Il mercato dell'arte italiano tra sfide giuridiche e opportunità


Quali sono le maggiori sfide che attendono il mercato italiano dell’arte antica? Tra i nodi, le norme sull’esportazione, quelle sul vincolo d’interesse culturale (che potrebbero essere rese più simili a quelli di altri paesi), le tempistiche degli uffici.  

Il mercato dell’arte italiano è chiamato a confrontarsi con sfide che coinvolgono tanto il quadro normativo, quanto l’esigenza di rinnovamento di un apparato burocratico-amministrativo che, per sua stessa natura, si adatta con difficoltà alle dinamiche di un settore in rapido mutamento. L’Italia è senza dubbio un riferimento storico-artistico internazionale, ma non altrettanto può dirsi con riguardo al suo mercato dell’arte, che fatica ad acquistare competitività nel contesto globale. Molteplici sono le ragioni, ma certamente alcune di esse sono riconducibili agli stretti gangli imposti dalla normativa di settore.

Fra i nodi critici più dibattuti, è senz’altro quello relativo alle norme che regolano l’esportazione artistica. Il Codice dei Beni Culturali (d. lgs. 42/2004) è improntato ad un approccio di forte tutela del patrimonio storico-artistico nazionale: se ciò trova una sua giustificazione storica, si traduce però oggi inevitabilmente in una minore fluidità nella circolazione delle opere, limitando l’efficienza del mercato e l’operatività di collezionisti e addetti ai lavori.

La rigidità dell’impianto normativo italiano radica nell’esigenza di preservare un’eredità culturale unica al mondo. Ciononostante, un maggior equilibrio tra tutela del patrimonio e promozione del mercato potrebbe contribuire ad agevolare la circolazione di quei lavori che non rivestono un particolare interesse per la nazione. Ciò favorirebbe anche un certo rinnovamento del pubblico collezionistico, avvicinando maggiormente una clientela internazionale che non sarebbe dissuasa da una legislazione spesso percepita come penalizzante o eccessivamente soggetta a discrezionalità interpretativa.

In questo senso, una definizione più puntuale dei parametri per l’apposizione del vincolo di notifica, così come un aggiornamento delle soglie di valore e di quelle temporali per l’esportazione dei beni culturali, favorirebbe una sinergia tra esigenze di tutela e opportunità di mercato, non per forza fra loro contrapposte. Un primo passo in questa direzione è stato compiuto grazie al D.M. 367/2020 che, in attuazione della legge 124/2017 (Legge Concorrenza), ha innalzato da 50 a 70 anni il limite temporale per l’esportazione di talune categorie di beni. È stata inoltre introdotta una soglia di valore pari a 13.500 euro, al di sotto della quale i beni di età superiore a 70 anni possono essere esportati con semplice autocertificazione, senza dunque necessità di autorizzazione da parte dell’amministrazione.

Tale intervento potrebbe tuttavia essere ulteriormente potenziato, nell’ottica di armonizzare le regole nazionali alle legislazioni sui beni culturali di altri Paesi, le quali prevedono soglie più elevate come, ad esempio, in Francia, Germania e Regno Unito.

Per altro verso, la dichiarazione di notifica di un bene culturale in Italia, come noto, non obbliga lo Stato all’acquisizione del bene al patrimonio nazionale e, anche in questo caso, si differenzia da quanto accade in altre giurisdizioni. In Francia, ad esempio, qualora venga rifiutato il rilascio di un certificato per l’esportazione del bene, quest’ultimo rimane “bloccato” per un periodo di 30 mesi, durante i quali l’opera non può essere né esportata né venduta, e lo Stato ha facoltà di presentare un’offerta di acquisto parametrata ai valori di mercato. Se lo Stato non presenta alcuna offerta nel corso di tale periodo, il bene torna liberamente commerciabile e la relativa esportazione non potrà essere ragionevolmente rifiutata.

Modenantiquaria 2025, sezione Sculptura
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Tale meccanismo, che da un lato non fa venir meno l’esigenza di preservare l’integrità del patrimonio culturale nazionale, dall’altro non limita il godimento e la libera disponibilità di quei beni che non rivestono un significativo interesse culturale per la nazione.

A rendere ulteriormente impervia la circolazione delle opere d’arte sono anche le tempistiche con cui vengono rilasciati i documenti per l’esportazione dagli uffici competenti delle Soprintendenze, che sovente superano di molto i termini previsti dalla legge, spesso a motivo dell’ingente mole di lavoro a cui gli uffici stessi sono soggetti. Sarebbe dunque auspicabile un intervento in grado di efficientare le procedure, anche attraverso una maggiore digitalizzazione dei processi e la semplificazione dell’iter autorizzativo, così da garantire tempi più rapidi per l’evasione delle istanze, senza tuttavia sacrificare la qualità dei doverosi controlli.

In quest’ottica, l’effettiva implementazione di un passaporto per le opere d’arte – originariamente previsto dal D.M. 367/2020, ma ancora in attesa di una compiuta regolazione – potrebbe costituire un ulteriore passo avanti al fine di snellire tempistiche e procedure per l’uscita e/o il rientro dei beni artistici in Italia, facilitando il lavoro degli operatori e permettendo un più efficace monitoraggio dei flussi di beni sia a livello nazionale che sovranazionale.

Chiaramente, tali indirizzi di riforma andranno ponderati sulla base degli obiettivi che si intendono perseguire, oltre che coniugati ad altri interventi strutturali. È il caso, ad esempio, di un auspicato riassetto della normativa fiscale applicata all’arte, anche alla luce della recente opportunità offerta dalla Direttiva UE 2022/542 di ridurre l’aliquota Iva applicata all’importazione e alla cessione di opere d’arte, così come già avvenuto in altri Paesi europei. Si tratta di un’ulteriore occasione che permetterebbe al mercato dell’arte italiano di acquistare attrattività nel contesto internazionale.

L’auspicio è dunque di promuovere una collaborazione virtuosa tra settore pubblico e privato, tra istituzioni e professionisti del comparto, in modo che si possa non solo doverosamente tutelare e valorizzare il patrimonio storico-artistico, ma anche consolidare la competitività del mercato italiano a livello sovranazionale, favorendo al contempo la diffusione e la conoscenza della cultura italiana nel mondo.

Questo contributo è stato pubblicato originariamente sul n. 24 della nostra rivista cartacea Finestre sull’Arte on paper. Clicca qui per abbonarti.


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Mattia Pivato

L'autore di questo articolo: Mattia Pivato

Mattia Pivato collabora con il dipartimento di Proprietà Intellettuale e Diritto delle Tecnologie dello studio Legale PedersoliGattai in qualità di Associate. Si dedica ad attività di assistenza, sia giudiziale che stragiudiziale, nel settore della proprietà intellettuale e industriale, prevalentemente in materia di diritto dell’arte e dei beni culturali, marchi, design, diritto d’autore e nuove tecnologie. Ha conseguito la laurea, cum laude, in Giurisprudenza presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano nel 2011 e il dottorato di ricerca in diritto della proprietà intellettuale e industriale presso l’Università degli Studi di Milano nel 2017. Dal 2019 è professore a contratto del corso di “Diritto dei sistemi turistici e culturali” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e già coordinatore di un corso di alta formazione sul mercato dell’arte presso lo stesso ateneo. Iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano.



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