Tra il 1981 e il 1986 Aligi Sassu (Milano 1912 - Pollença 2000) realizzò centotredici tavole ad acrilico (una selezione delle quali è stata portata in mostra al Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo, fino al 9 gennaio 2022), dedicate alla Divina Commedia di Dante, così suddivise: quarantatré sull’Inferno, trentacinque sul Purgatorio e trentacinque sul Paradiso, tenendo conto che vari canti sono stati fonte d’ispirazione di più raffigurazioni. Tuttavia, le opere sulla Commedia che Sassu compì nell’arco di sei anni si possono considerare una trasposizione, ovvero una riscrittura del testo letterario in un altro linguaggio artistico, ricco di echi e di rimandi ma con qualche licenza artistica, in base alla soggettività del pittore. Anche perché di fronte al capolavoro dantesco sente una sorta di parallelismo con la propria esperienza espressiva, nonché una spinta verso una riflessione sulla sua stessa pittura. I corpi dei dannati, dei peccatori e dei beati si fanno puro colore e tutto è pienamente espresso attraverso la forma e l’uso della luce, attraverso una particolare raffigurazione delle masse che risaltano per contrasto.
Questo complesso ed elaborato progetto si deve alla proposta rivolta all’artista di illustrare la Divina Commedia in occasione di un’edizione pregiata di grande formato, che per contro non venne mai compiuta. Dopo aver trascorso sei anni “di elaborazione febbrile, di riflessioni, di letture, di pensieri fissi”, tra bozzetti a matita, chine acquerellate e acquerelli per studiare e realizzare le tavole che sono giunte a noi, Sassu scrisse nel 1987, nel suo testo La mia “Divina Commedia”: "La Divina Commedia è stata per me una fiamma bruciante, una lettura, una partecipazione vissuta che ho coltivato per tante stagioni, qualcosa che è divenuto specchio della mia anima e del mio lavoro per anni".
Non era la prima volta che si dedicava all’illustrazione dantesca: già nel 1960 la Quadriennale di Roma aveva invitato gli artisti a interpretare uno o più passi delle tre Cantiche della Commedia. Ne era nata una mostra itinerante, intitolata Omaggio a Dante degli artisti italiani d’oggi, che aveva coinvolto cinquantadue artisti italiani contemporanei e che aveva visto la realizzazione di centocinquantadue opere su carta. In quell’occasione Aligi Sassu aveva presentato tre disegni, due incentrati sull’Inferno, nello specifico sul IX canto, Il messo celeste, e sul XIV canto, Capaneo, e uno incentrato sul Purgatorio, nello specifico sul X canto, La giustizia di Traiano. La mostra girò l’Europa per ben cinque anni e le opere esposte costituirono il corpus illustrativo dell’edizione della Commedia pubblicata da Aldo Martello nel 1965 in cinquecento esemplari. Nello stesso anno, in cui ricorrevano i settecento anni dalla nascita di Dante, il Ministero della Pubblica Istruzione acquisì queste opere e le depositò temporaneamente nel Museo Nazionale di Ravenna. Sassu partecipò anche a un’altra iniziativa su Dante nel 1965: Ravenna coinvolse venti artisti a cui era stato richiesto di realizzare bozzetti per mosaici celebrativi; la rassegna fu allestita nelle ex Scuderie del Complesso di San Vitale e Sassu portò un pannello dedicato all’ultimo canto dell’Inferno che raffigurava Lucifero (oggi il cartone preparatorio è conservato al MAR-Museo d’Arte della città di Ravenna, mentre il rispettivo mosaico venne realizzato da Giuseppe Salietti).
Ancora prima della mostra itinerante e dell’iniziativa ravennate, l’artista aveva inoltre dedicato negli anni Quaranta alcuni versi di una delle sue poesie, L’atroce soavità dell’Inferno, alla figura di Minosse, “guardiano incatenato” e “feroce servitore della vita”. Dal punto di vista pittorico, l’ispirazione per scene tratte dalla Divina Commedia è dovuta alla sua passione per la pittura dell’Ottocento francese: sono stati fonte di ispirazione La Barca di Dante di Eugène Delacroix e Paolo e Francesca di Jean-Auguste-Dominique Ingres. Tuttavia c’è qualcosa di più profondo in lui nei confronti di Dante: è un approccio interiore, che va a scavare nelle sue stesse sofferenze e lotte per la libertà. Anche lui ha imparato cosa volesse dire essere imprigionato: era il 6 aprile 1937 quando la polizia dell’OVRA fa irruzione nel suo studio e trova il manoscritto per un manifesto insurrezionalista. Lui e altri suoi compagni vengono accusati di complotto e arrestati; viene condannato a dieci anni di reclusione, sconta diciotto mesi nelle carceri di San Vittore, Regina Coeli e Fossano. Sarà il re a concedergli la grazia grazie a Filippo Tommaso Marinetti che intercesse presso Mussolini.
