L’atteso annuncio, già da qualche settimana prevedibile, è infine arrivato: le domeniche gratuite nei musei statali saranno abolite. Questo ha detto ieri il ministro dei Beni Culturali, Alberto Bonisoli, tuttavia specificando che non si tratterà d’una cancellazione totale: ai direttori verrà concessa facoltà di decidere se e quando reintrodurre nei musei da loro diretti, a loro discrezione, l’agevolazione che, nel 2017, ha permesso a tre milioni e mezzo di visitatori di recarsi nei musei italiani senza spendere un solo centesimo.
Non ho mai nascosto di gradire poco l’iniziativa ideata dall’ex ministro Dario Franceschini: l’ho sempre trovata più demagogica che democratica. Quando Franceschini la presentò, nel 2014, dichiarò che con la #domenicalmuseo si sarebbe resa “più equa la gratuità, non legandola, ad eccezione che per gli under 25, ad anacronistiche fasce d’età, che peraltro non corrispondono più alle effettive differenze di reddito”. Tuttavia, mi pareva che un provvedimento simile non avesse alcunché di equo: chi non poteva permettersi di pagare il biglietto per entrare al museo, veniva di fatto relegato a una sorta di gabbia gratuita, fatta (almeno per i musei più gettonati) di lunghe code, resse, stress, turisti indisciplinati. M’è sempre parsa piuttosto classista l’idea di concedere un solo giorno di gratuità al mese, e per giunta in mezzo al caos, a quanti vedono nella spesa per il biglietto d’ingresso al museo un pesante gravame sul bilancio familiare, e costringerli a pagare il resto del mese. Non è così che dovrebbe funzionare l’inclusività: è profondamente ingiusto che chi non riesce a sostenere il costo del biglietto del museo vi si possa recare solo una volta al mese, e peraltro in situazioni spesso caotiche.
Tuttavia, allo stesso tempo, la dichiarazione del ministro Bonisoli, per com’è stata fornita, di certo non risolve il problema. Il nostro patrimonio non ha bisogno di annunci: ha bisogno di progetti seri, profondi, lungimiranti, che possano nascere dal dialogo. È vero che, quando il ministro aveva in qualche modo preannunciato l’abolizione, lo scorso 11 luglio, le sue parole erano sembrate piuttosto sibilline, ma è altrettanto vero che l’attenzione era stata davvero bassa, e nessuno s’era preoccupato d’aprire col ministro una finestra per ragionare circa il futuro delle gratuità nei musei statali, o quanto meno di suggerire qualche spunto per una discussione. Sta di fatto che, adesso, l’annuncio è arrivato.
Giacomo Zaganelli, Grand Tourismo (2018), progetto girato in una domenica d’apertura ordinaria agli Uffizi. |
Ed è però arrivato con modi e tempi sui quali, forse, occorreva esser meno precipitosi. Intanto, perché la notizia è stata data pochi giorni prima della domenica gratuita di agosto, e chissà se le temperature torride di questi giorni basteranno a frenare il presumibile assalto che i visitatori daranno ai musei per assicurarsi quello che sarà probabilmente l’ultimo o il penultimo ingresso gratuito indiscriminato. In secondo luogo, perché lasciare facoltà di decisione ai singoli direttori non rappresenta una strategia: sarebbe anzi il caso di pensare a un indirizzo comune. E questo indirizzo comune dovrebbe tener conto delle esigenze di tutti i visitatori dei musei: quelli che non possono permettersi di pagare il prezzo del biglietto, quelli che non possono visitarlo durante il giorno perché lavorano, quelli che non frequentano i musei in modo occasionale, ma tornano più volte al mese. La domenica gratuita aveva l’enorme difetto di pensare più ai turisti e ai visitatori occasionali che ai cittadini e a quanti si recano frequentemente nei musei: è poi vero che la #domenicalmuseo avrà avvicinato tanti cittadini ai musei delle loro città, ma che senso ha avvicinarli se poi chi ha un reddito basso (oppure non può proprio contare su di un reddito) o chi vorrebbe recarsi più volte al museo non viene incentivato a tornare?
