Del vero e delle riproduzioni delle opere d'arte. A cosa serve visitare un museo


A cosa serve visitare il museo nell’era delle riproduzioni digitali perfette? La risposta sta nel vero soggetto della visita al museo: quello della materialità e del contesto culturale dell’opera.

Oggi il pubblico ha più che mai bisogno di chiarezza e il museo prettamente inclusivo deve essere un punto di riferimento del vero. Spesso ragazzi timidi di scolaresche mi chiedono sotto gli schiamazzi dei compagni se quel che vedono sono originali o meno. Rispondo loro che quella è la domanda fondamentale e che l’unico motivo della loro visita al museo sta nel miracolo della scoperta delle opere originali. Però, se va riaffermata di continuo l’aura dell’opera d’arte originale, di chi è la colpa se sussiste un dubbio e c’è una speranza di silenziare i sospetti? Aldilà dei pareri divergenti sui prestiti di opere autentiche a degli eventi commerciali, il vero soggetto è quello della materialità e del contesto culturale dell’oggetto.

Alcuni operatori culturali stanno oramai applicando il principio dello sciroppo all’opera d’arte. Una dose singola di Van Gogh o Klimt diluita in cinque dosi di proiezione sulle pareti e una dose di Wagner crea un’esperienza immersiva molto più divertente della contemplazione di un quadro possibilmente abraso, piccolo (“non avrei mai pensato che fosse così piccolo” è il commento più frequente del visitatore deluso nei nostri musei) e impossibile da illuminare in modo perfetto per colpa dei riflessi sulla vernice e sul vetro protettore.

Sala della Pinacoteca Nazionale di Siena
Sala della Pinacoteca Nazionale di Siena. Foto Finestre sull’Arte
Sala della Pinacoteca Nazionale di Siena
Sala della Pinacoteca Nazionale di Siena. Foto Finestre sull’Arte
Sala della Pinacoteca Nazionale di Siena
Sala della Pinacoteca Nazionale di Siena. Foto Finestre sull’Arte

C’è una possibilità di vincere questa battaglia già persa? Ricorderò un’esperienza personale : avevo portato mia figlia, che aveva allora una decina d’anni, a vedere una partita di calcio allo stadio. Qualche minuto dopo il fischio d’inizio mi chiese perché non c’erano i replay come in tivù. Però poi si divertì a trovare un senso nel distinguere dalla curva le ombre lontane dei giocatori, ad ascoltare gli esperti spontanei come suo padre e altri spettatori, a mangiare un panino e bere una bibita americana e a tornare poi a casa su un autobus affollatissimo.

Vedere l’opera d’arte originale è uno sforzo, non nel senso di un elitarismo spocchioso che non ha più il suo posto nei musei ma nell’idea che si deve raggiungere il posto dove avviene la scoperta: la poltrona del salotto non sarà mai il luogo della rivelazione dell’arte. Intendiamoci: il museo è solo un tramite come il teatro o la sala di concerto. In un mondo che non avesse conosciuto conquiste, distruzioni e furti, le opere sarebbero ancora nei palazzi o nelle chiese per le quali sono state concepite con calcoli precisi di prospettiva e illuminazione. Il museo è come la democrazia secondo Churchill, la peggior forma di trasmissione delle opere, eccezion fatta per tutte quelle altre forme sperimentate finora.

La riproduzione anche fedelissima non ha mai senso da sola neanche per sostituire un’opera non prestabile, anzi la sua stessa perfezione accresce il rischio di manipolazione dello spettatore. Invece va inserita nella ricostruzione degli insiemi monchi come le integrazioni moderne nei restauri, messe in evidenza, mai del tutto sovrapposte alle parti antiche. Deve poi essere spiegata e giustificata per evitare ogni equivoco. Nel contesto della Pinacoteca Nazionale di Siena c’interessa per evocare le parti dei polittici disperse, i lavori di falegnameria mancanti, la storia dei restauri anteriori.

La nobiltà del museo sta nell’offrire un catalogo delle rinunce, un inventario del possibile e un dispiegamento onesto del riflesso di quel che furono le bellezze del passato, il tutto messo in confronto con le nostre menti e sensibilità contemporanee. E non c’è nessuna indicazione che in futuro il pubblico smetterà di fare la fila per vedere dal vivo questo spettacolo nobilitato dalla cura delle donne e degli uomini che ce l’hanno tramandato fino a oggi.

Questo contributo è stato pubblicato originariamente sul n. 18 della nostra rivista cartacea Finestre sull’Arte on paper. Clicca qui per abbonarti.


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