Ho sempre guardato con interesse la grande tavola del Museo Civico di Pistoia che testimonia l’attività di un artista singolare e affascinante quale fu Bernardino Detti: la Madonna dell’umiltà con i santi Bartolomeo, Jacopo e Giovannino (fig.1). L’opera, siglata BDP, compare in alcuni documenti che ne accertano la commissione, la destinazione e la data: la fece eseguire nel 1523 la Pia Casa di Sapienza per la Cappella dell’Oratorio dello Spedale dei Santi Jacopo e Filippo alla Pergola in Pistoia, e all’epoca il pittore aveva venticinque anni1.
Intervengo nell’ambito di un problema critico fitto e complesso solo per proporre un piccola aggiunta, che peraltro esige qualche chiarimento marginale. Ho seguito i positivi risultati ottenuti dalla critica, soprattutto da Chiara D’Afflitto e Alessandro Nesi2, che con i loro contributi hanno ricostruito attorno al nome di Bernardino uno scarno catalogo: grazie a questi studi l’opera-chiave del pittore, nota ormai come Pala della Pergola, può leggersi nel significato più generale, ma anche nelle numerose componenti minori, pur se resta aperto qualche interrogativo.
È probabile che essa rappresenti la testimonianza figurativa di un evento legato a un bambino/a (malattia, guarigione, perdita?), realizzata con l’intento di evocare il tema della fragilità dell’infanzia e della tutela della stessa attraverso il richiamo a consuetudini e rituali del territorio pistoiese: introducendo figure e culti ben caratterizzati a livello locale (la Madonna dell’umiltà3, san Bartolomeo protettore dei bambini e titolare della Pia Casa di Sapienza, sant’Jacopo, patrono della città al quale era intitolato un ospedale), amuleti e altri elementi caricati di riferimenti simbolici; ninnoli e fasce per i neonati, frutti, erbe, fiori, e oggetti che qualificavano Pistoia come importante luogo di sosta per pellegrini e viandanti.
In passato avevo provato a decifrare alcune di queste intriganti presenze (il ciuffo di fiori e frutta, le erbe sparse a terra)4 ma non ho proseguito la ricerca, che altri hanno invece condotto a buon fine, restituendo alla pala le linee di un programma iconografico molto articolato.
Rispetto a ciò che già è stato detto, resta forse da sottolineare ancora il marcato carattere scenografico delle opere principali dell’artista, che occorre guardare tenendo conto della presenza in Pistoia di una forte tradizione legata allo spettacolo5, e della spregiudicatezza di Bernardino nel combinare persone e cose, anche imponendo insoliti percorsi di visione e di lettura.
Nella pala della Pergola i protagonisti, situati in un edificio monumentale, sono in primo piano e molti di essi dialogano singolarmente con l’osservatore: san Bartolomeo con il gesto aggressivo che ostenta il coltello6, sant’Jacopo con il volto ruotato verso l’esterno7, così come il Bambino Gesù, che, con fisionomia da adulto, punta lo sguardo intenso verso chi guarda (fig.3); entrano nel vivo della struttura compositiva, ma senza volgersi verso di noi, san Giovannino che irrompe da destra, e un angelo che sopraggiunge dall’alto (figg. 19, 20): il primo offre al Bambino i segni della propria identità (croce e Agnus dei), un corno, una rosa, un rametto di corallo8, l’altro una corona per la Madre e un cardellino addomesticato per il Figlio. Nell’affollata zona centrale il pittore passa poi da un illusivo avvicinamento all’osservatore (la mosca sul braccio del Bambino9) a un improvviso affondarsi della visuale, laddove si apre un canale che mostra uno spettacolo nello spettacolo: una elaborata messinscena del Giudizio di Salomone che attraverso la saggezza del re biblico alluderebbe alla committenza (la Pia Casa di Sapienza, fig.4); a mio avviso, peraltro, lo spazio accordato al confronto fra le due madri introduce anche un richiamo al tema dell’amore materno. Con un ulteriore cambiamento di direzione, l’angelo che sovrasta l’azione teatrale attraversa lo spazio e si proietta all’esterno, e il forte scorcio della figuretta svolazzante sembra tradire una citazione dai dipinti più innovativi che Rosso fiorentino propone intorno al 1520 (Madonne dell’Ermitage e di Los Angeles)10.
