Uomo, schizofrenico, artista. Ricordo di Carlo Zinelli a 50 anni dalla morte


Un matto straordinario: così Carlo Zinelli veniva definito dal suo psichiatra. Un matto che ci ha lasciato una ragguardevole produzione artistica, in diciotto anni di creatività pura. Ecco chi era l’uomo e l’artista Carlo Zinelli. 

“Era un matto straordinario”: parola di Vittorino Andreoli, lo psichiatra che dal 1959 si è preso cura di Carlo Zinelli e al quale sostanzialmente si deve la conoscenza di questo artista, che trascorse larga parte della sua vita internato nel manicomio di San Giacomo della Tomba a Verona (l’epoca è quella precedente la Legge Basaglia del 1978 che ha trasformato le modalità di assistenza dei pazienti psichiatrici e le denominazioni degli istituti). Zinelli nacque a San Giovanni Lupatoto (Verona) nel 1916 e morì il 27 gennaio 1974 in un ospedale di Chievo: è stato uno tra i più significativi pittori tra quelli inclusi nella costellazione dell’Art Brut così come venne concepita da Jean Dubuffet.

Fin dall’epoca della sua “scoperta”, le opere di Zinelli sono presenti in tutte le mostre che intendono approfondire il delicato e intrigante rapporto tra arte e follia; tra le più recenti esposizioni che hanno dato spazio questo pittore c’è stata L’arte inquieta. L’urgenza della creazione, allestita a palazzo Magnani di Reggio Emilia tra 2022 e 2023, e nello stesso anno è andata in scena una monografica a palazzo Te di Mantova, a cura di Luca Massimo Barbero. Ma per la conoscenza di Zinelli è stata fondamentale la pubblicazione, nel 2002, del catalogo generale curato da Vittorino Andreoli e Sergio Marinelli, sulle cui pagine si trovano riprodotti quasi 1.900 pezzi1.

Carlo Zinelli da giovane
Carlo Zinelli da giovane
Carlo Zinelli nel 1957 all'Istituto San Giacomo
Carlo Zinelli nel 1957 all’Istituto San Giacomo
Carlo Zinelli all'opera all'istituto San Giacomo. Foto: Fondazione Carlo Zinelli
Carlo Zinelli all’opera all’istituto San Giacomo. Foto: Fondazione Carlo Zinelli
Carlo Zinelli all'opera all'isituto San Giacomo. Foto: Fondazione Carlo Zinelli
Carlo Zinelli all’opera all’isituto San Giacomo. Foto: Fondazione Carlo Zinelli

Dalla vita contadina alla guerra e poi all’atelier

Carlo Zinelli crebbe in un contesto rurale della provincia di Verona. A causa delle ristrettezze economiche della numerosa famiglia, da ragazzo venne dato come “famiglio” ai tenutari di una fattoria vicina, dove lavorava in cambio di vitto e alloggio. “D’indole solitaria e sensibile, trascorse la fanciullezza accudendo con amorevole sollecitudine gli animali della fattoria, in particolare il cane, e osservando l’esistenza di insetti, uccelli e galline, esseri che avrebbero in seguito popolato il suo immaginario creativo”, scrive Roberta Serpolli nel profilo biografico pubblicato da Treccani2. Una volta adulto, fu mandato dal padre a lavorare al mattatoio comunale di Verona e il nuovo impiego gli consentì di raggiungere un certo agio economico; in quel periodo manifestò anche i primi lampi di creatività, raffigurando “sulle pareti della cucina un ramo fiorito e una grande figura di volatile”, racconta ancora Serpolli.

Nel 1938 Carlo si trasferì a Trento per adempiere agli obblighi di leva, si arruolò come fante nel corpo degli alpini e l’anno seguente dovette partire per la Spagna, dove era ancora in corso la sanguinosa guerra civile tra le forze nazionaliste e quelle repubblicane. Rimpatriato dopo solo due mesi, Zinelli cominciò a soffrire di manie di persecuzione e di episodi di delirio e di terrore che lo portarono a un primo ricovero all’ospedale militare di Verona. Il definitivo congedo dall’esercito non risolse i problemi e i traumi vissuti durante il conflitto, che non smisero affatto di riaffiorare, favoriti peraltro dalla partecipazione dell’Italia alla Seconda Guerra Mondiale. Nel 1947 Carlo venne quindi internato permanentemente presso l’ospedale psichiatrico di San Giacomo alla Tomba di Verona, dove gli fu diagnosticata una schizofrenia paranoica. “Si era scisso”, commenta Vittorino Andreoli, “non voleva saperne di essere un uomo socialmente inserito. Lo decise mentre combatteva su un fronte di guerra e qui, piuttosto di ammazzare, pensò che era meglio impazzire”3.

