Villa Durazzo a Santa Margherita Ligure, splendida dimora del Seicento genovese


Una splendida dimora di piaceri estivi: così nacque Villa Durazzo, sontuosa residenza di Santa Margherita Ligure, circondata da un rigoglioso parco, testimonianza altissima e ben conservata delle arti e della committenza del Seicento genovese. E oggi museo aperto a tutti.
Villa Durazzo a Santa Margherita Ligure, splendida dimora del Seicento genovese Una splendida dimora di piaceri estivi: così nacque Villa Durazzo, sontuosa residenza di Santa Margherita Ligure, circondata da un rigoglioso parco, testimonianza altissima e ben conservata delle arti e della committenza del Seicento genovese. E oggi museo aperto a tutti.

Una villa che s’erge su di un colle che domina il golfo del Tigullio e la cittadina di Santa Margherita Ligure, che si apre proprio sotto di lei, tra palme e pini. Un parco dove ci si riposa tra piante d’agrumi, un giardino all’italiana e un bosco romantico all’inglese creato agl’inizi del Novecento sul pendio del colle. Una quadreria che include importanti opere del Seicento genovese, di cui la raccolta rappresenta una preziosa testimonianza. È questo l’insieme che rende Villa Durazzo uno dei luoghi più belli della Liguria: una residenza nobiliare secentesca, che fu poi hotel, lussuosa villa, e infine, oggi, un museo aperto al pubblico, ma anche sede di eventi.

L’inizio della storia di Villa Durazzo a Santa Margherita Ligure può esser fatto risalire al 1678, quando la famiglia Durazzo decise di edificare qui una residenza estiva. I Durazzo erano una delle famiglie nobiliari più importanti di Genova, anche se la loro ascesa al patriziato è più recente rispetto a quella di famiglie di più antica nobiltà come gli Spinola, i Doria, i Grimaldi: i Durazzo erano infatti originari dell’eponima città albanese, da dove sul finire del Trecento il capostipite noto, Giorgio, era giunto come profugo assieme alla moglie e tre figli. Divenuti nel giro d’un secolo ricchi commercianti di seta, furono iscritti al Liber Nobilitatis di Genova nel 1528, con Giovanni Durazzo, e aggregati all’Albergo dei Grimaldi, ovvero il rispettivo consorzio di famiglie nobili tra loro legate. E poco dopo, nel 1573, riuscirono ad arrivare alla massima carica della Repubblica di Genova, quando Giacomo Grimaldi Durazzo divenne doge (in tutto la famiglia avrebbe dato nove dogi alla Repubblica). Non giunse mai al dogato, ma fu comunque un membro illustre della famiglia, il diplomatico Giovanni Luca Durazzo (Genova, 1628 - 1679), figlio primogenito di Gerolamo e di Maria Chiavari, nonché nipote di Giovanni Luca Chiavari, che fu doge proprio tra il 1627 e il 1629. Fu lui a far costruire l’attuale Villa Durazzo.