2. Bernardino Detti, Madonna dell’umiltà e santi, dettaglio |
3. Bernardino Detti, Madonna dell’umiltà e santi, dettaglio, Madonna col Bambino |
4. Bernardino Detti, Madonna dell’umiltà e santi, dettaglio, Giudizio di Salomone |
L’altra testimonianza determinante di Bernardino, la pala del Castello Reale di Wawel a Cracovia, si presenta come un ‘quadro vivente’ legato anch’esso alla liturgia e al culto radicati in Pistoia11 (fig.5). Una ideale impalcatura a gradini sostiene l’impianto compositivo, dove la visione, avanzando in profondità, passa dal piano terra alla sommità, dalla solida staticità della base al fluido vortice che vede la Madonna in gloria col figlio in grembo fra angeli che volano dispiegando un drappo prezioso12. È una grande macchina teatrale, dove i personaggi collocati ai lati si propongono come espliciti sostegni di un percorso di lettura provvisto di ‘entrata’ e di ‘uscita’ (fig.9): a sinistra il sant’Jacopo situato di schiena e la Maddalena che mostra il vasetto degli unguenti, a destra Caterina, che con la mano benedicente si raccorda al gruppo divino, mentre con il braccio accostato al corpo invita a scendere verso san Bartolomeo; qui, con un vero coup de théâtre, il braccio scorticato del santo agevola il riconoscimento, e nel contempo avvia l’osservatore verso il centro, dove siede san Zeno, al quale era intitolata la cattedrale; peraltro era anche patrono dei mugnai, come ricorda il pane che il Santo vescovo tiene nella mano destra: un pane affine a quello di oggi, ma che rinvia anche al cibo eucaristico. Una gamma cromatica vivace, impostata anche sul contrasto fra diritto e rovescio nei tessuti, accentua il carattere spettacolare dell’immagine.
Sono due soli i Ritratti riconosciuti a Bernardino (New York, Metropolitan Museum, Londra, collezione Wallace)13 e in entrambi la disposizione strategica degli oggetti che circondano i due protagonisti rivela il gusto raffinato e la cultura di un regista di rango: strumenti musicali, pergamene, libri, calamaio, e ancora armi, frammenti archeologici, una moneta o medaglia, un cane di razza e vesti preziose qualificano i due uomini come personaggi di elevato livello sociale, ‘gentiluomini’ e intellettuali.
Nell’ambito della mostra dedicata all’Età di Savonarola, la Pala della Pergola e il suo autore sembravano costituire un episodio isolato anche se di assoluto risalto, mentre già nel catalogo, e poi in tempi successivi, veniva in luce una rete di rapporti che vedono il Detti ricevere incarichi per opere importanti (difficile il riscontro con la realtà concreta a causa di perdite e dispersioni), ma anche dedicarsi a lavori di impegno limitato (decorazione, arredo, restauro) valendosi di collaboratori, e ad attività non pertinenti con la produzione artistica. Le tracce di altri luoghi e opere che possono conservare testimonianze del Detti sono state raccolte con scrupolo e commentate da Alessandro Nesi; rispetto al profilo che ne deriva, il caso che potrebbe offrire possibilità di approfondimento è un dipinto di collezione privata che non conosco direttamente, e che lo stesso Nesi ha reso noto seguendo una segnalazione di Andrea De Marchi14: il titolo dell’opera, Sacra Allegoria, indica di per sé una qualche incertezza, che Nesi ha proposto di risolvere abbozzando l’ipotesi che nell’immagine venga proposta una variante del tema dell’Immacolata Concezione. Sono certa che lo stesso Nesi continuerà a lavorare sull’iconografia del dipinto, che è di qualità molto alta, ma che presenta molteplici interrogativi in rapporto alla identificazione e al ruolo dei singoli personaggi.
