“Exaspérations monochromes”. Yves Klein, il blu, il colore del vuoto


Da dove nasce l'ossessione di Yves Klein (Nizza, 1928 - Parigi, 1962) per il blu, tanto da averne inventato una tonalità nuova, l'International Klein Blue? Lo vediamo in questo articolo che ripercorre una carriera all'insegna del colore del cielo... e del vuoto.

Blu blu blu. Questo il titolo della recensione di Dino Buzzati alla mostra Proposte monocrome: epoca blu, personale allestita da Yves Klein nel 1957 alla Galleria Apollinaire di Milano. Un titolo che richiama immediatamente l’attenzione su uno dei tratti che hanno reso celebre Klein: l’insistente ricorso, spesso in tele monocrome, al tono di blu che prenderà il nome stesso dell’artista. Prestato per l’occasione alla critica d’arte, Buzzati inquadra nitidamente l’eclettica personalità di Klein: “nato a Nizza ventotto anni fa; studi nautici e di lingue orientali; allenatore di cavallo da corsa; campione di judo nello stesso Giappone”.

L’artista francese, situabile nell’alveo del Nouveau Réalisme, era allora giunto in Italia con undici dipinti monocromi blu e uno rosso. Aveva faticato a convincere i doganieri della natura artistica di quegli oggetti. Ma proprio a Milano inaugurava l’epoca blu che lo avrebbe consacrato. Il rapporto di Klein con quel colore e con il colore in generale aveva una storia relativamente lunga (per quanto lunga si possa appunto considerare la carriera dell’artista, condensata in meno di uno strabiliante decennio, dal 1955, anno della prima esposizione pubblica al Club des solitaires di Parigi, al 1962, data della sua prematura scomparsa).

I primi passi monocromi di Klein possono essere rintracciati in alcuni schizzi ad acquerello realizzati nel 1954 e intitolati Monochrome jaune, rouge et vert (scéne de théâtre) e Monochrome rouge (scéne de théâtre). Contenuti su un quaderno rilegato a spirale, gli abbozzi presentano rettangoli monocromi al centro di un palcoscenico incorniciato dai classici tendoni rossi. Dello stesso anno è il catalogo Yves Peintures, lavoro controverso con cui Klein, ai suoi esordi, tenta di introdursi e di legittimare la sua proposta nel mondo dell’arte. Le opere qui riprodotte, dieci tavole monocrome, diverse per colore e dimensioni, precedute da una singolare introduzione dell’amico Claude Pascal, composta di sole linee nere orizzontali, sembrano infatti non essere mai state create.

Ritratto di Yves Klein realizzato in occasione del film The Heartbeat of France di Peter Morley nel 1961, studio di Charles Wilp, Düsseldorf
Ritratto di Yves Klein realizzato in occasione del film The Heartbeat of France di Peter Morley nel 1961, studio di Charles Wilp, Düsseldorf


Monochrome jaune, rouge et vert (scéne de théâtre) (1954; acquerello e matita su carta in quaderno a spirale, 133 x 210 mm; Collezione privata)
Yves Klein, Monochrome jaune, rouge et vert (scéne de théâtre) (1954; acquerello e matita su carta in quaderno a spirale, 133 x 210 mm; Collezione privata)


Yves Klein, Monochrome rouge (scéne de théâtre) (1954; acquerello e matita su carta in quaderno a spirale, 133 x 210 mm; Collezione privata)
Yves Klein, Monochrome rouge (scéne de théâtre) (1954; acquerello e matita su carta in quaderno a spirale, 133 x 210 mm; Collezione privata)


Yves Klein, Yves Peintures, catalogo di tavole su carta, esemplare dedicato a Monsieur Oshita (Parigi, 24 settembre 1955; carta, 245 x 190 mm; © Succession Yves Klein c/o ADAGP, Paris)
Yves Klein, Yves Peintures, catalogo di tavole su carta, esemplare dedicato a Monsieur Oshita (Parigi, 24 settembre 1955; carta, 245 x 190 mm; © Succession Yves Klein c/o ADAGP, Paris)


