Il mercato dell’arte è in crisi? Ed è davvero un male? E poi, quale arte? Quella contemporanea ma che in realtà è moderna (ovvero dalla fine dell’Ottocento fino agli anni Settanta)? O quella realmente “contemporanea” e realizzata negli ultimi quindici anni, e preferibilmente da artisti che sono emersi negli ultimi quindici anni? Il problema, in realtà, è precedente.
Non siamo solo in una fase di transizione e neo manierista. Da almeno quindici anni, la totale assenza di confronto e dialogo critico ha ucciso il contemporaneo. La cosa più contemporanea che oggi sembra si possa fare è riscoprire artisti moderni, come Paolo Icaro: ma anche la riscoperta di artisti moderni è una forma di “sindrome di Indiana Jones”, alla quale si ricorre invece di stimolare, punzecchiare e scavare il contemporaneo. Per quanto riguarda l’arte contemporanea in Italia ci siamo assuefatti al peggio: mi rendo conto che gallerie e musei seguono quello che avviene a livello internazionale, ma se gallerie e musei fanno male non dobbiamo necessariamente seguirli. Solo per fare due esempi, mostre come quelle di Gian Maria Tosatti e Chiara Camoni da Hangar Bicocca a Milano non sono mostre che possono passare inosservate. Dobbiamo necessariamente reagire e parlarne, sia per i contenuti, sia per le modalità con cui questi artisti sono stati selezionati. Ci scandalizziamo tanto perché a Jannik Sinner è stata trovata in corpo una quantità di doping corrispondente a un miliardesimo di grammo, ma non ci indigniamo per il “doping delle Pubbliche Relazioni” che investe l’arte in Italia: sembra che siamo assuefatti, lo diamo per scontato, ma alla fine il risultato per un “sistema mordi e fuggi”, dopo qualche anno, è la crisi del mercato che poi ha ricadute su tutti.
Artisti forzatamente sotto i riflettori come Marinella Senatore, ma che presentano nel lavoro enormi ed evidenti lacune tra progetto e intenzioni, non possono lasciarci indifferenti: certe cose vanno dette e scritte per il bene di tutti, e soprattutto per gli artisti interessati che, essendo contemporanei. possono migliorare e crescere. Non è possibile accettare senza dire nulla una doppia personale di Yuri Ancarani al Mambo di Bologna e, a pochi mesi di distanza e a pochi chilometri di distanza, al PAC di Milano, per un artista consapevolmente scivolato sempre di più verso il cinema, e la cui ultima produzione (il film Atlantide), prima delle due mostre personali, era estremamente criticabile, con scelte prevedibili che volevano scimmiottare malamente il peggiore “sorrentinismo”.
Ma il dibattito su mostre, progetti e artisti non serve per parlare male di qualcuno: serve semmai per rivitalizzare il dibattito critico e quindi stimolare gli artisti, e anche per far riaccendere la passione al collezionismo del contemporaneo. Non è vero che tutto è già stato fatto: viviamo una fase storica con tematiche totalmente nuove rispetto al moderno, rispetto al secolo scorso, e tecnologie e mezzi completamente nuovi. Semplicemente, al mercato per come lo intendiamo la qualità non serve.
Perché una galleria deve fare fatica quando i collezionisti si bevono qualsiasi cosa metta nello stand? Meglio fare fatica per presentare un artista realmente contemporaneo e vendere un’opera a diecimila euro, o vendere un piccolo specchio di Pistoletto a cinquantamila, o una grande lavoro di Icaro a sessantamila, senza alcuna fatica? Dopo un po’, per quanto cinico, questo mercato non funziona, perché è come vendere attitudini di settant’anni fa, è come vendere delle Ferrari senza motore.
Come diceva Francesco Bonami, il mercato è in crisi perché non c’è più la passione dei collezionisti, che sono in realtà annoiati e delusi dal contemporaneo, oppure seguono quello che seguono gli amici degli amici, senza porsi alcuna domanda. Perché la situazione è talmente pessima che se ti poni troppe domande è finita. Se approfondisci Tosatti, Senatore o Camoni, ma anche altri beniamini del mercato come Andreotta Calò, Arena o Cenci, rimane troppo poco. E in troppi hanno acquistato e quindi costoro devono stare zitti per non svalutare ulteriormente il loro acquisto contemporaneo. Meglio stare zitti, e immergersi nel revival del moderno e dell’arte povera.