Le affermazioni che seguono sono una contraddizione voluta, della quale sono perfettamente consapevole. C’è molta verità nelle contraddizioni, oserei dire. Ma in che modo qualcosa, soprattutto un’istituzione, può essere una contraddizione di se stessa e della propria raison d’être? Come può un museo essere qualcosa che non è, e come tutto ciò può contraddistinguere il futuro mondo dei musei? Questa contraddizione voluta ha come sfondo tutta la discussione che si sta svolgendo da tempo, con controversie, dimissioni e una crisi profonda all’ICOM (Comitato Internazionale per i Musei) sulla definizione dei musei. Rimango sempre dell’opinione che il museo del ventunesimo secolo sia una istituzione indefinibile, e cio è paradossalmente dovuto al fatto che le varietà e le mutazioni dell’idea del museo hanno arricchito tantissimo il mondo dei musei dove l’innovazione arriva sempre dalle periferie. L’etichetta di “non entità”, infatti, ha poco a che fare con la definizione standard del museo. Si deve in tal senso riconoscere che la percezione del pubblico, quando immagina un museo e ciò che un museo rappresenta, è spesso qualcosa di molto diverso da qualsiasi definizione universale di “museo”.
L’idea della “non entità” è di per sé una questione di rilevanza... o, piuttosto, di irrilevanza! Possiamo dire che qualcosa sia una “non entità” quando, a prescindere dal fatto che si tratti di un’istituzione, di una persona o di un museo d’arte, quel qualcosa diventa irrilevante per il momento attuale. L’irrilevanza funziona in due modi. Nel primo caso, può essere che il contesto si sia evoluto in una maniera tale che l’istituto è diventato avulso dalle circostanze del presente ed è rimasto indietro. Nel secondo caso, potrebbe darsi che il museo sia tanto più evoluto rispetto al suo contesto da essere percepito come un’entità aliena, esclusiva e distaccata... quindi irrilevante. Ci sono degli impressionanti paralleli con le avanguardie della storia dell’arte, che spesso all’inizio furono accolte in maniera controversa, e furono poi accettate e riconosciute tanto da diventare punti di riferimento.
Il contesto o il locale paesaggio culturale giocano anch’essi un ruolo decisivo nella comprensione e nel riconoscimento, da parte della comunità, dell’istituto museale. Nelle periferie conservatrici, ai non-musei potrebbero servire anni, se non decenni, per diventare <em>mainstream</em>. Potrebbero anche non trovare terreno fertile per crescere, malgrado il paesaggio dei musei sia più interconnesso che mai. E tuttavia, anche se i non-musei dovessero riuscire a fiorire, i più conservatori o chi sta nelle periferie potrebbero rallentare il processo che porta dall’iniziale controversia al diventare un punto di riferimento. Il rischio sarebbe quello di indebolire e far appassire progetti esaltanti.
Ma allora cos’è un non-museo?
Possiamo definire un non-museo come un istituto museale relativamente sprovvisto di rilevanza e significatività nel momento attuale perché rifiuta gli standard e le norme stereotipate di ciò che costituisce un istituto museale. E non riuscirebbe a qualificarsi come un museo mainstream su molti aspetti per il semplice fatto che spesso non rientrerebbe in una definizione standard. Posso fare l’esempio di due musei tra i tanti noti e soprattutto meno noti, inclusi quelli che non avrebbero avuto speranze di sopravvivere a lungo.
Il MONA, il Museum of Old and Modern Art in Tasmania, è stato definito una “Disneyland per adulti eversiva”, perché sfida la nostra percezione su cosa dovrebbe essere l’arte e su cosa noi riconosciamo come arte. Il sito web del museo rivela molto sulla visione che guida questo non-museo: “Crediamo che cose come la storia dell’arte e l’intenzione individuale dell’artista siano interessanti e importanti, ma solo se affiancate ad altre voci e approcci che ci ricordano che l’arte, dopo tutto, viene creata e consumata da persone reali e complesse, le cui motivazioni sono per lo più oscure, anche a loro stesse”.
La rivista cultura e letteraria conservatrice Quadrantha un’opinione radicalmente diversa: “MONA è l’arte di una civiltà stanca e in declino. Le luci e gli effetti speciali illuminano una bancarotta morale. Quello che viene messo sotto i loro riflettori si fonde perfettamente alla moda, al design, all’architettura e al cinema contemporanei. È un declino costoso e teso”.
Nolan Snake al MONA. Foto da https://miifotos.com |
Un altro non-museo che ora è perfettamente assimilato nel paesaggio museale è il Museo dell’Innocenza di Orhan Pamuk a Istanbul. Questo potrebbe essere il primo museo nato nella finzione e creato nel mondo reale. Il romanzo e il museo hanno in comune una collezione che condividono attraverso la loro narrativa, sia essa scritta o mostrata.