"Non è stato come quando ho illustrato il Lazarillo de Tormes o le Stanze del Poliziano, il Vangelo di san Marco o l’Apocalisse“, aveva dichiarato. ”Qualcosa di totalmente differente. Un testo che mi ha offerto una lettura, una conquista, una continua lotta per la luce della pittura, della forma, della scoperta del mistero delle parole di Dante legata agli esempi universali della condizione umana“. Una condizione umana universale che rimanda alla storia a lui contemporanea. ”Non ho voluto tradurre Dante in immagini [...] È stata invece una continua invenzione di immagini... umilmente in ascolto delle parole di Dante, per poterne intendere la ineguagliabile potenza cromatica“, spiegò. ”Ho cercato di dare corpo ai miei ideali di lotta, contro la matta bestialità latente da sempre nell’uomo". È in questo senso che sono da vedere le tavole di Sassu: una meditazione continua sul viaggio esistenziale di ogni individuo, il quale viene qui espresso tramite la forte tensione cromatica.
Alla base delle tavole dedicate a Dante è una profonda conoscenza del testo: non si lascia sedurre dalle descrizioni delle pene infernali, come altri artisti avevano fatto; il suo approccio è quello di rappresentare la Divina Commedia come un poema umano, tra anime che hanno emozioni e sentimenti. Così come per Dante il viaggio nell’aldilà è motivo di riflessione, anche per Sassu la rappresentazione della Commedia, alla soglia dei settant’anni, lo conduce a riflettere sulla propria esistenza, a ripercorrere la propria vita artistica, “specchio della mia anima del mio lavoro per anni”.
Come il primo canto dell’Inferno fa da proemio all’intera Commedia, anche la tavola dedicata a questo canto può essere considerata un’introduzione a tutto il ciclo. La selva oscura di Sassu ci indica che stiamo per entrare in un mondo dai colori brillanti, che alludono alla musicalità delle terzine. Di colore blu la selva sassiana è metafora di morte spirituale: l’artista associa infatti tutti i colori freddi a tutto ciò che vi è di negativo nella vita. Il rosso è invece il colore dominante della sua pittura; rosso come il mantello di Dante. Assume un significato anche lo sfondo, con il quale sembrano fondersi insieme i personaggi: ciò richiama un’idea di identificazione tra le figure e lo sfondo, tra l’anima con le sue inclinazioni peccaminose o virtuose e il luogo assegnato: “un criterio di aggiudicazione espiatoria... Fuoco, dunque, temperie calorica che nasce dall’anima, che si dilata sul destino degli individui, per condurli in modo spontaneo alla giusta assegnazione”.
“I corpi si compenetrano, si fondono come larve infernali o paradisiache o purganti in un amalgama creato dall’intrecciarsi e fondersi delle anime che nascono e muoiono nel corpo del colore”, ha scritto ne La mia “Divina commedia”. “Far lievitare il colore, con la luce che rompe e sfrangia le forme, il rosso si compenetra con il verde, il blu col giallo e il carminio: è fuoco, si crea un tessuto, un intrecciarsi dei vari colori in un magma sulfureo che si intensifica l’uno con l’altro. Si crea un ribollire dei colori simili e di quelli contrastanti, dando così il senso di un fermento vitale”. Ne è un chiaro esempio I lussuriosi, Canto XXV Purgatorio, dove i personaggi all’interno di un unico sfondo che dal rosso violaceo si trasforma in arancione occupano quasi l’intero dipinto, propagandosi e avanzando come un magma incandescente. Con lo stesso principio ma più definite sono invece le anime che Dante incontra nel II canto del Purgatorio: l’intera composizione è occupata da personaggi e sfondo azzurrognoli, mentre si staglia sulla sinistra Dante con il suo mantello rosso.
Spesso Sassu dedica più tavole a un soggetto mitologico, rivelando una certa attenzione verso il mito: è il caso di Gerione che l’artista raffigura nel XVII e XVIII canto dell’Inferno, in forma di figura isolata. Non solo magmi di figure, ma anche figure a se stanti, come il bellissimo Arcangelo Gabriele del XIV canto del Paradiso.
Dante è stato molto presente nell’attività artistica di Aligi Sassu; per questo Bagnacavallo ha voluto omaggiare in un unico progetto espositivo il dialogo ideale tra l’artista e il Sommo Poeta, nell’anniversario dei settecento anni dalla scomparsa dell’Alighieri.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.