5. Bernardino Detti, Madonna col Bambino, angeli e santi (Pala di Wawel) (Cracovia, Castello di Wawel) |
6. Bernardino Detti, Madonna col Bambino, angeli e santi (Pala di Wawel), dettaglio |
7 e 8. Bernardino Detti, Madonna col Bambino, angeli e santi (Pala di Wawel), dettaglio della Maddalena e Caterina |
9. Bernardino Detti, Madonna col Bambino, angeli e santi (Pala di Wawel), dettaglio di san Zeno |
Lascio però il tema più generale della personalità dell’artista per giungere alla specifica proposta che è oggetto di questo breve intervento.
Avevo perso di vista i problemi pertinenti alle novità e alle contraddizioni di Bernardino Detti, quando il mio interesse per la personalità del pittore pistoiese si è risvegliato di fronte a un caso affiorato senza clamore nell’ambito di una bella mostra e di un catalogo ricco di contributi stimolanti dedicato ai “falsi”; comprendendo nel termine non solo e le contraffazioni esplicite, bensì i rifacimenti, le trasposizioni e la variegata casistica dei reimpieghi: Primitifs Italiens, le vrai, le faux, la fortune critique15, Ajaccio 2012).
Solo a una seconda o terza lettura del folto Catalogo ho fermato l’attenzione su un polittico composito, ovvero un singolare pastiche conservato oggi a Lione, Cappella del Centro San Marco dei Padri Gesuiti, nel quale sono stati riuniti elementi trecenteschi e quattrocenteschi (fig.10): non solo dipinti, poiché anche la cornice argentata sembra derivare da un sapiente assemblaggio di frammenti originali e di pezzi di data più recente. Si tratta di una struttura di una certa imponenza (cm 219 x 140) nella quale sono associati frammenti tardomedievali e moderni, e che risulta complessivamente elegante nonostante l’impronta di forte eterogeneità.
Nella carpenteria lignea sono incastonati sei dipinti databili fra il tardo Trecento e il primo Cinquecento. Al centro in basso è una Crocifissione, riferita a Simone de’ Crocifissi; ai lati due frammenti con gruppi di devoti in basso, e in alto due sante (santa Brigida e santa Caterina), forse di Scuola umbra. Non ho motivo per intervenire sui cinque piccoli dipinti, mentre ritengo di poter aggiungere alcune osservazioni in rapporto alla tavola centrale.
Si tratta di una Madonna col Bambino fra due angeli, parzialmente alterata da ridipinture16 e da un intervento di riduzione della tavola sui lati (fig. 12): sicuramente l’immagine comprendeva almeno altri due angeli di cui resta solo una labile traccia. L’opera, inedita fino all’epoca della mostra del 2012, è stata presa in considerazione da alcuni studiosi, ma si è trattato di opinioni espresse verbalmente, con oscillazioni fra la pittura romagnola e quella di area lucchese; nel Catalogo della mostra di Ajaccio la seconda opzione ha prevalso, e si è accettato come autore del dipinto il nome di Michele Angelo di Pietro da Lucca, di famiglia originaria di Pistoia, pur dando conto delle varianti presenti nel dibattito storico-critico e del divario di opinione fra due studiosi, entrambi autorevoli e specificamente competenti: Everett Fahy che confermava il riferimento a Michele Angelo, e Maria Teresa Filieri che manifestava dubbi, in pratica respingendo l’attribuzione17.
