Nel 1971 Linda Nochlin pubblicava sulla rivista ARTnews il saggio Why Have There Been No Great Women Artists?. La domanda della storica dell’arte statunitense richiede l’adozione di una nuova metodologia d’indagine: anziché scovare il percorso di artiste donne è prima necessario analizzare i fattori strutturali (sociali, economici e culturali) che influenzano la diffusione di alcune storie oppure ne sanciscono l’assenza.
A lungo, il punto di vista incontrastato nella storia dell’arte dell’emisfero Nord è stato quello di un critico, uomo, dalla pelle bianca, altoborghese e occidentale, portatore di una prospettiva sul mondo assunta come “IL” punto di partenza, sebbene mai esplicitata. Nel 2021, nella sfera artistica, come negli altri ambiti della vita, si cerca di articolare un approccio maggiormente equo ed inclusivo, che permetta ad altri canoni di esistere.
Prima di arrivare a parlare di iniziative a cui sto lavorando come direttrice del MACTE Museo di Arte Contemporanea di Termoli, permettetemi una breve digressione autobiografica. Dopo gli studi in Italia, ho lavorato e vissuto prima nel Regno Unito e poi in Nuova Zelanda e a Singapore, paesi geograficamente e culturalmente distanti dalla mia educazione di stampo europeo e che mi hanno esposta a dibattiti come quelli post-coloniali e degli studi di genere (Gender Studies). La volontà di mettermi in ascolto e in comunicazione con comunità a me non familiari, hanno richiesto una messa in discussione di concetti e posizioni che allora consideravo neutri e che invece portavano con sé connotazioni forti, se non addirittura violente. Tornata a vivere e operare in Italia, ho interiorizzato i confronti e gli scambi intercorsi nei miei anni all’estero e sviluppato una sensibilità attraverso le collaborazioni, mostre e decisioni lavorative che hanno costellato il mio cammino professionale. Ritengo che aprirsi alla rappresentazione dell’altro, o dell’altra, sia il discrimine di un operare etico, e che, oggi, bisogna cominciare a porsi il problema, a farsi domande e a contare.
La collezione del Premio Termoli costituisce il fondo delle opere raccolte dal Comune di Termoli dal 1955 ai giorni nostri tramite la formula del premio-acquisto e che dal 2019 sono custodite presso il museo MACTE. La collezione comprende al momento 470 pezzi tra cui si annoverano le opere d’arte di 47 artiste. Questa percentuale comprende ad esempio una tela del 1960 di Carla Accardi (che vinse il V Premio Termoli), un rilievo ligneo di Dadamaino del 1974 (che vinse il XIX Premio Termoli) e una scultura a specchio di Nanda Vigo del 1976; ma anche una tela di Tomaso Binga del 1985 e un’installazione di Benni Bosetto del 2018 che potrebbero essere conteggiate erroneamente tra quelle realizzate da uomini data l’ambiguità di genere trasmessa dal loro nome.
Ogni decisione che riguarda l’allestimento delle opere, come l’inclusione di esse in mostre collettive non deve, a mio giudizio, dare l’idea dell’eccezionalità o dell’accumulo come nell’espediente della stanza delle artiste donne, che le distingue, ma allo stesso tempo le esclude dal resto, bensì porsi come approccio paritario, che provi ad offrire un contesto tematico, cronologico, filosofico di riferimento, al di là delle categorie di maschio e femmina. Questa attitudine si traduce anche nell’invito rivolto a scrittrici, curatrici e artiste a collaborare con il MACTE su vari fronti: dalla stesura di testi di approfondimento su opere della collezione, come relatrici negli incontri pubblici, fino al loro coinvolgimento nel programma espositivo.
In uno degli eventi finora svolti abbiamo parlato con Angela Maderna del suo libro L’altra metà dell’avanguardia quarant’anni dopo (Postmedia Books, 2020) e della mostra organizzata dalla critica d’arte Lea Vergine nel 1980 a Palazzo Reale a Milano: L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche. Una mostra che in Italia ha per prima offerto un approccio critico per trattare di artiste, come le si presenta e se ne descrive il lavoro. Questo rigore storico-artistico viene calibrato da Lea Vergine dall’allestimento fino al catalogo, predisponendo schede biografiche che non subordinano la storia delle artiste alle vite di artisti uomini, ma come professioniste esse stesse.
Affinché questa non rimanga un’astratta dichiarazione d’intenti, vi porto l’esempio del processo decisionale attinente alla mostra collettiva Le 3 ecologie, che verrà presentata al museo tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022: la prima stesura di una lista di chi includere come artista era fortemente sbilanciata da una preponderanza di nomi maschili. Si è cercato di ribilanciare questa mancanza identificando opere di artiste rispetto ai temi di ispirazione e guida per la mostra e ampliando di conseguenza le coordinate spaziali e temporali della mostra.
O dell’ingresso in collezione nei prossimi mesi di una scultura di Sara Enrico, vincitrice del bando Cantica 21, un’iniziativa di MAECI e MiBACT. L’artista sta lavorando alla produzione di quest’opera grazie al finanziamento ottenuto tramite il bando e il MACTE, che ne ha supportato la candidatura, diventerà la casa di quest’opera. Il punto credo sia proprio questo, farsi domande in ogni situazione, dalle mostre alle giurie, dalle opportunità professionali alle acquisizioni, ponendosi come orizzonte di azione una pluralità di rappresentazione. Continueremo a dibattere sulla qualità artistica delle opere, ma avremo più punti di vista per farlo.
Questo contributo è stato pubblicato originariamente sul n. 10 della nostra rivista cartacea Finestre sull’Arte on paper. Clicca qui per abbonarti.
L'autrice di questo articolo: Caterina Riva
Direttrice del MACTE - Museo d'Arte Contemporanea di Termoli