Finalmente sembra non essere più argomento proibito parlare di abolizione del Green Pass, e in tal senso le ultime aperture degli esponenti del Comitato Tecnico-Scientifico e addirittura di alcuni degli scienziati più televisivi fanno ben sperare. A parlare tra i primi di abolizione del Green Pass è stato, lunedì in un’intervista su Il Giornale, il medico Fabio Ciciliano, membro del Cts, affermando che “alla fine della primavera si può pensare di toglierlo definitivamente”. Poi è stata la volta di Matteo Bassetti, tornato più volte sull’argomento, anche oggi sul Corriere: molto ragionevolmente afferma che finito lo stato d’emergenza ci saranno solo due milioni di italiani sotto i 50 anni non vaccinati, “una cifra che ci possiamo permettere”, e pertanto (considerando i dati e, potremmo aggiungere, considerando che c’è una quota parte che non si vaccinerà mai a prescindere da qualunque misura venga presa) non avrà più senso protrarre il Green Pass. Considerazioni simili anche da parte di Andrea Crisanti.
Non abbiam mai fatto mistero delle nostre posizioni critiche verso il Green Pass, che abbiamo più volte sottolineato anche su queste pagine. E oggi possiamo pure aggiungere che l’insistenza sul Green Pass ha creato un inutile clima di caccia al no-vax che ha distolto l’attenzione da problemi più interessanti e urgenti, a cominciare dall’importanza degl’investimenti sul settore della sanità che negli ultimi anni ha subito pesanti ridimensionamenti, col risultato che allo scoppio dell’emergenza l’Italia s’è trovata costretta a pagare il prezzo delle politiche degli anni precedenti. Gli ultimi mesi, certo, hanno visto piovere ingenti investimenti sul settore aprendo a una possibile stagione di rilancio per la sanità nazionale, e il numero di unità di terapia intensiva è quasi raddoppiato rispetto a quello su cui si poteva contare all’inizio della pandemia (pur con le tipiche disparità territoriali ormai strutturali), ma è innegabile che le sofferenze dell’Italia si debbano più al pregresso di anni di scelte sbagliate che alle scelte contingenti di una parte sempre più residuale della popolazione. L’argomento, insomma, è molto più complesso di come la vulgata lo ha fatto passare.
Simili tendenze semplificatorie hanno riguardato l’applicazione del Green Pass ai luoghi della cultura, dove tuttavia il rischio di contagio è sempre stato basso e che sarebbe stato auspicabile inserire tra le attività sempre aperte a tutti, dal momento che musei, mostre, siti archeologici e luoghi simili, benché spesso ritenuti (a cominciare dai musei) luoghi di svago, sono in realtà presidio di cittadinanza e strumenti utili alla società, esattamente come lo sono le scuole e gli ospedali. Aver subordinato i luoghi della cultura a logiche di premialità (ormai nessuno cela più la vera natura del certificato verde: non uno strumento sanitario, bensì uno strumento di persuasione), e averli considerati tra i primi luoghi da sottoporre alla disciplina del Green Pass (i musei e le mostre, in particolare, inseriti nell’elenco delle attività con obbligo di certificato fin dal decreto-legge del 23 luglio, e considerati dunque non al pari di servizi pubblici essenziali, per i quali l’obbligo di Green Pass è giunto molto più tardi, ma alla stregua di sagre e fiere, sale da gioco, centri ricreativi), ha fornito una buona misura della considerazione che i fautori di questa misura nutrono nei confronti della cultura.