10. Polittico, composizione di elementi di età diverse (Lione, Cappella del Collegio dei Gesuiti - Centro San Marco) |
11. Pala della Pergola, dettaglio. 12. Polittico di Lione, dettaglio dela Madonna col Bambino e angeli |
13. Pala della Pergola, dettaglio. 14. Polittico di Lione, dettaglio. 15. Bernardino Detti, Sacra Allegoria, dettaglio (Firenze, collezione privata) |
Ho dedicato più di un saggio alla pittura lucchese del secondo Quattrocento, e soprattutto alla personalità di Michele Angelo18, pertanto intervengo sull’argomento per confermare la posizione dell’amica Teresa Filieri, scartando l’attribuzione del dipinto di Lione al pittore lucchese. Nondimeno le alternative espresse dalla critica (pittura romagnola, pittura lucchese) hanno qualche giustificazione: nello stile di Michele Angelo, pur di fondo fiorentino, affiora infatti una sottile venatura di altro segno e anche una tendenza alla discontinuità che vede affiorare momenti di eccellenza (ad esempio alcune teste-ritratto) all’interno di strutture compositive d’impianto tradizionale. Un filo esile che, di fronte agli interrogativi posti dalla tavola di Lione, mi ha portato a muovermi in direzione di Pistoia, verso un ambiente dove la collocazione in un contesto prossimo alle vie di comunicazione che solcavano i passi appenninici favoriva molteplici occasioni di scambio fra scuole diverse19. In definitiva quella ‘alterità’ che caratterizza certi aspetti dell’opera di Michele Angelo ha richiamato nella mia mente quella eccentricità che contrassegna le testimonianze di un artista sfuggente e difficile come il Detti.
La formazione di Bernardino è indubbiamente legata alla cultura figurativa del primo Cinquecento fiorentino, con riferimento precipuo a Fra Bartolomeo, Piero di Cosimo, Andrea del Sarto, e agli altri protagonisti della officina della maniera20: nelle testimonianze certe della sua attività si colgono anche sfumature proprie di uno stile di transizione, deviazioni rispetto alla tradizione tardoquattrocentesca, e aperture verso le punte di stravaganza manifestate dai promotori dell’officina. Emblematico il san Giovannino seduto al centro di Pala di Wawel (fig.6): la figuretta che si torce alzando un braccio è una delle tante interpretazioni del celebre modulo del contrapposto, qui legato a una formula di Fra Bartolomeo replicata in varie forme e in vari luoghi, fra l’altro a Pistoia dallo Scalabrino (pala di Cutigliano), e presente anche nell’orbita di un pittore d’impronta ‘marginale’ come Zacchia da Vezzano.
Aggiungo che D’Afflitto ha giustamente insistito sulla impronta rivelatrice di alcune soluzioni del Detti, evocando Dürer e la grafica d’oltralpe21; aggiungo ancora che nella stessa prospettiva si collocano i i drappi invadenti (manti, tendaggi) dove i panneggi risultano intenzionalmente modellati con effetto ‘astratto’: mi riferisco ai mantelli di sant’Jacopo (pala di Wawel) e della Madonna seduta a terra (pala della Pergola), quest’ultimo accartocciato come un frammento di lamiera (fig.11); nella stessa pala, segnalo anche il sontuoso mantello di San Bartolomeo, che doveva riecheggiare la trama di paramenti liturgici altrettanto splendidi. Sono tutte componenti che confermano la predisposizione dell’artista alla divagazione e all’artificio, e il suo distacco rispetto alle correnti di stile d’impronta convenzionale.
Gli studiosi che hanno analizzato l’opera del pistoiese e la documentazione pertinente hanno sottolineato più volte i dubbi e le contraddizioni che affiorano da un profilo che comunque oggi può dirsi attendibile. Aldilà delle estese perdite che hanno compromesso una ricostruzione articolata della sua operosità, i dati d’archivio rivelano un personaggio che accettava incarichi di varia portata, e che forse avvertiva una certa insofferenza nei confronti di lavori da eseguirsi in prima persona: per Bernardino, figlio di un uomo autorevole e appartenente a una famiglia di ceto sociale elevato, il lavoro manuale non doveva essere una stretta necessità. Di ciò troviamo una piccola conferma nella tavola di Lione, che pure deve essere valutata con prudenza poiché è giunta a noi attraverso vicende che ne hanno compromesso l’integrità. Nondimeno un’attribuzione a Bernardino e una datazione precoce, poco oltre il 1520, potrebbero essere plausibili.