Nel 1664, Giovanni Luca aveva ereditato dal padre Gerolamo, che a sua volta l’aveva ottenuta dai Chiavari sempre per vie ereditarie, una casa con torre che fin dal 1609 è attestata nel luogo dove adesso sorge Villa Durazzo, e che si trovava all’interno di un terreno che in antico era stato proprietà di un’altra importante famiglia genovese, i Fieschi. Qui, in tempi ancora più lontani, si trovava un castello che aveva scopo difensivo e di avvistamento, e che era stato edificato nel Cinquecento come avamposto contro le incursioni barbaresche. Nel 1678, Giovanni Luca decise di ristrutturare in modo radicale la proprietà, in un periodo in cui, assieme al fratello Eugenio Durazzo, aveva dato vita a un’intensa attività d’investimenti immobiliari: occorrerà almeno ricordare come, nel 1679, Eugenio acquistò il sontuoso Palazzo Balbi promuovendo importanti lavori di ampliamento (oggi la dimora è nota come Palazzo Reale, essendo diventata residenza dei Savoia quando Genova passò sotto il regno di Sardegna), ed è una delle più grandi e importanti della città, sede d’un ricco museo. I lavori per la sistemazione del “palazzo che sua Signoria Ill.ma fa fabricare nel luogho di S.ta Margarita”, come leggiamo nel primo contratto di fornitura di calcina, cominciavano nel gennaio del 1678. Giovanni Luca non faceva però in tempo a veder terminata la villa, i cui lavori si prolungarono oltre modo (alla data del 1707 non erano infatti ancora conclusi). Alla fine, la villa si presentava comme un massiccio edificio a pianta quadrata, strutturato su due piani nobili ognuno dei quali con un mezzanino, e ingentilito in esterno dal bugnato angolare che parte dal terreno e arriva fino al cornicione, dalle cornici che inquadrano tutte le finestre, e dalle mensole che corrono sul cornicione e che troviamo anche sotto le finestre del primo piano. Sulla facciata, sotto ai tre finestroni centrali, osserviamo anche un piccolo balcone con pilastrini di marmo, una sorta di marchio di fabbrica dello scultore Giovanni Pietro Orsolino, impiegato nel cantiere (li si ritrovano anche in Palazzo Reale). I moduli sono quelli tipici del Seicento genovese, anche se lo schema compositivo, di gusto alessiano (tanto che, fino a prima della scoperta dei documenti con le date, la tradizione attribuiva il progetto della villa a Galeazzo Alessi), guardava al Cinquecento, in maniera sorprendente come ha notato la studiosa Colette Bozzo Dufour, che ha dedicato una densa monografia a Villa Durazzo: perché si trattava di un modello risalente a più d’un secolo prima.

Jacob Ferdinand Voet, Ritratto di Giovanni Luca Durazzo (1669-1670; olio su tela; Genova, Palazzo Reale)
Jacob Ferdinand Voet, Ritratto di Giovanni Luca Durazzo (1669-1670; olio su tela; Genova, Palazzo Reale)
Facciata di Villa Durazzo. Foto Villa Durazzo
Facciata di Villa Durazzo. Foto Villa Durazzo
Villa Durazzo e il golfo. Foto Grandi Giardini
Villa Durazzo e il golfo. Foto Grandi Giardini
Esterni di Villa Durazzo. Foto Finestre sull'Arte
Esterni di Villa Durazzo

La villa doveva essere terminata giusto in tempo per il 1708, anno in cui il Senato della Repubblica di Genova decretò il trasferimento a Santa Margherita Ligure delle fiere di cambio che prima si tenevano a Sestri Levante: erano fiere, organizzate di norma quattro volte l’anno, in cui si faceva mercato del credito, e alle quali i Durazzo partecipavano regolarmente con i loro agenti. In questo contesto, sottolinea Bozzo Dufour, “la Villa assunse un ruolo di rappresentanza ancora maggiore che si tradusse in un ulteriore arricchimento di preziosi arredi”. La stagione dei Durazzo fu tuttavia di breve durata, dal momento che già nella seconda metà del Settecento la dimora era stata abbandonata dalla famiglia: così, nel 1821, il marchese Marcello Durazzo cedette la villa a Giovanni Battista Centurione Scotto, la cui famiglia detenne la proprietà dell’edificio fino al 1919. La Villa Durazzo che vediamo oggi è essenzialmente frutto degli interventi delle due famiglie. Vale anche per l’importante quadreria: non sono ancora stati scoperti inventari che possano attribuire ai Durazzo o ai Centurione la presenza delle singole opere in essa conservate, ma ricostruendo la storia di alcuni pezzi è stato possibile fare un poco di luce almeno sulle vicende di parte delle opere più rilevanti.

