Da Firenze a Gorizia, le biblioteche tornano in sciopero. Cosa succede?


Negli ultimi giorni, due scioperi delle biblioteche, uno a Firenze e uno a Gorizia, hanno riportato all'attenzione di tutti le pesanti difficoltà di uno sei settori più importanti della nostra cultura.

“AVVISO. A causa di uno sciopero del personale in appalto del Servizio Biblioteche e Archivi, venerdì 1 luglio non sarà garantita la regolare erogazione dei servizi e l’apertura delle biblioteche di Firenze”. Non capita spesso di leggere avvisi simili - che ben più frequentemente caratterizzano altri settori - in riferimento ai servizi culturali. Eppure, a Firenze è già la seconda volta che accade dall’inizio dell’anno. 

“Non molliamo. Siamo pronti a tutto. Se non dovesse sbloccarsi la situazione, quello di oggi sarà solamente il primo di una serie di scioperi”. Anche in questo caso, la dichiarazione a fatica parrebbe associabile a una biblioteca, eppure è quanto hanno dichiarato alcuni dipendenti della Biblioteca Statale Isontina, di Gorizia, in sciopero davanti ai cancelli dell’istituto il 20 giugno scorso, per la prima volta in 200 anni di storia della biblioteca

Due piazze molto diverse, quelle che si sono registrate a Firenze e Gorizia. A Firenze si sciopera per mantenere il posto di lavoro, anzitutto. I lavoratori esternalizzati, un centinaio, temono di perderlo con il nuovo appalto, dati i tagli che, scrivono, “avranno un impatto negativo non solo sulla tenuta occupazionale dei lavoratori dell’appalto che garantiscono questi servizi da 15 anni, ma anche sull’intera cittadinanza”. L’amministrazione ha deciso di reinternalizzare il servizio, facendo svolgere il loro lavoro a personale amministrativo che questi stessi bibliotecari sarebbero costretti a formare. A rischio sono anche i servizi, “bibliobus, aperture del sabato pomeriggio delle biblioteche di quartiere, aperture pomeridiane dell’archivio e alfabetizzazione informatica” divenuti accessori e in assenza di ulteriori stanziamenti destinati a ridursi o sparire, spiegano. Il 1 luglio erano in piazza della Signoria, davanti a Palazzo Vecchio, per chiedere all’amministrazione comunale un ascolto che è mancato finora, con i sindacati COBAS, USB, UIL e tante associazioni e comitati. L’adesione, spiegano i bibliotecari, è stata di oltre il 60%. Niente affatto scontato per lavoratori precari. “Non ci fermeremo, fino a quando non riceveremo le risposte che attendiamo dall’autunno scorso”, assicurava Alessio Nencioni del comitato BiblioArchiPrecari Firenze e delegato sindacale. Il precedente appalto, scaduto pochi giorni fa, durava 4 anni più altri 4, mentre il nuovo dovrebbe durare, nelle intenzioni del Comune, 20 mesi, ma prevede meno servizi e anche meno ore: coi nuovi orari, che entreranno in funzione lunedì, in assenza di interventi rapidi c’è chi perderà il 50% delle ore e quindi del salario. Per ora gli scioperanti hanno ottenuto un incontro, agognato ma non risolutivo, con l’amministrazione, tenutosi lunedì scorso.

Lo sciopero di Firenze. Foto USB
Lo sciopero di Firenze. Foto USB

Diversa la situazione di Gorizia, dove a scioperare era il personale dipendente del ministero, con contratto a tempo indeterminato. Enrico Acanfora, sindacalista Unsa Confsal, lo notava parlando con i giornali: “in genere, uno sciopero generale si fa per questioni economiche. Questa volta, invece, è per una funzionalità migliore ed efficiente di un patrimonio culturale come quello della biblioteca”. A Gorizia il 1 luglio è andato in pensione l’ultimo bibliotecario, “come se in cardiologia mancasse il cardiologo”, spiegavano ancora i dipendenti in sciopero. E le rassicurazioni ministeriali, arrivate il giorno seguente allo sciopero, che parlavano di “nessun rischio di chiusura per la Biblioteca Isontina” e di “procedure pubbliche e i concorsi in svolgimento” per assumere personale non hanno placato gli animi, dato che i concorsi impiegano anche più di tre anni per essere espletati e l’assenza di bibliotecari è realtà già oggi.