L’impianto di base del dipinto prevedeva una collocazione del piccolo gruppo di personaggi all’interno di una loggia: di questa restano due coppie di colonne22 sormontate da capitelli, che, con un architrave, valgono anche a inquadrare il paesaggio retrostante; una campagna ondulata, solcata a destra da un fiume, laddove la visione si affonda verso alcuni edifici, un agglomerato costituto da un ponte e da alcune torri dal tetto aguzzo nel quale si riconosce una tipologia diffusa, segnata da accenti nordici. Nella loggia, in primo piano è eretta la Vergine, che sorregge ed espone il Bambino; il putto è nudo, il corpo velato da una fascia che agevola la madre nell’azione di sostegno, e nel volto regolare gli occhi mostrano uno sguardo perso nel vuoto. Entrambi sono chiusi nella capsula del mantello azzurro: un ampio guscio sonante dai bordi ondulati che scivola dal capo alle spalle ai fianchi, e che costituisce la componente di maggior rilievo della parte figurale (se ne coglie un riscontro nella pala della Pergola, nel manto di consistenza metallica che avvolge la Madonna accoccolata a terra). L’effetto che ne deriva è quello di un tempo ‘sospeso’ attorno alla dominante figura della Vergine: dalla modesta scollatura della veste emergono il collo e un volto levigato, privo di turbamento come di affetti, che rifugge l’occhio del riguardante, ed evoca impassibili tipologie pierfrancescane; un volto molto prossimo a quelli delle presenze femminili nelle pale del Detti, delle quali condivide le guance piene e la pettinatura: capelli lisci spartiti da una scriminatura centrale e raccolti dietro alla nuca (figg. 16, 17, 18).
Ai lati dei protagonisti, i due angeli mostrano volti dai lineamenti peculiari (fig.14): gli occhi distanti che sbirciano dalle palpebre semiabbassate, il naso camuso, la bocca piccola, serrata, senza sorriso, sono lontani dalle più divulgate e accattivanti tipologie angeliche elaborate nel corso del Quattrocento, e, ai nostri occhi, sfiorano quasi la patologia. Sono volti che presentano qualche affinità con quello della bambina che compare al centro della pala della Pergola, nell’atto di recare fiori e frutti alla Madonna, e anche tra coloro che intervengono nella Sacra Allegoria che ho fuggevolmente citato in precedenza (figg.13, 15): fra i personaggi ve ne sono alcuni decisamente inquietanti (corporatura tozza, volti dai lineamenti pesanti e privi di espressione).
16, 17. Pala di Wawel, dettaglio. 18. Polittico di Lione, dettaglio |
19, 20. Pala della Pergola, dettagli. 21. Polittico di Lione, dettaglio |
La tavola di Lione - nell’ipotesi che la mia attribuzione sia corretta – non aggiunge elementi determinanti all’opera di Bernardino Detti, cioè non appartiene alla fase di elevato spessore stilistico che si afferma nelle grandi pale e nei ritratti; ma i due angeli, così lontani dalle formule di largo successo, aggiungono un tocco ulteriore alla spregiudicatezza del pittore; abile nel costruire l’immagine ma anche nel disseminarvi ‘pillole’ di erudizione, allusioni alla tradizione orale delle favole e dei proverbi, e alle vicende del tempo presente, allorché le epidemie e altri flagelli si abbattevano sulla popolazione, e soprattutto su chi non poteva contare su forme di protezione. In questa luce, meglio si comprendono le immagini destinate alla devozione e imperniate sull’appello per la salvezza rivolto alla divinità e ai santi, che Bernardino ha interpretato introducendo inedite variazioni, legate forse a eventi di cui si è perduta la memoria. Una committenza che possiamo supporre colta, ma di orientamento conservatore nel gusto, non avrebbe accettato quei personaggi se gli stessi non avessero avuto un qualche legame con una parte della vita quotidiana. Sfortunatamente non sappiamo quanto fosse variegata l’umanità alla quale nel Cinquecento gli artisti guardavano nel comporre le loro storie; forse gli angeli dal volto attonito e sgraziato che scortano la Madonna di Lione avevano un riscontro nella reale presenza di fisionomie segnate da tratti di anomalia: si differenziano rispetto alle immagini delle quali nel secolo precedente si erano smussate le irregolarità fisiche, ma la loro rusticità contadina si distingue anche rispetto all’impronta sofisticata degli stralunati santi di Rosso Fiorentino, quei “santi diavoli” che secondo Vasari spaventarono un committente.