Il visitatore comincia il suo itinerario dall’atrio, che si presenta con una pianta particolarmente originale, dal momento che è diviso in due parti, con un pianerottolo a cui si accede salendo cinque gradini di ardesia: un espediente pensato per rendere più scenografico l’ambiente, la cui conformazione, simile a quella di un palcoscenico, lo ha reso sede ideale di concerti che tuttora vi si tengono. Sulle pareti, vicino alle grandi cassapanche in legno in stile genovese, con grandi schienali che recano lo stemma dei Centurione, troviamo quattro ritratti, uno dei quali, una Dama con ventaglio, è opera di Nicolò Maria Vaccaro (Genova, 1659 circa - Madrid, 1720), ed è una delle sue tele più importanti, riflesso della cultura vandyckiana, filtrata dall’estro di Giovanni Bernardo Carbone. Cultura vandyckiana che nell’ultimo decennio del Seicento, periodo al quale risale il dipinto, ancora andava di moda a Genova. Al pianterreno si visitano altre due sale: la prima è il Salotto Vietri, che spicca per il suo bel pavimento in maiolica napoletana del Settecento (da cui il nome dell’ambiente, che in antico era utilizzato come sala da pranzo), e per le lunette di gusto romantico del pittore sammargheritese Giovanni Franceschetti, che aveva lavorato nella villa all’inizio del Novecento dietro incarico di Giulio Centurione, del quale era amico. Vi troviamo anche una copia del San Giorgio di Raffaello conservato a Washington. La seconda è la Sala Vaymer, così chiamata per i quattro dipinti settecenteschi di Giovanni Enrico Vaymer (Genova, 1665 - 1738) appesi alle pareti: si tratta di ritratti di tre membri della famiglia Centurione (Carlo II, il bisnonno del Giovanni Battista che comprò la villa, sua moglie Francesca Spinola con la figlia Giulia, e un altro ritratto di Giulia come Cleopatra), oltre a un ritratto di dama.

Si sale quindi il grande scalone di ardesia, al termine del quale si apre un ballatoio dove si nota un busto marmoreo di Giovanni Luca Durazzo, attribuito alla scuola di Bernini. Prima di arrivare al piano superiore si accede però all’ammezzato dove si trova la Sala Vittorio G. Rossi, dedicata al giornalista, nato a Santa Margherita nel 1898, che donò il suo studio (ricostruito in una delle due parti in cui è divisa la sala) e la sua collezione di cimeli e opere d’arte al Comune di Santa Margherita Ligure, che qui ha deciso di allestire il tutto. Inoltre, la sala conserva anche i suoi romanzi (tra i quali Le streghe di mare del 1929, ispirato alla sua esperienza di pilota di un MAS, motoscafo armato silurante, durante la prima guerra mondiale) e le riviste dove uscivano i suoi articoli.

Il Salotto Vietri
Il Salotto Vietri
La Sala Vaymer
La Sala Vaymer
La Sala Vittorio G. Rossi
La Sala Vittorio G. Rossi
La Camera Veneziana
La Camera Veneziana
La Sala delle Grottesche
La Sala delle Grottesche
La Sala delle Grottesche
La Sala delle Grottesche
La Sala del Belvedere
La Sala del Belvedere
Il soffitto della Sala del Belvedere
Il soffitto della Sala del Belvedere
La Cappella
La Cappella
Il Salotto del Camino
Il Salotto del Camino
La Camera della Regina
La Camera della Regina
Il Salone degli Stucchi
Il Salone degli Stucchi
Il Salone degli Stucchi
Il Salone degli Stucchi