Una tavola da Yves Peintures
Una tavola da Yves Peintures


Una tavola da Yves Peintures
Una tavola da Yves Peintures

La carriera vera e propria di Klein inizia l’anno dopo, nel 1955, con le due mostre parigine che precedono l’esposizione milanese. In Yves: peintures e in Yves: propositions monochromes i dipinti, rigorosamente monocromatici, liberi dalle linee e dalla figurazione, che nella poetica di Klein rappresentano un’inutile costrizione, sono ancora di vari colori e rispecchiano la convinzione dell’artista secondo la quale ad ogni colore corrisponderebbe un intero mondo.

Il percorso che condurrà in seguito Klein a concentrarsi esclusivamente sul blu è spiegato dall’artista in persona in una conferenza tenuta alla Sorbonne il 3 giugno del 1959 e poi ripresa in diverse pubblicazioni. In occasione della seconda mostra parigina, l’artista aveva notato che i visitatori, invece di sprofondare nell’“idea astratta rappresentata in modo astratto” che lui intendeva comunicare (come dal testo d’autore di presentazione della mostra), si soffermavano sulla bellezza decorativa data dall’accostamento dei vari colori. Fraintendevano così la vera intenzione dell’artista. Al fine di evitare l’indugio degli spettatori sugli accostamenti cromatici e di richiamare l’attenzione sulla sua arte astratta Klein si risolse dunque a ridurre la sua tavolozza e a votare la sua vita artistica (quasi) a un unico colore: il blu. I capolavori del periodo, esposti tra la Tate Gallery di Londra, il Centre Pompidou di Parigi, il MOMA di New York e il Louvre Abu Dhabi, sono le Anthropométries, le Sculptures Éponges, i Portraits Reliefs e alcune rivisitazioni in blu di opere celebri come lo Schiavo morente di Michelangelo o la Nike di Samotracia.

Ma perché proprio il blu? È ancora il discorso alla Sorbonne a fornire una risposta. L’artista (svelando anche alcune delle suggestioni filosofiche che soggiacciono alla sua opera: gli studi di Gaston Bachelard, su tutte), afferma che il blu, a differenza di tutti gli altri colori, non avrebbe dimensioni. Starebbe al di fuori dello spazio e del tempo. E proprio per tale motivo si sarebbe prestato alla sua visione puramente astratta. Di questa soluzione Klein trova inoltre un illustre precedente artistico, scorgendolo addirittura in Giotto: “sono stato scioccato ad Assisi, nella basilica di San Francesco, dagli affreschi scrupolosamente monocromi, uniformi e blu che credo di poter attribuire a Giotto […]. Il blu di cui parlo è proprio della stessa natura e della stessa qualità del blu dei cieli di Giotto che si possono ammirare nella stessa basilica al piano superiore. Ammettendo pure che Giotto abbia avuto soltanto l’intenzione figurativa di mostrare un cielo puro e senza nuvole, tale intenzione però è davvero monocroma”.

Yves Klein, Anthropométrie de l'Époque Bleue (1980; pigmento e resina sintetica su carta montata su tela, 156,8 x 282,5 cm; Parigi, Centre Pompidou). © The Estate of Yves Klein c/o ADAGP, Paris
Yves Klein, Anthropométrie de l’Époque Bleue (1980; pigmento e resina sintetica su carta montata su tela, 156,8 x 282,5 cm; Parigi, Centre Pompidou). © The Estate of Yves Klein c/o ADAGP, Paris


Anthropométrie sans titre Héléna (gennaio 1960; pigmento puro e resina sintetica su carta montata su tela; 109 x 74 cm). Ph. David Bordes. © Succession Yves Klein c/o ADAGP, Paris
Yves Klein, Anthropométrie sans titre “Héléna” (gennaio 1960; pigmento puro e resina sintetica su carta montata su tela; 109 x 74 cm). Ph. David Bordes. © Succession Yves Klein c/o ADAGP, Paris