Ma le due piazze hanno degli evidenti tratti in comune, a partire dal fatto che si tratta di scioperi avvenuti dopo decenni di assenza di scioperi in quelle stesse istituzioni. In particolare, il tratto comune è la centralità della cittadinanza, che ha sostenuto con forza e partecipato ai presidi di protesta. Nel caso di Gorizia, anche delle istituzioni locali, dato che la biblioteca giuliana, che oltre a essere una biblioteca dello Stato, è anche la principale biblioteca della città. Nel caso fiorentino il Comune è la parte contestata, ma sindacati e politica cittadina hanno fatto propria la vertenza. Il che non è scontato, trattandosi di servizi culturali a lungo ignorati dai media e dalle forze politiche.

In comune c’è anche il fatto che si tratta solo delle punte di un iceberg. Allargando il campo, è il contesto generale delle biblioteche - e più in ampiezza dei servizi culturali - che appare in evoluzione. Solo il 9 giugno scorso la Funzione Pubblica della CGIL pubblicava un durissimo comunicato riguardo il "deserto delle biblioteche pubbliche statali" ed elencava una serie di situazioni particolarmente critiche, come “la drastica riduzione dei dirigenti assegnati al settore, l’inserimento di Biblioteche prestigiose come la Braidense, l’Estense, la Palatina e la Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte alle dipendenze dei circuiti museali che hanno ben altra mission rispetto ai compiti di tutela conservazione e fruizione del patrimonio librario, le spoliazioni delle sedi storiche, che hanno colpito la Biblioteca Universitaria di Pisa, da dieci anni ormai smembrata nel suo patrimonio per effetto di un vero e proprio pretestuoso tentativo di sfratto dalla sua sede storica; la Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, al centro di interventi normativi che ne ipotizzano la trasformazione in una Fondazione e soggetta all’abbandono della sua sede storica di Piazza Venezia a Roma; la Biblioteca Nazionale di Napoli, per la quale è in programma uno spostamento dalla sua sede di Palazzo Reale”. Molte di queste situazioni hanno trovato spazio sui giornali nei mesi e negli anni recenti. Ma certo il fatto che si arrivasse a scioperi e presidi - da registrare quello di Napoli del 16 giugno scorso - era probabilmente fuori dai pensieri della dirigenza ministeriale dopo il Decreto Colosseo del 2015, che trasformava musei e biblioteche in servizi pubblici essenziali: paradossalmente proprio quella funzione pubblica essenziale rende poco giustificabili chiusure o riduzioni drastiche di orari e servizi a causa della carenza di personale, offrendo il sostegno ideologico e simbolico alle proteste. Solo questa settimana, lunedì 4 luglio i sindacati confederali erano in piazza a Roma “contro l’abbandono del Ministero della Cultura”, e assemblee sindacali si sono tenute in moltissime istituzioni ministeriali in tutta Italia, mente, allargando il campo oltre le biblioteche, un altro sciopero (ventilato e poi ritirato, avendo raggiunto in poche ore l’obiettivo) si è registrato al Maschio Angioino di Napoli.

C’è però una questione pratica che riguarda più nello specifico le biblioteche, cioè il fatto che queste istituzioni siano oggettivamente in situazione di drammatica difficoltà, anche superiore alla media ministeriale. Il numero di bibliotecari in servizio al Ministero della Cultura è arrivato ormai sotto i 300, nel 2016 era di 779. E se per gli Archivi di Stato - anch’essi in grave difficoltà - sono perlomeno state assunte 160 unità e altri 270 posti sono stati recentemente banditi, incapaci comunque di pareggiare i pensionamenti, per le biblioteche per ora si contano solo 60 assunzioni in questi sei anni, e nuovi bandi ancora languono. Un disinteresse che potrebbe però trovare un’inversione grazie alle proteste. Anche se al momento l’impiego di personale altro, come gli amministrativi di Firenze, o il personale di Ales - la società partecipata del MiC - nel caso delle biblioteche statali, non sembra sufficiente a fermare una crisi della qualità del lavoro e del servizio offerto. Le piazze di queste settimane, per fortuna, lo ricordano con la rabbia e il sorriso.


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Leonardo Bison

L'autore di questo articolo: Leonardo Bison

Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.





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