Al piano nobile, la visita inizia dalla Camera Veneziana, camera da letto arredata per la più parte con chinoiserie del XX secolo, ma dove si trovano alcuni dei dipinti più interessanti di Villa Durazzo. È il caso di una cinquecentesca Santa Lucia di scuola emiliana, il dipinto più antico della villa, e soprattutto dei due Amorini reggi festone di Domenico Piola (Genova, 1628 - 1703), nonché dei due dipinti seicenteschi di Luciano Borzone (Genova, 1590 - 1645) riferibili alla committenza Durazzo e raffiguranti la Morte di Cleopatra e la Morte di Lucrezia, concepiti in pendant, “opere tarde del maestro”, come scrive la storica dell’arte Francesca Fabbri. Borzone, scrive la studiosa, “riecheggia qui le ammiratissime strutture caravaggesche, soprattutto nei dettagli della vecchia col capo coperto e degli astanti con le bocche socchiuse; il colorito vibrante, per cui le tele del Borzone erano grandemente apprezzate, si ritrova, malgrado una stesura magra e leggera, nella veste di Lucrezia, realizzata con veloci tocchi di materia pittorica”. Interessante, nota Fabbri, il fatto che Borzone abbia scelto due eroine dell’antichità, dal momento che l’esaltazione delle virtù femminili era volta a celebrare “la Repubblica di Genova, la sua virtù e la sua indipendenza”. Il successivo Salotto della Musica vede al suo centro un pianoforte, circondato da pezzi d’arredo del XIX secolo e da dipinti secenteschi: ecco dunque un Trionfo di Flora d’ignoto pittore veneto, una Santa Caterina d’artista emiliano, due dipinti di scuola del Bassano che raffigurano la Primavera e l’Estate e un altro dei pezzi di più alta qualità, l’Ecce Homo di Giovanni Battista Paggi (Genova, 1554 - 1627), “bellissimo” come giustamente lo definisce Fabbri, ma purtroppo decurtato nella parte inferiore (“la monumentale teatralità della tela”, scrive la studiosa, “nulla toglie all’emotività del tema: un ritmo cadenzato e quasi silenzioso investe la sequenza dei volti e dirige lo sguardo lungo le diagonali realizzate dei gesti dei personaggi e dal piano della balaustrata, dove l’artista appose la sua firma. Un’opera magistrale, da porre all’inizio del Seicento per i sapienti trapassi luminosi e per l’aggiornamento, ormai pienamente avvenuto, sulla cultura fiorentina ed emiliana”). È peraltro probabile che nella figura di Pilato l’artista abbia voluto raffigurare un personaggio contemporaneo, dal momento che le riflettografie eseguite in occasione del restauro della tela, una delle più preziose di Villa Durazzo, è stata riscontrata la presenza di un colletto di pizzo e di una giubba con bottoni, abbigliamento secentesco.

Proseguendo, s’incontra il Salotto delle Grottesche, che deve il nome alle decorazioni: qui, attorno al pregiato lampadario in vetro di Murano policromo che spicca al centro della sala, si dispongono quattro Amorini di Domenico Piola, che come gli altri due conservati nella Camera Veneziana rappresentano cinque frammenti di un fregio dipinto che con tutta probabilità decorava il cornicione di una sala. La sala ospita poi alcuni paesaggi della bottega dei De Wael, gettonatissimi artisti fiamminghi attivi nella Genova del Seicento, e un Giuseppe che rifiuta i doni dei fratelli di Giovanni Andrea De Ferrari (Genova, 1598 – 1669), capolavoro di teatralità e dramma barocchi, realizzato attorno al 1640. Si arriva quindi alla Sala Belvedere, che s’affaccia sul mare ed era un tempo un loggiato. Il soffitto è decorato con l’Allegoria delle Quattro stagioni, mentre sulla parete sinistra si nota una piccola cappella affrescata, al cui centro spicca una Crocifissione del primo Settecento. Una targa apposta sulla sala ricorda che nel 1976 Villa Durazzo fu visitata da Karol Wojtyła, futuro papa Giovanni Paolo II.

Dopo essersi soffermati ad ammirare il panorama sul golfo, si riprende il percorso di visita e si giunge nel Salotto del Camino, caratterizzato da un soffitto a grottesca di Giovanni Franceschetti e soprattutto dal camino rivestito in maiolica e recante al centro un bassorilievo con il dio Vulcano. Vi troviamo anche due scene di battaglia di Cornelis de Wael (Anversa, 1592 - Roma, 1667), a testimoniare quanto fosse richiesto il fiammingo dalla committenza genovese del Seicento. Da qui, si accede poi alla Camera Umbertina, detta anche Camera della Regina: gli amanti della cronaca rosa non potranno far a meno di notare che la sala deve il suo nome al fatto che qui, nel 1904, soggiornava come ospite la regina Margherita. Sulle pareti ecco invece una Ballata di contadini di Cornelis e Lucas de Wael e un Paesaggio costiero con rovina di un seguace di Antonio Travi, opera degli anni Sessanta del Seicento. La visita termina nel Salone degli Stucchi, la sala più grande del palazzo, illuminata da un grande lampadario in cristallo in stile Luigi XVI, e così chiamata per via delle decorazioni che la ornano su tutti i lati. Le pareti mostrano una bella Incoronazione della Vergine, opera della seconda metà del Settecento, e tre ritratti, tra cui una Dama con pappagallo ch’è stata avvicinata ai modi di Giovanni Bernardo Carbone, e un ritratto di Francesco Maria Centurione in veste da camera, opera della bottega di Vaymer.