Yves Klein, Sculpture Éponge bleue sans titre (1959; pigmento puro e resina sintetica su spugna naturale montata su pietra, 114 x 56 x 30 cm). © Succession Yves Klein c/o ADAGP, Paris
Yves Klein, Sculpture Éponge bleue sans titre (1959; pigmento puro e resina sintetica su spugna naturale montata su pietra, 114 x 56 x 30 cm). © Succession Yves Klein c/o ADAGP, Paris


Yves Klein, L'Esclave de Michel-Ange (1962; pigmento puro e resina sintetica su gesso, 46,5 x 12 x 11 cm). © Succession Yves Klein c/o ADAGP, Paris
Yves Klein, L’Esclave de Michel-Ange (1962; pigmento puro e resina sintetica su gesso, 46,5 x 12 x 11 cm). © Succession Yves Klein c/o ADAGP, Paris


Yves Klein, Victoire de Samothrace (1962; pigmento puro e resina su gesso montato su pietra; 49,5 x 25,5 x 36 cm). © Succession Yves Klein c/o ADAGP, Paris
Yves Klein, Victoire de Samothrace (1962; pigmento puro e resina su gesso montato su pietra; 49,5 x 25,5 x 36 cm). © Succession Yves Klein c/o ADAGP, Paris

Nel 1956 Klein mette a punto una formula per raggiungere “la più perfetta espressione del blu”, un blu che sia brillante, puro, luminoso e inalterabile nel tempo. A coadiuvarlo nell’impresa Edouard Adam, titolare di un colorificio a Montparnasse, e un suo amico ingegnere, dipendente di un’azienda chimica e farmaceutica. Miscelando polvere di oltremare 1311, Rhodopas M60 A (una resina al tempo di nuova commercializzazione), alcol a 95° e acetato etilico, Klein ottiene un colore che battezza International Klein Blu (I.K.B.), depositandone nel 1960 il brevetto all’Institut national de la propriété industrielle. Parallelamente, l’artista assume lo pseudonimo di Yves Le Monochrome, avviando un processo sempre più spinto di identificazione della propria persona e della propria arte con il blu di sua invenzione che lo porterà a esiti ascrivibili all’arte performativa.

A Milano Klein raggiunge in tal modo il suo obiettivo: il pubblico (tra il quale ci sono due visitatori d’eccezione: Lucio Fontana e Piero Manzoni) riesce a riconoscere atmosfere ed essenze differenti nei suoi quadri, tutti blu oltremare, tutti realizzati con la medesima tecnica e tutti della stessa dimensione, ma ciascuno con un prezzo diverso. Gli acquirenti sono disposti a pagare cifre dissimili per opere sostanzialmente uguali perché distinguono in ogni opera una qualità pittorica singolare, che evidentemente non risiede nel suo aspetto materiale, bensì in quella che Klein chiama “sensibilità pittorica”.

Interessante in tal senso il periodo che succede all’epoca blu e ne rappresenta la conseguente evoluzione. La ricerca di Klein finisce infatti per sfociare naturalmente in una riflessione sul concetto di ‘indefinibile’ (nozione tratta dai diari di uno dei grandi maestri dell’arte moderna francese, Eugène Delacroix, del quale Klein si sentiva in un certo senso erede). L’aspetto viene approfondito nell’esposizione parigina del 1958 nota come Le Vide (Il vuoto). In un articolo del 1961 Klein scriverà: “mentre continuavo sempre a dipingere monocromo, quasi automaticamente ho raggiunto l’immateriale”. Una dichiarazione che si chiarisce bene in relazione al titolo di lavorazione di Le Vide: Exaspérations monochromes.