Passarono alcuni anni prima che Carlo ricominciasse a esprimere i suoi impulsi creativi. Attorno al 1955, con mezzi di fortuna, iniziò a incidere delle figure sulle pareti del padiglione o a disegnare a mani nude per terra alcune composizioni, suscitando la contrarietà degli infermieri e dei sorveglianti. Venne persino legato, ricorda il suo psichiatra, per impedirgli di “sporcare i muri” con i suoi segni apparentemente incomprensibili. Per risolvere quell’insolito problema di gestione di un paziente, nella falegnameria dell’istituto i medici predisposero un tavolo e diedero a Zinelli carta e pennelli, ma la vera svolta per Carlo e per la sua arte avvenne nel 1957, quando l’ufficiale, giornalista e scultore scozzese Michael Noble organizzò nell’istituto di cura un laboratorio di libera espressione grafica e artistica, di cui Zinelli divenne assiduo frequentatore. L’atelier di pittura, nel quale vigeva una totale assenza di imposizioni sulla tecnica o sul metodo di lavoro, diventò una sorta di bottega d’arte di stampo rinascimentale, e dopo la prima mostra collettiva che aveva riunito una selezione di lavori del San Giacomo, attirò pure l’interesse di critici e giornalisti. Noble intanto aveva cominciato ad aprire le porte della sua sontuosa villa sulle rive del lago di Garda ai pazienti-artisti, oltre che a una folta ed eterogenea comunità di poeti, letterati e musicisti.

Da quel momento seguirono diciotto anni di pura creatività per Carlo Zinelli, che non si affievolì nemmeno dopo la partenza di Noble e della moglie Ida Borletti per l’Irlanda nel 1964. L’artista, come a questo punto possiamo definirlo, dipingeva otto ore al giorno, riempiendo ogni foglio con le sue figure, e quando non ce ne stavano più girava la carta e proseguiva sul retro. Finita un’opera, Carlo prendeva un altro foglio e riprendeva a disegnare. Perché dipingere, sottolinea Andreoli, equivaleva per lui a vivere. Ancora lo psichiatra racconta che, pur nel suo isolamento mentale, lanciava prediche incomprensibili ma piene di significato e, nonostante nella sua condizione psicotica non riconoscesse più il significato delle parole, usava i vocaboli per comporre filastrocche ricche di neologismi e di trovate poetiche.

Intuito il valore artistico delle opere di Zinelli, Andreoli nel 1961 decise di recarsi a Parigi con la speranza di incontrare Jean Dubuffet e di mostrargli alcune opere. Il maggior promotore dell’Art Brut – cui all’epoca si affiancava il surrealista André Breton, che peraltro ebbe un ruolo cruciale nel convincere Dubuffet riguardo al valore artistico di Carlo – acconsentì quindi di acquisire circa novanta opere del veronese, che da allora entrarono a far parte della collezione di lavori di artisti “outsider”. Raccolta che, donata alla città di Losanna nel 1971, ha reso possibile la nascita della Collection de l’Art Brut, il museo che ancora oggi rappresenta uno dei poli più significativi per la conoscenza e la valorizzazione dell’arte creata dai reclusi negli istituti psichiatrici e in generale da chi non partecipava ai circuiti dell’arte “ufficiale”.

La frenetica produzione di Zinelli durò fino al 1970, quando l’ospedale di San Giacomo della Tomba venne trasferito in una nuova sede a Marzana, dove venne allestito un atelier più grande e luminoso. Ma per la mente fragile di Carlo il trasloco fu fatidico: la sua rapidità si esaurì, la potenza immaginifica subì una crisi e il caposcuola cessò di guidare quell’incredibile movimento a cui partecipavano anche altri pazienti. L’artista cominciò a soffrire di bronchite cronica, tra il 1971 e il 1973 abbandonò progressivamente la pittura e l’anno dopo fu la vita ad abbandonarlo.