Il busto di Giovanni Luca Durazzo
Il busto di Giovanni Luca Durazzo
La copia del San Giorgio di Raffaello
La copia del San Giorgio di Raffaello
Gli amorini di Domenico Piola
Gli amorini di Domenico Piola
L'Ecce Homo di Giovanni Battista Paggi
L’Ecce Homo di Giovanni Battista Paggi
Il risseu visto dall'alto. Foto Villa Durazzo
Il risseu visto dall’alto. Foto Villa Durazzo
Il roseto dedicato a Virna Lisi
Il roseto dedicato a Virna Lisi. Foto Villa Durazzo
Il panorama dal giardino all'italiana
Il panorama dal giardino all’italiana
Il bosco romantico. Foto di János Korom
Il bosco romantico. Foto di János Korom

Si esce dalla Villa e, dopo aver ammirato il risseu che la circonda, ovvero il pavimento in acciottolato bianco e nero, realizzato con pietre di mare o di fiume e tipico delle residenze della Liguria (ma lo si ritrova anche in diverse piazze nei borghi e nelle città), ci si trattiene nel rigoglioso e lussureggiante parco, anche se oggi si presenta molto diverso rispetto a come doveva apparire agli occhi dei Durazzo, ai quali però risale la creazione dell’agrumeto che occupa la splendida terrazza affacciata sul mare e che accoglieva, e accoglie tuttora, i visitatori che giungono alla villa salendo dal mare: aranci, limoni e pompelmi sono le piante che animano quest’angolo di verde. Si deve invece ai Centurione l’apertura del giardino all’italiana che fronteggia la villa circondandola di siepi di bosso, cycas e profumati cespugli di rose, e che immaginiamo area di svago prediletta degli ospiti dell’hotel che aprì i battenti proprio all’interno dell’edificio sul finire dell’Ottocento. Nel 1890, infatti, complice l’elezione di Santa Margherita Ligure a meta di sofisticato turismo internazionale, Giulio Centurione, ultimo esponente della famiglia che fino a quel momento aveva ininterrottamente abitato la villa, decise di dare la dimora in gestione alla famiglia Maragliano, attiva nel comparto alberghiero: apriva così il Grand Hotel di Santa Margherita Ligure, e tale rimase fino al 1910. Nel 1919, i Centurione, gravati da difficoltà finanziarie, decisero di vendere la villa all’industriale Alfredo Chierichetti, che ne fece la sua dimora, incaricò il pittore Giovanni Fraschetti di restaurare gl’interni che s’erano rovinati dal 1910 (si devono ai suoi interventi le decorazioni del Salotto delle Grottesche, per esempio), e fece aprire il bosco romantico che oggi s’attraversa, con una piacevole passeggiata, se si decide di arrivare a Villa Durazzo partendo da via Centurione. Qui, grandi alberi, tra i quali lecci, pini, cipressi, tigli e palme di diversi tipi, accompagnano i visitatori nella loro salita verso la villa.

Tre diverse declinazioni del parco che paiono quasi sottolineare le tre diverse e distinte fasi della storia della villa. La quarta, quella più recente, ha invece inizio nel 1973, anno in cui il Comune di Santa Margherita Ligure acquista Villa Durazzo dalla famiglia Chierichetti. L’antica dimora dei nobili della Genova Superba del Seicento viene sistemata e riallestita (è del 1978 la creazione della Sala Vittorio Rossi di cui s’è detto sopra), e quindi aperta al pubblico che ama l’arte e il verde (dal 2005 è inserita nel circuito dei Grandi Giardini), oltre che alle cerimonie e ai ricevimenti, a testimoniare come questa sontuosa residenza sia ancor oggi viva, come lo era all’epoca in cui ospitava i ricevimenti delle famiglie che qui abitarono nei tempi antichi.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo





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