21 ragioni per odiare i musei? Per amarli ne bastano tre


Il giornalista inglese Oliver Smith in un suo articolo ha elencato 21 ragioni per odiare i musei. Secondo noi, ne bastano 3 per amarli.

Ha fatto molto discutere, verso metà agosto, un articolo apparso sul Telegraph, a firma del giornalista specializzato in viaggi Oliver Smith, intitolato provocatoriamente 21 ragioni per cui odio i musei. Ora, non so se questo è quanto corrisponde al reale pensiero di Oliver Smith: è un giornalista abbastanza navigato per non cadere in considerazioni troppo superficiali, dunque l’articolo potrebbe configurarsi come, appunto, una provocazione per provare a stimolare una discussione su certi temi che sono all’ordine del giorno per chi si occupa di musei.

È anche chiaro che il commentatore avveduto non dovrebbe limitarsi a tacciare di stupidità le considerazioni di Smith, perché molte delle ragioni addotte dal giornalista contro i musei celano, purtroppo (e soprattutto se pensiamo a molti musei italiani), una realtà fatta di problemi che spesso rimangono irrisolti. Posto che comunque tutti concordiamo sul fatto che i musei non vadano odiati (io sono un eccezionale amante dei musei, e li amo al punto tale da passare sopra, spessissimo, ai problemi che presentano) e si debbano anzi frequentare più spesso e meglio, cerchiamo di capire quali siano le ventun ragioni elencate da Smith.

Jules Bernard, Visitatori al museo di Grenoble

Si va dall’“andiamo nei musei solo perché ci viene detto di farlo” (e qui Smith incolpa le guide scritte per i turisti, responsabili di dare troppo peso a musei anche, a sua detta, trascurabili), al fatto che le “opere d’arte sono noiose” (Smith riconosce di avere conoscenze limitate in fatto di storia dell’arte, ma al contempo si lancia in riflessioni apparentemente molto superficiali sull’arte religiosa, liquidata come tediosa), passando per considerazioni che sembrano contraddittorie, come il fatto che nei musei ci sia una “atmosfera funerea” ma al contempo ci siano bambini chiassosi e genitori che non contribuiscono alla calma, e per i classici strali contro l’affollamento, specie nei musei che conservano le opere d’arte più celebri. Alcune delle 21 ragioni si interrogano poi sull’opportunità di ciò che viene musealizzato (l’esempio è quello del “Museo della Matita” di Keswick in Inghilterra), sui costi degli ingressi e sulle spese che le amministrazioni devono affrontare per sostenere i musei, su certi modi di fruizione da parte del pubblico (i tanto odiati selfie), sugli apparati spesso non funzionanti (come i display interattivi), sul fatto che i bookshop siano fregature, sulla scarsa preparazione del pubblico.

Questo è, comunque, solo un brevissimo e scarno riassunto dell’articolo di Oliver Smith. Il problema principale del pezzo consiste nel fatto che il giornalista ha riunito in un unico e poco sensato calderone tantissimi temi che varrebbe la pena approfondire, e che è veramente difficile trattare in un solo articolo. Basti pensare che solo a uno dei temi affrontati da Smith, i “selfie” (e in generale le fotografie moleste), abbiamo dedicato due articoli sul nostro sito, mentre un altro sempre sullo stesso tema uscirà la prossima settimana. Non essendo dunque possibile ribattere punto per punto a Oliver Smith in un unico articolo (benché ci riserviamo di tornare con altri post su molti degli argomenti citati), mi limiterò a elencare solo tre ragioni per cui i musei vanno amati e frequentati.

La prima: il museo è il luogo dove viene custodita la nostra memoria. Una città, una comunità, una società senza memoria sono realtà senza un futuro, perché il futuro poggia le basi sulla storia. Tutte le conquiste sono frutto di una evoluzione costante che porta a raggiungere determinati traguardi, e i musei ci restituiscono le testimonianze più vive e tangibili delle acquisizioni e dei progressi fatti dalle comunità. E le opere d’arte, in quanto testimonianze storiche delle epoche che le hanno prodotte (il che vale, naturalmente, anche per l’arte contemporanea) non fanno altro che fornire un riscontro visivo di tali evoluzioni. Alcune appariranno noiose perché, con il tempo, anche i linguaggi si evolvono, e se non c’è nessuno in grado di tradurre per noi il significato di un’opera d’arte prodotta in tempi remoti, ci annoierà solo perché non saremo in grado di comprenderla.

Di conseguenza, se i musei sono luoghi dove la memoria viene custodita, la seconda ragione per amarli consiste nel fatto che i musei sono luoghi dove si sviluppa la conoscenza, e la conoscenza è fondamentale per ogni società civile e progredita: il degrado cresce e si alimenta nei luoghi dove manca la conoscenza, dove manca la cultura. Vale la pena ricordare che queste funzioni tipiche dei musei sono sancite anche nel Codice etico dell’ICOM (International Council of Museums) per i musei: “i musei custodiscono le loro collezioni a beneficio della società e del suo sviluppo” e “i musei custodiscono testimonianze primarie per creare e sviluppare la conoscenza”. E questi due postulati del Codice etico dell’ICOM, l’organizzazione che rappresenta i musei di tutto il mondo, non possono che derivare dal primo: “i musei assicurano la conservazione, l’interpretazione e la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale dell’umanità”. Ne deduciamo che, se tutti la pensassero come Oliver Smith (che pensi davvero così, o che faccia finta di pensarlo a mero scopo provocatorio: fa poca differenza), ci sarebbe molta meno conoscenza nel mondo e, viceversa, ci sarebbero più degrado e più rovina.

E infine, la terza ragione: visitare un museo suscita emozioni, spesso impagabili. Ci saranno sicuramente opere d’arte che accendono qualcosa dentro di noi, anche se non le conosciamo e non le comprendiamo: l’emozione è il più semplice dei linguaggi, ed è universale. Ci sarà poi sicuramente un manufatto antico che stimoli la nostra curiosità, dato che la curiosità è essa stessa un’emozione, così come ci saranno sicuramente dei reperti naturali che non ci lasceranno indifferenti. Anche quei musei citati che conservano, a detta di Smith, oggetti non degni di musealizzazione, come matite o bizzarre opere d’arte contemporanea, riescono a far provare qualcosa, perché un giudizio negativo nasce da una sensazione che si è avvertita. E se dopo una visita a un museo non siamo riusciti a provare alcunché, i casi sono due: o siamo profondamente insensibili, o nessuno è stato in grado di stimolare la nostra emotività di fronte a un’opera d’arte, a un manufatto o a un reperto.

I musei sono quindi fonte di memoria, conoscenza, emozione, piacere, sviluppo, cultura. Raccontano storie, comunicano sensazioni, contribuiscono alla nostra crescita personale e al progresso delle comunità. La provocazione serve anche a spronare chi la legge a riflettere su certi problemi: e la provocazione di Smith andrebbe presa proprio in questo senso. E mi auguro che sia stato anche il suo intento. Anche perché, in fondo, sono sicuro che anche chi dice di odiare i musei, in realtà non può farne a meno.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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