Carlo Zinelli, Senza titolo (1956; tempera su carta, 35 x 50 cm; Collezione privata)
Carlo Zinelli, Senza titolo (1956; tempera su carta, 35 x 50 cm; Collezione privata)
Carlo Zinelli, Tre insetti neri e albero giallo (1958–59; tempera su carta, 35 x 50 cm; Collezione Fondazione Cariverona). Foto: Stefano Saccomani
Carlo Zinelli, Tre insetti neri e albero giallo (1958–59; tempera su carta, 35 x 50 cm; Collezione Fondazione Cariverona). Foto: Stefano Saccomani
Carlo Zinelli, Senza titolo (1960, watercolour on paper, 35 x 50 cm; Losanna, Collection de l'Art Brut)
Carlo Zinelli, Senza titolo (1960, watercolour on paper, 35 x 50 cm; Losanna, Collection de l’Art Brut)
Carlo Zinelli, Senza titolo (1961; acquerello su carta, 50 x 70 cm; Losanna, Collection de l'Art Brut)
Carlo Zinelli, Senza titolo (1961; acquerello su carta, 50 x 70 cm; Losanna, Collection de l’Art Brut)
Carlo Zinelli, Quattro barche ocra su fondo bianco (verso) (1962 circa; tempera su carta, 35 x 50 cm; Collezione Fondazione Cariverona). Foto: Stefano Saccomani
Carlo Zinelli, Quattro barche ocra su fondo bianco (verso) (1962 circa; tempera su carta, 35 x 50 cm; Collezione Fondazione Cariverona). Foto: Stefano Saccomani
Carlo Zinelli, Quattro figure a animali bianchi a cerchi su sfondo rosso (1962 circa; tempera su carta, 50 x 35 cm; Collezione Fondazione Cariverona). Foto: Stefano Saccomani
Carlo Zinelli, Quattro figure a animali bianchi a cerchi su sfondo rosso (1962 circa; tempera su carta, 50 x 35 cm; Collezione Fondazione Cariverona). Foto: Stefano Saccomani
Carlo Zinelli, Senza titolo (1962; acquerello su carta, 35 x 50 cm; Losanna, Collection de l'Art Brut)
Carlo Zinelli, Senza titolo (1962; acquerello su carta, 35 x 50 cm; Losanna, Collection de l’Art Brut)
Carlo Zinelli, Senza titolo (1962; tempera su carta, 35 x 50 cm; Losanna, Collection de l'Art Brut)
Carlo Zinelli, Senza titolo (1962; tempera su carta, 35 x 50 cm; Losanna, Collection de l’Art Brut)
Carlo Zinelli, Uomo, cani, topi e figure bianche a cerchi su sfondo rosso (1962 circa; tempera su carta, 50 x 35 cm; Collezione Fondazione Cariverona). Foto: Stefano Saccomani
Carlo Zinelli, Uomo, cani, topi e figure bianche a cerchi su sfondo rosso (1962 circa; tempera su carta, 50 x 35 cm; Collezione Fondazione Cariverona). Foto: Stefano Saccomani
Carlo Zinelli, Grande cavallo stellato con cappello da alpino rosso (verso) (1967; tempera e grafite su carta, 70 x 50 cm; Collezione Fondazione Cariverona). Foto: Stefano Saccomani
Carlo Zinelli, Grande cavallo stellato con cappello da alpino rosso (verso) (1967; tempera e grafite su carta, 70 x 50 cm; Collezione Fondazione Cariverona). Foto: Stefano Saccomani
Carlo Zinelli, Maschera rosa e verde con barba (recto) (1967; tempera e grafite su carta, 70 x 50 cm; Collezione Fondazione Cariverona). Foto: Stefano Saccomani
Carlo Zinelli, Maschera rosa e verde con barba (recto) (1967; tempera e grafite su carta, 70 x 50 cm; Collezione Fondazione Cariverona). Foto: Stefano Saccomani

L’opera di Zinelli, tra horror vacui e ripetizioni ipnotiche

Ma quali sono i fattori che hanno permesso a Zinelli di conquistare uno status di artista e di non essere considerato solo come uno schizofrenico che si esprimeva tramite forme e colori? Dopo un primo periodo di sperimentazione ed esplorazione delle tecniche, Carlo raggiunse una notevole abilità nella composizione delle opere, sempre affollatissime di figure ma progressivamente disposte con grande equilibrio su sfondi a fasce cromatiche sovrapposte, sfumate e dalle tonalità accostate con raffinatezza4. L’interesse dominante per il colore di fondo si attenuò dal 1966 circa, quando cominciarono a prevalere le figure nere su fondo bianco.

