suoi supermercati in mezza Italia giovandosi spesso di capannoni e spazi concessi dai comuni in comodato gratuito. Quello dei tremendi pannelli illustrativi sul Rinascimento nel punto vendita di Firenze. Quello che diceva che è giusto che i giovani lavorino a 8 euro l’ora, oppure che il sud andrebbe trasformato in un enorme villaggio vacanze. Ma soprattutto, quello che, con Eataly, ha chiuso il contratto per la presenza ad Expo senza gara d’appalto.

Intento di Sgarbi, dichiarato l’altro ieri alla presentazione del progetto, è quello di “mostrare bellezza a chi viene da fuori l’Italia”. Obiettivo del tutto in linea con lo spazio che ospita la mostra: pretendere di conoscere l’arte italiana visitando accozzaglie di opere fatte arrivare pescando qua e là, è un po’ come credere che da Eataly si possano veramente assaporare le eccellenze della gastronomia italiana. È il concetto della grande distribuzione organizzata applicato all’arte: siccome si considerano i visitatori troppo svogliati per andare a vedere le opere d’arte nel loro contesto, e i buongustai troppo pigri per cercare ristoranti, trattorie e osterie dove si possano gustare i veri sapori tradizionali, si confenzionano strutture senza personalità, valide sia a Torino che a New York, e ci si infila dentro un pot-pourri di opere d’arte e piatti tipici. Il visitatore del padiglione Eataly, dunque, non dovrà neppure far lo sforzo di cercare un ristorante finita la sua visita: dopo aver visto Lorenzo Lotto e Bartolomeo della Gatta, potrà gustosamente sollazzarsi di fronte a una pizza con broccoli e insaccati, pensando non già alla mostra appena visitata, ma a quali sono i padiglioni che gli mancano per completare il giro che aveva in mente.

Vittorio Sgarbi e Oscar Farinetti
Vittorio Sgarbi (foto di Giovanni Dell’Orto) e Oscar Farinetti (foto di Fanpage.it)

Imbarazzante il comunicato di Eataly in cui la mostra viene presentata: si legge che dall’esposizione delle opere a I Tesori d’Italia “emergerà la biodiversità dell’arte”. C’è bisogno di aggiungere altro? Ancor più imbarazzanti sono molti commenti di sindaci e amministratori locali, tutti smaniosi di inviare i propri gioielli al padiglione di Eataly. Non c’è testata locale che non abbia dedicato un articolo all’opera del proprio territorio in partenza per Milano: basta fare una ricerca su Google. “La presenza al padiglione Eataly per noi è motivo di grande orgoglio”. “L’opera sarà ambasciatrice del nostro territorio”. “L’Expo sarà per noi una vetrina importante per valorizzare la nostra cultura e la nostra arte”. E via dicendo: il tenore dell’entusiasmo dei prestatori è più o meno sempre questo. Diverse domande sorgono spontanee: come può un’amministrazione comunale pensare che il proprio territorio possa giovarsi della presenza di un’opera in un contesto tanto dispersivo? Siamo davvero così sprovveduti da pensare che un visitatore arrivato da Hong Kong o dalla Bolivia sarà preso dalla smania di visitare un paesino dell’Appennino umbro solo perché avrà visto di sfuggita un’opera alla mostra di Sgarbi? È normale pensare che un’opera d’arte di un grande maestro del passato possa essere valorizzata in una mostra realizzata senza criteri scientifici e filologici, senza un progetto serio, e di cui non si conoscono bene i termini a poco più di una settimana dall’apertura?

Siamo ormai talmente assuefatti alla retorica della bellezza che abbiamo perso il gusto per le cose belle, siamo talmente abituati a ragionare in ottica di pubblicità più che di vera valorizzazione, perdendo peraltro di vista come fare marketing in modo serio e ragionato, e soprattutto siamo talmente avvezzi a iniziative in cui l’arte diventa accessorio da esibire, che iniziative di questo tipo, che impoveriscono i musei locali (come la Pinacoteca Comunale di Castiglion Fiorentino, che ha mandato a Milano i due pezzi di maggior pregio della propria raccolta) e tutto fanno fuorché veicolare conoscenza e diffondere l’estetica del bello, anch’essa ridotta a merce da supermercato, non ci arrecano più stupore.

Infine, c’è un ultimo dato di cui tener conto: se per la mostra Da Cimabue a Morandi, allestita da Sgarbi a Bologna, abbiamo assistito a numerose levate di scudi da parte degli storici dell’arte, con appelli, titoli sui giornali, accuse e controaccuse, nessuno ha pronunciato una sillaba per parlare dell’operazione Sgarbi-Farinetti in corso a Milano. La mostra di Bologna ha sì un progetto alquanto discutibile, è una mostra blockbuster, difficilmente invoglia il pubblico ad approfondire l’arte bolognese (tutti aspetti di cui avevamo discusso), ma ci si può ancora trovare un seppur labile fine culturale. Del progetto Eataly non si può dire la stessa cosa: le opere, qui, vengono trattate semplicemente come merce da esporre al pubblico, come lussuosi orpelli attraverso i quali conferire una patina chic a un supermercato, come accessori da mostrare a persone alle quali Eataly verrà spacciata come summa dell’enogastronomia tradizionale italiana, e alle quali la mostra verrà spacciata per operazione culturale. Ma l’arte, è bene specificarlo, con tutto ciò non ha niente a che vedere. Ed è un peccato che, in questa occasione, nessuno lo abbia ricordato.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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