Il ministro Franceschini vuole portare le opere d'arte a scuola. Ma le scuole necessitano di altro


Il progetto Un'opera d'arte in classe prevede che capolavori dei musei italiani vengano esposti nelle scuole. Secondo noi, non è una buona iniziativa. In questo post, il nostro punto di vista.

L’iniziativa Un’opera d’arte in classe deve ancora partire ma ha già suscitato, almeno sui social network, numerosi interrogativi e diverse polemiche. Ma andiamo con ordine. Intanto, cosa prevede il progetto voluto dal ministro Dario Franceschini? L’obiettivo del ministro è quello di portare nelle scuole alcuni capolavori dell’arte custoditi nei musei. Stando a ciò che si apprende dall’edizione napoletana di Repubblica, la prima opera a essere esposta sarà la Madonna di Costantinopoli di Mattia Preti, dipinto del 1656 conservato al Museo Nazionale di Capodimonte. Tutto ciò “per riavvicinare ed educare gli studenti alla grande bellezza del nostro patrimonio culturale”, dice Franceschini.

Fuori dalla retorica (vi prego: non ne possiamo più di sentir pronunciare sempre, e a sproposito, la locuzione “grande bellezza”), l’intento di educare le giovani generazioni alla storia dell’arte è del tutto condivisibile e, anzi, auspicabile. Ma a mio avviso non è questa la modalità più corretta per farlo. Innanzitutto, pensiamo all’iniziativa sotto un punto di vista meramente logistico. La Madonna di Costantinopoli non è proprio un quadretto di quelli che si possono riporre dentro a una borsa: è una pala alta tre metri e larga due. Spostarla ha dei costi: trasporti, assicurazione, manodopera. E ulteriori costi dovranno essere affrontati per la sicurezza del dipinto, ammettendo che le opere siano esposte nelle scuole per più di qualche ora: le scuole non sono dotate di impianti d’allarme sofisticati come quelli che servono per scongiurare che alle opere accada qualcosa di brutto. Anzi, spesso le scuole non sono affatto dotate di allarmi. Non ci sono forse bastati i recenti, odiosissimi, furti di opere d’arte? Dunque, al preventivo si aggiungerebbe la spesa per garantire l’incolumità dell’opera. Speriamo quindi che il ministero abbia almeno il buon senso di lasciare le opere nelle scuole soltanto in orario di lezione, per poi farle ritornare nei musei.

Mattia Preti, Madonna di Costantinopoli (1656; olio su tela, 286,5 x 196 cm; Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte), particolare
Mattia Preti, Madonna di Costantinopoli (1656; olio su tela, 286,5 x 196 cm; Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte), particolare

E tutto questo accade mentre esistono scuole che costringono i genitori di bambini e ragazzi ad auto-tassarsi per sopperire alla carenza di materiale necessario alla quotidiana vita tra i banchi. E come se non bastasse, l’iniziativa assume dei contorni ancora più paradossali se pensiamo che le ore di storia dell’arte a scuola, nonostante proclami e annunci, sono ancora ridotte all’osso. Per cui, anche se portassimo le opere d’arte a scuola (e ripeto: con tutti i problemi che nascerebbero in relazione alla sicurezza e all’incolumità delle opere), avremmo poi i docenti per spiegarle ai ragazzi? Ha senso coprire le lacune del sistema scolastico con iniziative-slogan come questa? Le scuole hanno bisogno di altro.

Pensiamo poi al lato educativo di un’iniziativa del genere. I bambini e i ragazzi dovrebbero essere spronati a visitare i musei, le chiese, gli edifici storici. Ed essere dunque educati al rispetto del patrimonio culturale. Chiediamoci se è rispettoso movimentare persone e risorse per spostare delicate opere d’arte, quando le stesse risorse potrebbero essere investite in modo più oculato per potenziare la didattica, migliorare i nostri musei, fornire alle scuole il materiale di cui necessitano, creare posti di lavoro per giovani che sappiano spiegare con passione l’arte ai bambini e ai ragazzi, e tante altre attività di cui si avverte forte bisogno.

Inoltre, non è forse irrispettoso strumentalizzare la scuola per promuovere iniziative di facciata? E per capire la portata dell’iniziativa basterebbe porsi una semplicissima domanda: che senso ha far vedere ai bambini una singola opera di Mattia Preti? Che senso ha mostrare loro un’opera estrapolata dal suo contesto? Questo perché, anche se conservato in un museo e dunque non più nella sua collocazione originaria, il dipinto al museo è comunque in relazione con altre opere, e dunque fa parte di un contesto. Perché i bambini e i ragazzi non vengono piuttosto educati a un corretto, e magari anche divertente, approccio nei confronti dei musei, da molti considerati ancora come luoghi in cui ci si annoia?

I sostenitori dell’iniziativa fanno già paragoni con un analogo progetto che si tenne lo scorso anno in Inghilterra e che prevedeva l’esposizione di 26 capolavori di artisti come Monet, Turner, Lowry e Gainsborough, in 27 scuole inglesi. Partendo dal presupposto che non bisogna essere necessariamente d’accordo con tutto ciò che proviene da oltre Manica (anche per il progetto inglese valgono gli stessi assunti di quello italiano: non è meglio trovare diverse forme di educazione all’arte?), probabilmente è superfluo sottolineare come i problemi delle scuole italiane non siano quelli delle scuole inglesi (e viceversa), che in Italia il sistema scolastico ha pressanti priorità che non possono più essere rimandate (carenza di fondi, patrimonio edilizio spesso fatiscente e insicuro, peso della storia dell’arte nell’insegnamento da aumentare... ), e che in Italia abbiamo un tessuto museale intimamente legato al territorio, che si presta dunque a un tipo di educazione che dovrebbe portare i ragazzi direttamente nei luoghi delle opere.

Si parla spesso del fatto che a una corretta educazione all’arte si stia sostituendo il culto dei feticci. L’iniziativa che dovrebbe portare le opere d’arte a scuola sembra quasi configurarsi come la faccia opposta della stessa medaglia. Si movimentano (o meglio: si cerca di movimentare) opere d’arte celebri per ottenere riscontri e visibilità: e questo va a scapito delle mostre organizzate in modo serio e rigoroso, e va anche a scapito di un più sano approccio all’arte da parte del pubblico. E allo stesso modo, sembra che si portino le opere d’arte nelle scuole per far vedere che il governo tiene alle sorti della storia dell’arte italiana. Ma in realtà, l’iniziativa appare più come un tentativo di evitare di pensare alle gravi lacune del nostro sistema scolastico (nonché di quello dei beni culturali) con una specie di uscita a effetto, di quelle che fanno scrivere articoli sui giornali e garantiscono plausi agli ideatori. Non è di questo che hanno bisogno scuole e musei. Ma, ovviamente, pensare a progetti per migliorare la didattica, per rendere le scuole più sicure, per far sì che i musei siano più allettanti per bambini e ragazzi, per fare divulgazione di qualità, è molto più difficile che portare le opere a scuola. E non fa scrivere articoli.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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