La ricerca storico-critica ha incontrato molte difficoltà nell’identificare le componenti della pala della Pergola che il trascorrere del tempo aveva trasformato in enigmi, e oggi quasi tutto risulta chiarito e motivato; ma forse l’opera di Bernardino Detti presenta ancora qualche passaggio oscuro, e ciò che qui si è riepilogato potrebbe valere come invito per ulteriori approfondimenti.
Nel corso della stesura di questo testo ho avuto la collaborazione di alcuni amici, ai quali rivolgo un vivo ringraziamento: Elena Testaferrata, Patrizia Lasagni, Enrico Frascione, Andrea Baldinotti.
Note
1 La voce più estesa in rapporto al tema qui affrontato è il Catalogo della mostra L’Età di Savonarola. Fra Paolino e la pittura a Pistoia nel primo ‘500 (Pistoia 1996), a cura di C. D’Afflitto, F. Falletti, A. Muzzi, Venezia 1996. Tutti i saggi sono significativi, ma segnalo C. D’Afflitto, schede pertinenti al Detti, pp.222-226; della stessa studiosa, vedi La Madonna della pergola…”Paragone”, 45, 1994, nn. 529-533, pp.47-59. Più recenti i contributi condotti con grande impegno da A. Nesi, Bernardino Detti, un eccentrico pistoiese del Cinquecento, “Nuovi Studi”, 15, 2010, pp.88-100; Bernardino Detti, La Pala di Cracovia, Firenze 2016,e Bernardino Detti. La Pala della Pergola, Firenze 2017. Nei saggi citati si precisa che spetta ad Andrea De Marchi il merito di aver accostato la pala di Wawel al Detti.
2 Un esteso riepilogo della bibliografia di data anteriore al 1996 è in L’Età di Savonarola 1996, cit., pp.251-261; per gli anni successivi rinvio alle pubblicazioni di Alessandro Nesi. È opportuno ricordare che il carattere di eccezionalità di alcune opere citate in seguito con riferimento al Detti era stato intuito da due Maestri che sono sempre nei miei pensieri: F. Zeri, Eccentrici fiorentini….II,”Bollettino d’arte”, XLVII, IV, 1962, pp.216-218; Idem, Italian paintings. A Catalogue of the Collection of the Metropolitan Museum, New York 1971, p.308; C.L. Ragghianti, Pertinenze francesi nel Cinquecento, “Critica d’arte” XIX, 121, 1972, pp.3-92 (12-14).
3 Sul libro tenuto fra le mani da san Jacopo compare un richiamo a un passo di una Lettera di san Giacomo contenente una esortazione all’umiltà (Nesi, Bernardino Detti 1910, cit., p.89)
4 In rapporto al fascio di fiori e frutti osservo che il tentativo di inserire ogni componente nelle singole maglie di una rete di simboli non convince: si tratta di frutti, fiori e fogliami che maturano e sfioriscono tra la fine dell’estate e il primo autunno, e sarebbe ragionevole riconoscerli come metafora di un fine-vita, o come indizio cronologico relativo all’evento ricordato dal dipinto.
5 A. Chiappelli, Storia del teatro a Pistoia dalle origini alla fine del XVII secolo, “Bullettino Storico Pistoiese”, XII,1910, 4, pp…I documenti conservano tracce esplicite di spettacoli tenuti nella Cattedrale nel corso del Medioevo, dell’atteggiamento critico dell’autorità ecclesiastica in rapporto all’espandersi di travestimenti e danze, della difesa da parte del popolo e comunque della prosecuzione delle rappresentazioni fra Quattro e Cinquecento all’esterno dell’edificio sacro.
6 È un suo attributo costantemente presente, ma era anche l’emblema della Pia Casa di Sapienza. Il deterioramento della superficie pittorica nella zona del volto è dovuto al contatto legato alla devozione, ovvero ai baci dei bambini.
