Banksy a Livorno: l'ennesima mostra commerciale in una città che può e deve fare meglio


La mostra su Banksy a Livorno è l’ennesima replica di un format già portato in tantissime città. Ma Livorno merita una considerazione a parte, perché in una città con la sua storia e la sua tradizione la mostra di Banksy non può e non dev’essere l’evento principale.

È ormai pleonastico discutere sull’utilità dell’ennesima mostra su Banksy. Chi vorrà andare al Museo della Città di Livorno e spendere dodici euro per vedere una mostra composta da ventisei multipli di Banksy, più o meno gli stessi che ogni anno vengono scarrozzati su e giù per il territorio nazionale, faccia come meglio crede. Ricordando che al momento in Italia sono visitabili sei mostre su Banksy, tra rassegne di multipli, gallerie di riproduzioni ed esperienze più o meno immersive: chi vuole vedere una mostra su Banksy può scegliere, a oggi, se andare a Trieste, a Torino, a Bologna, a Genova, ad Avellino o, appunto, a Livorno. E ricordando che l’associazione Metamorfosi, che ha organizzato la mostra di Livorno, in appena due anni ha portato la rassegna sull’artista inglese a Teramo, Gallipoli, Trento, Bari, San Marino, Lugano, Reggio Calabria, Chioggia, Parma, Ancona, Otranto, Sarzana, Palermo, Sansepolcro, Ferrara, Genova, Cagliari, Osimo, Firenze.

In sostanza, se non ti è ancora capitata una mostra di Banksy nel raggio di una cinquantina di chilometri, vuol dire che probabilmente vivi sulla Luna. Livorno accoglie dunque un prodotto frusto e che è già stato dappertutto: i comunicati potranno poi insistere tranquillamente, quasi a voler giustificare l’operazione, sul fatto che Banksy Realismo Capitalista (questo il titolo dell’esposizione) “non è una mostra immersiva di riproduzioni, ma una collezione di opere originali” (cosa che nessuno mette in dubbio), ma resta il fatto che la città toscana deve contentarsi di arrivare, da buona ultima, a presentare una mostra ormai stracotta, un prodotto commerciale, e neppure con la stessa quantità di opere che si sono viste altrove (a Parma, per esempio, ce n’erano un centinaio).

Mostra di Banksy a Livorno
Mostra di Banksy a Livorno
Mostra di Banksy a Livorno
Mostra di Banksy a Livorno
Mostra di Banksy a Livorno
Mostra di Banksy a Livorno
Mostra di Banksy a Livorno
Mostra di Banksy a Livorno

Sulla mostra, dunque, non c’è granché da dire. Il caso di Livorno però merita una menzione a parte, per due motivi. Primo: il valore culturale della rassegna in relazione alla storia della città che la ospita. L’amministrazione potrà dire che la mostra è stata un successo perché probabilmente raggiungerà il pareggio (obiettivo tutt’altro che facile per una mostra) e perché ha spostato qualche migliaio di visitatori (sarà interessante poi sapere quanti sono venuti da fuori città), facendo forse contenti anche i commercianti locali. Sarà allora utile sottolineare ulteriormente che l’obiettivo primario d’una mostra non dovrebbe essere la movimentazione dei flussi di persone, perché altrimenti l’organizzazione di mostre rischia di diventare un gioco al ribasso, se per spostare pubblico si ricorre a prodotti stantii o s’inseguono le mode. E allora tanto vale una sagra del cacciucco. Una città come Livorno può e deve esprimere sicuramente di meglio: la principale esposizione di cartello nel museo deputato ad accogliere le collezioni civiche non può e non dev’essere una mostra di cassetta su Banksy, che ricicla pure gli stessi fraseggi delle mostre precedenti. Per esempio, “l’esposizione di Livorno tratta per la prima volta Banksy come se fosse un grande artista classico”, proposito che si poteva già leggere nei comunicati dell’omologa mostra di Palazzo delle Albere a Trento. Operazioni commerciali come Banksy Realismo Capitalista possono essere tollerate in un centro di piccole dimensioni, in una città dove ci sono poche occasioni per vedere mostre, in una località che ha scarsa tradizione espositiva, oppure se una mostra del genere è del tutto accessoria, una delle tante: in un cartellone ricco e vario può tranquillamente esser presente anche la mostra-panettone (dato che è cominciata sotto Natale). Ma in una città come Livorno la mostra di Banksy non può essere l’evento principale. E il coraggio di un’amministrazione comunale sta anche nel proporre palinsesti interessanti, che riescano a lasciare qualcosa (in termini di novità, storia, ricerca, ritorno d’immagine), anche a fronte di segni meno sul bilancio. Con alcune delle mostre precedenti (per esempio quella su Grubicy) era stata imboccata una strada interessante, interrotta con Banksy da un’operazione totalmente contraria a quanto era stato fatto in precedenza.

Il secondo motivo è invece dato dalla situazione, probabilmente unica in Italia, che si è prodotta a Livorno, dove al pubblico, ormai da mesi, non è data facoltà di vedere le opere della raccolta permanente del Museo della Città, perché il museo, che ha appena cinque anni di vita, sarà riallestito, ma i suoi spazi sono stati recentemente occupati da ben due mostre temporanee, quella su Piero Gilardi e, appunto, quella su Banksy: e allora quale senso ha impedire a livornesi e turisti la visione delle opere della raccolta cittadina di arte contemporanea, quando sarebbe stato invece possibile esporre, magari a rotazione, le opere delle collezioni pubbliche con mostre ad hoc, focalizzate sul patrimonio, invece che occupare gli spazi espositivi con la millesima mostra su Banksy? Una città che ha una tradizione artistica come quella di Livorno, caso quasi unico in Italia, non merita un trattamento del genere. È di pochi giorni fa la notizia della nomina del direttore scientifico del Museo della Città: la speranza è che la mostra su Banksy sia solo un incidente di percorso.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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