Yves Klein, Monochrome bleu sans titre (IKB 129) (1959; pigmento puro e resina sintetica su garza montata su tavola, 15,5 x 40 cm; Ulm, Ulmer Museum)
Yves Klein, Monochrome bleu sans titre (IKB 129) (1959; pigmento puro e resina sintetica su garza montata su tavola, 15,5 x 40 cm; Ulm, Ulmer Museum). © Succession Yves Klein c/o ADAGP Paris


Yves Klein, Monochrome bleu sans titre (IKB 216) (1957; pigmento puro e resina sintetica su garza montata su tavola, 60 x 40 cm; Münster, Westfälisches Landesmuseum Museum für Kunst und Kultur). © Succession Yves Klein c/o ADAGP Paris
Yves Klein, Monochrome bleu sans titre (IKB 216) (1957; pigmento puro e resina sintetica su garza montata su tavola, 60 x 40 cm; Münster, Westfälisches Landesmuseum Museum für Kunst und Kultur). © Succession Yves Klein c/o ADAGP Paris


Ingresso della mostra Le Vide. La spécialisation de la sensibilité à l’état matière première en sensibilité picturale stabilisée (Parigi, Galerie Iris Clert, dal 28 aprile al 12 maggio 1958)
Ingresso della mostra Le Vide. La spécialisation de la sensibilité à l’état matière première en sensibilité picturale stabilisée (Parigi, Galerie Iris Clert, dal 28 aprile al 12 maggio 1958)


Sala della mostra Le Vide
Sala della mostra Le Vide

È portando alle estreme conseguenze il suo oltranzismo in blu che Klein raggiunge un blu immateriale, un colore del vuoto: in Le Vide l’artista presenta difatti una stanza dipinta per intero di bianco e riempita, per così dire, esclusivamente di ‘sensibilità pittorica’. Anche in questa occasione il blu resta tuttavia il filo conduttore della mostra, concepita come un grande rito iniziatico per il pubblico al mondo artistico di Klein. Il blu accoglie i visitatori fin dall’esterno della galleria, dove sono predisposti un baldacchino e dei palloncini blu. Alla mostra si accede poi in piccoli gruppi, solo dopo aver sorseggiato, in una sorta di cerimoniale, un cocktail blu a base di gin, Cointreau e blu di metilene (del quale i partecipanti sarebbero rimasti sorpresi di trovare traccia nelle urine all’indomani!).

La sperimentazione di Klein proseguirà intorno all’idea di vuoto, giungendo per questa strada a una progressiva smaterializzazione dell’opera d’arte (l’artista arriverà perfino a vendere pezzi costituiti di sola sensibilità pittorica, ossia del tutto immateriali), il cui carattere paradossale sarà egregiamente messo in luce da Albert Camus, che all’uscita di Le Vide scriverà: “Avec le vide, les pleins pouvoirs”. Con il vuoto, i pieni poteri all’astrattismo a lungo perseguito da Klein. Tale filone di ricerca, altissimo dal punto di vista concettuale, rappresenta una eredità grande, ma oggi necessariamente intangibile, dell’esperienza di Yves Klein. Di quella ci rimane però, conservata nei più importanti musei del mondo, la fase germinale, lo spunto generatore: il più indelebile dei suoi colori. Il blu Klein.


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Stella Cattaneo

L'autrice di questo articolo: Stella Cattaneo

Specializzanda in Storia dell'arte e valorizzazione del patrimonio artistico presso la Scuola di Specializzazione dell'Università degli studi di Genova. Attualmente curatrice di Casa Museo Jorn (Albissola Marina, Savona), ha partecipato a convegni e giornate di studio all'Università di Losanna e all'Università di Genova (2019) e a seminari internazionali di museologia (école du Louvre, 2018). I suoi interessi di ricerca si rivolgono prevalentemente all'arte contemporanea con particolare attenzione al periodo del secondo dopoguerra e all'opera di Yves Klein.





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