Si riteneva poi che il Green Pass avrebbe favorito la frequentazione dei musei, e per dimostrarlo sono stati utilizzati in maniera fuorviante i confronti con i dati dei visitatori del 2020. Basti l’esempio della presidente della Fondazione Museo Egizio, Evelina Christillin, che a ottobre faceva credere che gli aumenti di visitatori registrati al Museo Egizio in paragone all’anno precedente fossero dovuti all’introduzione del Green Pass. I dati hanno pienamente dimostrato che il Green Pass è stato del tutto ininfluente e che le tendenze nelle visite rispondono semmai alla distribuzione dei flussi lungo l’anno e alla percezione del pubblico nei confronti della situazione sanitaria. Si può prendere a esempio proprio il caso del Museo Egizio, analizzando i dati dell’Osservatorio Culturale del Piemonte, e tenendo conto del fatto che nel 2020 l’istituto aveva riaperto al pubblico in data 2 giugno dopo un lungo periodo di chiusura, e del fatto che per tutta l’estate del 2020 i musei avevano continuato a far segnare dati bassi in tutta Italia. Ecco: il Museo Egizio a giugno 2021 ha fatto registrare 36.246 visitatori contro gli 11.056 del 2020 e contro i 49.576 del 2019, a luglio 42.933 (contro 16.122 e 46.723), ad agosto 53.433 (contro 40.368 e 71.473), a settembre 39.171 (contro 26.585 e 56.058).
Cosa emerge dai dati, simili anche su molti altri musei? Primo, che gli aumenti in doppia cifra riguardano anche il mese di luglio, quando non c’era il Green Pass (si può anche non considerare giugno, dato che si veniva dopo un lungo periodo di chiusura, ma volendo il ragionamento si potrebbe estendere). Secondo, che a settembre i visitatori sono diminuiti: questo perché le tendenze ricalcano, come detto, logiche di distribuzione dei flussi che conoscono poche variazioni durante gli anni (in tutti gli anni dal 2013 al 2019, con la sola eccezione del 2017, il Museo Egizio ha registrato cali tra il 26% e il 36% tra il mese di agosto e settembre, e il 2021, sebbene con una percentuale leggermente migliore, non ha fatto eccezione, segnando un -21%). Terzo, che i dati di agosto si potrebbero anche sulla base della presenza dei turisti, che durante la pandemia sono calati: sul confronto con gli anni precedenti, settembre è andato quasi sempre meglio rispetto ad agosto. Quarto, che in termini assoluti il Green Pass non è servito a far tornare i musei sui livelli del periodo pre-pandemia (ma lo stesso sarebbe accaduto anche senza alcun obbligo: ha pesato l’assenza dei turisti, e incrociando i dati dei non vaccinati con quelli dei visitatori dei musei, per esempio il profilo tipico del non vaccinato secondo i dati del Dipartimento di epidemiologia del Lazio e quelli del non-visitatore secondo i dati Istat, emergono profili quasi sovrapponibili). Anche sul tema musei e Green Pass, in sostanza, i dati fanno risaltare semmai un panorama molto più complesso rispetto a come è stato dipinto sui media. E non vale neppure più la giustificazione secondo cui i visitatori si sarebbero sentiti più sicuri con il Green Pass: le ultime settimane hanno dimostrato anche con la forza dell’evidenza che non poteva esistere alcuna sicurezza dal contagio pur in presenza di soli vaccinati, una realtà di fatto che su queste pagine abbiamo cercato di sottolineare da subito, anche quando era considerato del tutto sconveniente parlarne.
Alla luce di tutto ciò ch’è stato considerato, e in ragione dell’evoluzione della situazione sanitaria, è evidente che l’esistenza del Green Pass per i musei e per i luoghi della cultura perde sempre più senso ogni giorno che passa. E come i musei sono stati tra i primi luoghi a vedersi imporre il certificato verde, potrebbero essere anche tra i primi a vederselo abolire. La cultura, purtroppo, non è stata tenuta lontana da questo strumento. Ora possiamo cogliere l’opportunità di segnalare a tutti l’importanza della cultura, almeno a livello simbolico, rendendola il primo settore libero dal Green Pass. Lo si può fare subito. Da oggi stesso. Senza timore di far peggiorare la situazione sanitaria, data l’influenza nulla che musei e luoghi della cultura hanno fatto registrare sull’andamento dei contagi, e senza rammarichi: chi necessitava del Green Pass applicato ai musei per farsi convincere a vaccinarsi, ormai s’è vaccinato da tempo. Basta una riga di penna sui decreti in vigore. I musei, le mostre, le biblioteche, i siti archeologici, gli archivi tornino a essere aperti a tutti il prima possibile.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).