Del museo e del romanzo si può fare esperienza in maniera indipendente e il sito del museo è molto chiaro su questo punto: “Il muse presenta quello che i personaggi del romanzo hanno usato, indossato, ascoltato, visto, collezionato e segnato, tutto meticolosamente sistemato in box e vetrine da esposizione. Non è fondamentale aver letto il libro per visitare il museo, e allo stesso modo non è necessario aver visitato il museo per godere pienamente del romanzo. Ma quanti hanno letto il romanzo coglieranno meglio le molte connotazioni del museo, e coloro che hanno visitato il museo scopriranno diverse sfumature che hanno perso leggendo il libro”.
Il Museo dell’Innocenza di Pamuk è stato assorbito molto meglio dal paesaggio museale rispetto al MONA ma entrambi possono essere definiti come non-musei, concepiti alla periferia del mondo dei musei, dove l’innovazione continua a prender forma. E anche questo è un esempio interessante di pensiero transmediale dove le forme del museo vanno oltre il fisico.
Il Museo dell’Innocenza. Foto da https://robertpimm.com |
Dunque, quale dovrebbe essere l’ambizione del non-museo o della non-galleria d’arte?
Sono pienamente consapevole del fatto che scegliere una risposta a questa domanda significa rischiare di semplificare l’identità complessa di questo tipo di musei. Ma potrei pensare ad almeno due filoni del pensiero critico del non-museo che ci potranno essere di guida nel momento che stiamo vivendo anche se di sicuro ci sono più elementi da esplorare, definire e analizzare.
Intanto, dovrebbero aspirare a collegare diverse forme d’arte e a sfidare le classificazioni della storia dell’arte che sono state in vigore per decenni se non per secoli. Questo accade di continuo nelle mostre temporanee, ma le esposizioni permanenti rimangono in qualche modo lontane da questo tipo di sviluppi. Il digitale, il virtuale e il fisico spesso rimangono esposte separate. Questo pensiero e fattibile anche per le forme tradizionali del museo, quelli forse piu idonei alla definizione attuale di museo. Ho cercato di sfatare questo mito alla mostra Malta Land of Sea al centro BOZAR di Bruxelles, nel 2017. Questo progetto ha smussato le distinzioni tra le opere d’arte, come dimostra la foto mostrata qui sotto. I video, i dipinti a olio su tela, i lavori su carta e un’immagine riflessa di un disegno seicentesco dell’artista olandese Willem Schellinks sono stati inseriti in un’unica narrativa capace di attraversare i diversi mezzi. Ci sono infatti immagini che sono fisiche, virtuali ma anche riflesse. Nella mia pratica curatoriale è l’immagine che conta: il resto viene spesso modellato sulla base di parametri concepiti all’interno di un sistema di valori creati dal mercato dell’arte.
Malta Land of Sea |
Poi, l’ambizione dovrebbe essere quella di riconoscere l’universalità delle culture che invece vengono spesso separate e ingabbiate in musei distinti, che talvolta celebrano narrative nazionalistiche e ideali di stato-nazione, e dove ci si continua a focalizzare su narrative storico-artistiche durature e radicate. Queste continuano a essere incluse nella lista di Artsy dei nuovi musei più discussi e belli del 2019, nella lista dei nuovi musei del 2019 per i quali MuseumNext si è esaltato, e nella top10 di Lonelyplanet sui musei e i centri d’arte che hanno aperto nel 2019.
In breve?
I non-musei sono l’avanguardia di un ripensamento necessario, essenziale e fondamentale del mondo dei musei. Sono una necessità oggi più che mai nell’ambito di una ricerca per definire il museo, il cui esito sembra più che mai difficilmente raggiungibile. I non-musei ci portano a pensare il museo in maniera diversa, e ciò sarebbe anche una necessità nel mondo post-COVID19.
Non sono facili da trovare ed evitano di riconoscere qualsiasi definizione preconcetta. E infatti la loro raison d’être è spesso quella di mettere in discussione questa definizione... e di sicuro a noi serve che lo facciano. Voi ne conoscete qualcuno?
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Sandro Debono
Pensatore del museo e stratega culturale. Insegna museologia all'Università di Malta, è membro del comitato scientifico dell’Anchorage Museum (Alaska) oltre che membro della European Museum Academy. Curatore di svariate mostre internazionali, autore di svariati libri. Scrive spesso sui futuri del museo ed ha il suo blog: The Humanist Museum. Recentemente è stato riconosciuto dalla Presidenza della Repubblica Italiana cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia e dal Ministero della Cultura Francese Chevalier des Arts et des Lettres per il suo contributo nel campo della cultura.