I suoi soggetti privilegiati – spesso ripetuti in serie di quattro, quasi che quel numero rivestisse per lui un potere “magico” – derivano dai ricordi dell’ambiente contadino: ricorrono quindi gli animali, come gli uccelli e i cavalli, e tra le figure umane (spesso “bucate” da cerchi bianchi) spiccano i famosi “pretini”, poi le donne con la borsetta, gli alpini, i personaggi con il cappello; si aggiungono inoltre stelle, barche, carri, aerei, croci, oltre a qualche fucile o cannone. Tutto contribuisce a riempire l’intero spazio pittorico, caratteristica peraltro comune ad altri artisti outsider, e si pensi ad esempio ad August Walla o a Oswald Tschirtner che condivide con Carlo la sintesi delle figure – in particolare nelle sue serie di Menschen – nonché alcuni elementi biografici: arruolato nell’esercito tedesco, l’austriaco fu inviato a Stalingrado come operatore radio, quindi trascorse un anno in un campo di prigionia e iniziò a manifestare segni di malattia mentale, tanto da essere internato nel centro di Gugging. Pur potendo sembrare forzato, è suggestivo proporre inoltre un confronto tra le silhouette nere, ieratiche e arcaiche di Zinelli e le celebri sculture allungate e sottili di Alberto Giacometti, nonostante quest’ultimo non possa essere considerato un artista outsider; non pare però un caso che proprio Femme debout dell’artista svizzero fosse stata scelta come incipit della già citata mostra L’arte inquieta perché ritenuta capace di evocare le riflessioni di Giacometti sulla solitudine e sull’assoluta separazione tra gli individui, nonché sull’effimera volatilità della vita.

Zinelli combinava inoltre il disegno con la parola sotto forma di preghiere, filastrocche, canzoni la cui calligrafia si trasformava progressivamente in arabeschi ornamentali, con le lettere disposte a fini decorativi. Chi ha dimestichezza con l’Art Brut non può non pensare a tal proposito al lavoro di Federico Saracini, internato a fine Ottocento all’ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia. Non mancano, nel lavoro di Carlo, ulteriori sperimentazioni tecniche: per un certo periodo praticò la tecnica del collage, mentre verso la fine degli anni Sessanta abbinava la grafite alle matite colorate, per poi usare anche i pastelli e la penna biro. “L’opera di Carlo ci racconta di un rapporto estenuante con il linguaggio, che vive di ripetizioni ipnotiche e ossessive e di un corpo che ha le sue ferite ma non cerca nuovi tagli”5, sintetizza Giorgio Bedoni, altro psichiatra e psicoterapeuta che è stato tra i curatori sia della mostra Borderline di Ravenna del 2013 sia del progetto di Reggio Emilia.

Dal suo claustrum asilare Zinelli inventò così un suo mondo immaginario fantastico, densamente popolato, le cui figure rappresentavano forse l’ultimo sottile legame tra la sua mente ormai irrimediabilmente separata dal mondo – e si ricordi che il termine schizofrenia deriva dal greco schízō (‘io divido’) e phrḗn (‘mente’) – e la realtà che lo circondava. Tanto da far dire a Vittorio Andreoli che “anche il più chiuso degli schizofrenici è così umano da poter parlare attraverso il linguaggio più sorprendente: l’arte”6.

Note

1 Carlo Zinelli. Catalogo generale, a cura di Vittorino Andreoli e Sergio Marinelli, Marsilio, Venezia, 2000.

2 Carlo Zinelli, ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 100, 2020, www.treccani.it/enciclopedia/carlo-zinelli_(Dizionario-Biografico).

3 Vittorino Andreoli, Carlo e il suo psichiatra, in Carlo Zinelli. Catalogo generale, op. cit., p. XV.

4 Per un’analisi stilistica completa dell’opera di Zinelli si rimanda al contributo di Flavia Pesci, Carlo Pittore, in Carlo Zinelli. Catalogo generale, op. cit., pp. XXXVII-XLV.

5 Giorgio Bedoni, Borderland. Le frontiere mobili dell’immaginario, catalogo della mostra Borderline. Artisti tra normalità e follia, a cura di Giorgio Bedoni, Gabriele Mazzotta, Claudio Spadoni, Ravenna, 17 febbraio-16 giugno 2013, pp. 27-28.

6 Andreoli, op. cit., p. XXVI.


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