7 Mi chiedo se non possa trattarsi dell’autoritratto del pittore (fig.2). Nel 1523 egli aveva circa venticinque anni, mentre la fisionomia del Santo quale appare nella tavola potrebbe sembrare quella di un uomo maturo: non possiamo però giudicare l’aspetto delle effigi dipinte secondo il nostro attuale stile di vita: nella tavola il personaggio raffigura sant’Jacopo pellegrino, e pertanto mostra un viso abbronzato, capelli e barba incolti; la vivacità dello sguardo potrebbe però tradire la volontà dell’autore di presentarsi in forma diretta, a conferma della sigla inscritta nel cartiglio del Battista.
8 L’annuncio della Passione (Ecce Agnus dei), la croce, la rosa e nel contempo i comuni gingilli cui si attribuiva un potere scaramantico. Evidentemente Bernardino amava dare forma visiva a ciò che apparteneva ai livelli alti della cultura ma anche alle credenze popolari.
9 Secondo D’Afflitto (L’Età di Savonarola 1996, p. 224) la mosca, insieme con le erbe e i fiori appassiti, richiamerebbe il tema della vanitas.
10 Nell’introdurre ardite forme di scorcio per gli angeli in volo Fra Bartolomeo si distingue fra i comprimari fiorentini, ma in questo caso la visuale abbreviata che schiaccia i lineamenti del volto del putto sembra derivare proprio dal Rosso.
11 Nesi (Bernardino Detti 2010, p.90) ha ipotizzato che l’opera fosse stata commissionata dalla famiglia Fabbroni per un altare situato nella chiesa di San Domenico. Non posso consultare il testo di una studiosa polacca, M. Szubiszewska, e devo riferirmi al riassunto offerto da Alessandro Nesi del quale condivido le riserve (Nesi, La Pala di Cracovia 2016, cit.)
12 L’uso di tessuti di pregio all’interno delle chiese è ben attestato a Pistoia.
13 Zeri, Italian Paintings 1971, cit, p. 308; Ragghianti… Pertinenze francesi 1972, cit., pp.12-14.
14 Nesi, Bernardino Detti, un eccentrico 2010, cit., pp.94-95.
15 Primitifs italiens, le vrai, le faux, la fortune critique (Ajaccio 2012), a cura di E. Moench, Milano-Ajaccio 2012, pp.222-231, schede di E. Mognetti e N. Hatot).
16 In parte rimosse nel corso del recente e accurato restauro, sul quale vedi N. Hatot, Primitifs italiens 2012, cit. pp.226-231. È possibile che la tavola sia stata ridotta anche nella parte inferiore.
17 Primitifs italiens 2012, cit., scheda di E. Mognetti, pp.222-226. L’ipotesi che la composizione originale fosse dedicata al trasferimento a Loreto della casa della Madonna non sembra possa dedursi con certezza dallo stato attuale.
18 Eclettici lucchesi: novità per Michele Angelo di Pietro, “Critica d’arte”, LXIII, 8, 2000, pp.27-42; I pittori nella Lucca di Matteo Civitali. Da Michele Ciampanti a Michele Angelo di Pietro, in Matteo Civitali e il suo tempo, Catalogo della mostra (Lucca 2004), a cura di M.T. Filieri, Milano 2004, pp.95-141; A tutela di Michele Angelo di Pietro, pittore stravagante, “LUK”,23, 2017, pp.126-137.
19 Il padre di Michele Angelo era un maestro di legname originario di Pistoia, e anche il figlio è citato nei documenti sia come Michele Angelo de Luca, sia come de Pistorio.
20 Mi riferisco ovviamente a quella che fu una tappa determinante negli studi sul primo 500 a Firenze: L’Officina della maniera, Catalogo della mostra (Firenze 1996-97) a cura di A. Cecchi e A. Natali, Firenze 1961.
21 L’Età di Savonarola 196 cit., p.224.
22 Soprattutto le colonne in primo piano sono appena leggibili perché asportate dal forte ritaglio.
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