Lorenzo di Credi, Venere (1490-1494 circa; olio su tela, 151 x 69 cm; Firenze, Uffizi) |
La storica dell’arte Gigetta Dalli Regoli, autrice di quella che è probabilmente ancora oggi l’unica monografia di un certo spessore su Lorenzo di Credi, pubblicata nel 1966, in quello stesso volume suggeriva che l’unico tratto che assimilerebbe la Venere di Lorenzo a quella di Sandro sarebbe nient’altro che il comune archetipo, l’opera alla quale entrambi si ispirarono: una statua classica, del tipo della Venus pudica (ovvero il tipo in cui la dea copre con una mano il seno e con l’altra il pube), che probabilmente si trovava a Firenze già nel Quattrocento, pur non trattandosi della celeberrima Venere dei Medici, quella oggi conservata nella Tribuna degli Uffizi, che arrivò sulle rive dell’Arno solo nel Cinquecento inoltrato. Un archetipo comune, ma diversi modi attraverso i quali concretizzare l’ispirazione. Persino il volto della Venere di Lorenzo ci appare così lontano da quello della Venere di Botticelli: poco idealizzato, ma rigoglioso e naturale, in linea con i dettami verrocchieschi, sui quali Lorenzo si formò. Più umano, se vogliamo. Gli intenti di Lorenzo di Credi ci vengono confermati anche da quello che parrebbe essere un disegno preparatorio tracciato su un foglio oggi conservato all’Albertina di Vienna: la stessa posa, lo stesso sguardo colmo di vita hanno portato gli studiosi ad associare il disegno alla Venere di Lorenzo.
Il volto della Venere di Lorenzo di Credi a confronto con il disegno conservato all’Albertina di Vienna (num. inventario: 4870) |
Lorenzo di Credi, Venere, particolare |
Si è detto in apertura che un’opera come quella di Lorenzo non poteva che essere dimenticata: forse fu la sua lontananza dalle istanze botticelliane a decretarne l’insuccesso. Sandro Botticelli era, del resto, l’artista di riferimento: era più esperto e meglio inserito, anche se Lorenzo, all’epoca della realizzazione del dipinto, poteva vantare d’aver ereditato da alcuni anni la bottega del defunto Verrocchio, il suo maestro. E la gestione della bottega lo impegnava incessantemente. Di conseguenza, tutti i commentatori suoi contemporanei, ma anche quelli che arrivarono successivamente, lodarono la Venere di Botticelli e si dimenticarono della sua. Che oltretutto fu realizzata, probabilmente, per un privato: i facoltosi cittadini della Firenze medicea, i clienti preferiti di Lorenzo, per i quali lavorò più spesso, amavano ornare le loro abitazioni con dipinti a tema mitologico. E il fatto che lo sconosciuto committente di Lorenzo abbia celato la Venere alla vista altrui non ha certo contribuito alla fama dell’opera. Possiamo invece, senz’alcun dubbio, considerare frutto di fantasia la contesa che lo studioso Enrico Ridolfi, uno dei primi a studiare la Venere di Lorenzo, ipotizzò nel 1893 per giustificare il dipinto: pensava infatti che Lorenzo il Magnifico in persona avesse indetto una gara tra Lorenzo e Botticelli per la Venere da destinare alla Villa di Castello e che, manco a dirlo, Botticelli si fosse aggiudicato i favori del signore di fatto di Firenze. Ridolfi adduceva come prova il fatto che a Berlino si conservasse (e si conservi tuttora, negli Staatliche Museen) una Venere botticelliana che si staglia su fondo scuro, come quella di Lorenzo. Alla stessa tipologia appartiene, tra l’altro, anche la Venere della collezione Gualino, attribuita variamente a Botticelli o alla sua bottega, e oggi conservata presso la Galleria Sabauda di Torino. Ridolfi pensava si trattasse di modelli realizzati in vista d’un dipinto più impegnativo: ma si trattava, invece, di opere spesso derivate e destinate al collezionismo privato. Inoltre, prendendo per buona la storia inventata da Ridolfi, occorrerebbe anticipare di circa dieci anni la realizzazione della Venere di Lorenzo: troppo presto per un dipinto così maturo, che difficilmente potrebbe esser stato eseguito prima del 1490. C’è anche chi ipotizza, sulla base del raffronto con altre opere, una datazione più restrittiva, attorno al 1493, e comunque non più tardi del 1494, l’anno in cui i Medici furono cacciati da Firenze e in città fu stabilito il regime di Girolamo Savonarola.
Confronto tra Veneri: da sinistra, quella di Lorenzo di Credi; Sandro Botticelli (1482-1484 circa; Firenze, Uffizi); attribuito a Sandro Botticelli (1482-1486 circa; Torino, Galleria Sabauda); scuola di Sandro Botticelli (1490 circa; Berlino, Staatliche Museen) |
Maurice Denis, Nu à la manière de Lorenzo di Credi (1898; Saint-Germain-en-Laye, Musée Maurice Denis) |
Oggi, agli Uffizi, torme di visitatori fanno la coda per entrare nella sala in cui è conservata la Venere di Botticelli, mentre quella di Lorenzo passa quasi inosservata: è la potenza degli idoli, potremmo pensare. Ciò nondimeno, anche la Venere di Lorenzo ha esercitato ed esercita un certo fascino su molti che la ammirano. Basti pensare all’omaggio che un grande artista del secolo scorso, Maurice Denis, le ha dedicato: il suo Nu à la manière de Lorenzo di Credi, realizzato nel 1898 e oggi conservato al Musée Maurice Denis di Saint-Germain-en-Laye, nasce proprio da una riflessione sulla Venere. E, forse meno poeticamente ma di sicuro altrettanto concretamente, l’immagine dell’opera di Lorenzo ha cominciato da tempo a circolare sulla rete, o nei profili social degli appassionati d’arte. La fama di questo dipinto probabilmente non arriverà mai a quella raggiunta da altre opere che fanno ormai parte dell’immaginario collettivo. Ma non si può certo dire che questa Venere dimenticata non si sia presa, da almeno un centinaio d’anni, un sacco di belle rivincite... !
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).