Se pertanto si vuole rendere l’accesso ai musei veramente inclusivo, se vogliamo far sì che la cultura sia davvero di tutti, se vogliamo renderla un bene veramente universale, dovremmo anzitutto mettere da parte il vacuo e sterile chiacchiericcio da tweet, le inutili petizioni che chiedono di reintrodurre una misura che verrà sicuramente cancellata, e il pernicioso clima da stadio delle ultime ore, ché la politica non è uno scontro tra tifoserie, ma un modo per risolvere problemi. E occorrerebbe aprire, semmai, un dialogo per dare il via a quella vera rivoluzione di cui i nostri musei hanno bisogno per allinearsi al resto d’Europa. Abolire le domeniche gratuite lasciando la facoltà ai direttori di decidere se reintrodurle o meno, è un’iniziativa che, come detto, non sembra risolutiva. Un progetto che possa estendere la gratuità sulla base delle fasce orarie e della tipologia dei visitatori, in tutti i musei e senza far scegliere ai direttori, è invece una mossa profondamente intelligente. È vero che Bonisoli ha detto che “si potrà differenziare”. Ma sarebbe stato meglio se l’annuncio dell’abolizione delle domeniche gratuite fosse stato dato in concomitanza con la presentazione d’un eventuale pacchetto di differenziazioni. E magari si sarebbero anche evitate le recenti polemiche.
Quando pensiamo a un pacchetto di differenziazioni, pensiamo a quella rivoluzione di cui, su queste pagine, parliamo da tempo, e che consentirebbe di rimodulare in maniera moderna l’offerta dei nostri musei. Si potrebbe, intanto, pensare di rendere permanente la gratuità per chi non ha un’occupazione, oppure per le famiglie a basso reddito: l’entrata gratis per chi non ha un lavoro è realtà in diversi paesi (accade al Musée d’Orsay, al Museo dell’Acropoli di Atene, al Museu Nacional d’Art de Catalunya), e negli Stati Uniti è stato attivato, in varî musei (tra cui l’Art Institute di Chicago) il programma Museums for all che estende la gratuità anche ai titolari di card statali riservate a coloro il cui bilancio familiare non può contare che su poche entrate. Molti musei prevedono poi l’ingresso gratuito permanente verso la fine dell’orario d’apertura: per esempio, al Louvre tutti i giovani sotto i 26 anni entrano sempre gratis il venerdì dopo le 18, al Museo Picasso di Barcellona tutti entrano gratuitamente ogni giovedì dalle 18 alle 21:30, e lo stesso accade al MoMA di New York ogni venerdì dalle 16 alle 20, e al Prado di Madrid addirittura tutti i giorni (dal lunedì al sabato dalle 18 alle 20, e la domenica e i festivi dalle 17 alle 19). E sarebbe davvero splendido, come suggerisce oggi Giacomo Montanari dalle colonne de Il Secolo XIX, passare “due ore gratis al giorno per conoscere i maestri come avviene al Prado”.
Proprio attraverso gli orari d’apertura dovrebbe passare la rivoluzione: non si comprende per quale motivo molti musei debbano chiudere le porte alle sette di sera, togliendo a chi lavora in orario d’ufficio l’opportunità di visitarli durante la settimana. In questo senso, sarebbe bello se i musei ragionassero con la logica dei cinema: aperture serali sempre, e non come occasioni straordinarie. Per arrivarci occorre però un salto di mentalità, pensando al visitatore del museo non solo come al turista o allo studente, ma anche come al cittadino che lavora e che vuole vivere la propria città. E ancora: si ragioni sull’estensione della validità del biglietto (specialmente per i grandi musei: un biglietto potrebbe durare più giorni, dando al visitatore la possibilità di tornare anche a distanza di tempo, come accade al Museu Frederic Marès di Barcellona, il cui biglietto consente una seconda visita gratuita entro sei mesi dalla data d’emissione), sugli abbonamenti, che sono già realtà in diverse regioni d’Italia (in Piemonte, il pionieristico Abbonamento Musei consente accesso illimitato a oltre duecentocinquanta musei a fronte di una spesa annua di 52 euro), sulle convenzioni con altri luoghi della cultura. E sarebbe poi interessante investire in comunicazione per presentare in un’ottica fresca e nuova l’esperienza al museo.
In altri termini, si ragioni per far evolvere la domenica gratuita in un qualcosa che favorisca davvero l’integrazione, l’inclusione, lo sviluppo del senso di cittadinanza. I musei, con iniziative simili a quelle sopra elencate, potrebbero anche diventare centri d’aggregazione, luoghi in cui ci si possa ritrovare, oppure fare una breve passeggiata, scoprendo ogni volta, con calma, un capolavoro diverso. Si pensi a quanto sarebbe bello darsi appuntamento davanti al museo della propria città, dopo il lavoro o dopo lo studio, per una breve visita, da concludere magari con un aperitivo alla caffetteria del museo. Un sogno? Potrebbe diventare realtà, se iniziassimo a discutere sui nostri istituti superando le divisioni e nell’ottica di metterci al servizio di coloro che li visitano.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).