L’ultimo risarcimento al patrimonio artistico italiano colpito dai disastri della guerra è avvenuto nel giugno del 2018 con la ricollocazione in parete degli affreschi staccati del Camposanto Monumentale di Pisa. Bisogna rimandare indietro l’orologio della storia di settantacinque anni e fermarlo all’estate del 1944.
Il fronte di guerra in Italia è in rapido movimento. Superati gli ostacoli di Montecassino e di Anzio, liberata Roma all’inizio di giugno, le armate alleate dilagano verso nord, direzione Firenze e oltre Firenze, la Val Padana. Il feldmaresciallo Kesselring comandante in capo delle truppe tedesche in Italia, da quel grande tecnico della guerra che era, capisce che, nella situazione data, l’unica cosa intelligente da fare è di ritirarsi in ordine oltre Firenze, per attestarsi sul formidabile sistema difensivo, già approntato sull’Appennino, noto come Linea Gotica. Sono mesi di battaglie di logoramento, di bombardamenti a tappeto, di feroci rappresaglie naziste sulla popolazione civile.
In luglio le truppe alleate sono arrivate sulla linea dell’Arno fra Empoli, San Miniato e Pisa, una linea dalla quale i tedeschi si stanno gradualmente sganciando. Nel centro storico di Pisa non ci sono più truppe germaniche ma il modo di condurre la guerra da parte degli alleati, soprattutto degli americani, è noto. Piuttosto che far rischiare la vita a un solo cittadino in armi, meglio procedere con sistematici bombardamenti preventivi del territorio da occupare. Avvenne così che uno spezzone incendiario colpì il tetto del Camposanto Monumentale. Le travi crollarono e bruciarono per tre giorni e tre notti, si fusero per il calore le coperture di piombo e gli affreschi (quelli di Spinello Aretino, di Taddeo Gaddi, di Benozzo Gozzoli, del cosiddetto Maestro del Trionfo della Morte) ne uscirono combusti, “cotti”, decoesi, trasfigurati nella loro composizione chimica.
Bonamico Buffalmacco, Trionfo della Morte (1336 circa; affresco, 564 x 1497 cm; Pisa, Camposanto Monumentale) |
Bonamico Buffalmacco, Trionfo della Morte, dettaglio dell’allegra cavalcata |
Bonamico Buffalmacco, Trionfo della Morte, dettaglio della scoperta dei tre cadaveri |
Bonamico Buffalmacco, Trionfo della Morte, dettaglio dei tre cadaveri |
Così li vide, nel settembre del ’44, Cesare Brandi, giovane direttore dell’Istituto Centrale del Restauro, arrivato a Pisa con mezzi di fortuna perché l’Aurelia e la ferrovia erano interrotte.
Portava con sé pacchi di foto in bianco e nero della magnifica campagna condotta anni prima da Alinari. Erano le foto che si riveleranno in seguito preziose quando verranno avviate le prime operazioni di restauro. Dopo Brandi arrivarono, nel Camposanto sconvolto e vulnerato dal fuoco, tutti i grandi storici dell’arte e i grandi restauratori. Arrivarono Carlo Ludovico Ragghianti all’epoca comandante del CLN militare toscano, Mario Salmi, Roberto Longhi, Ugo Procacci accompagnato da Frederic Hart, tenente dell’esercito americano, uno dei Monuments Men, il corpo speciale istituito da Roosevelt nel 1943 per la difesa del patrimonio artistico europeo minacciato dalla guerra. C’è anche, insieme a Procacci, un giovanissimo Umberto Baldini ventiduenne, in divisa di sottotenente del Corpo italiano di Liberazione.
Insieme agli storici dell’arte ci sono i restauratori, i migliori specialisti di pittura murale attivi in quegli anni. Paolo Mora, Cesare Benini, Leone Lorenzetti, Leonetto Tintori. La situazione era drammatica. Bisognava agire con estrema urgenza utilizzando i materiali e le metodiche in uso all’epoca. Si provvide a staccare gli affreschi (facendo emergere le sinopie destinate a finire nel museo a loro dedicato inaugurato nel 1979) e a collocare le pitture murali su supporti in eternit con collante a base di caseato di calcio. Provvedimenti di emergenza condotti con materiali improprî, rivelatisi presto inadeguati quando non anche dannosi.
Il vero problema era rappresento dalla restituzione in parete degli affreschi staccati. Sull’obiettivo c’era il consenso unanime del mondo scientifico. Del resto aveva scritto Cesare Brandi con esemplare chiarezza ed efficacia: «Il Camposanto di Pisa senza gli affreschi sembra visto di rovescio… dove era il luogo degli affreschi asportati, le grandi pareti squallide, sebbene inalterate, non sono più le stesse in quanto alla loro stessa qualificazione spaziale la decorazione pittorica era essenziale».
Se unanime era dunque la condivisione dell’obiettivo, non lo era altrettanto per quanto riguardava i possibili modi della loro concreta attuazione. Si confrontavano scuole di pensiero diverse che portarono a sperimentazioni inconcludenti e a un ritardo lungo più di mezzo secolo.
Bonamico Buffalmacco, Trionfo della Morte, dettaglio degli anacoreti |
Bonamico Buffalmacco, Trionfo della Morte, dettaglio dei poveri e dei malati che invocano la Morte |
Bonamico Buffalmacco, Trionfo della Morte, dettaglio dei potenti vinti dalla morte |
Bonamico Buffalmacco, Trionfo della Morte, dettaglio dei potenti vinti dalla morte |
Bonamico Buffalmacco, Trionfo della Morte, dettaglio del giardino d’amore |
Il cambio di passo si ebbe nel marzo del 2008 nell’occasione del Convegno promosso e organizzato da Pier Francesco Pacini, Presidente dell’Opera Primaziale Pisana. Tutti gli affreschi, nessuno escluso, andavano rimessi in parete, fornendoli di nuovi supporti dalla temperatura regolabile grazie a sensori computerizzati così da evitare effetti di condensa in superficie durante l’inverno, naturalmente assicurando al contenitore monumentale adeguate condizioni climatologiche. Questo fu deciso nel Convegno del 2008.
Per condurre a risultato il progetto deciso nel 2008, venne istituita una commissione che, da me presieduta e coordinata, comprendeva, fra gli altri, Gian Luigi Colalucci (il restauratore della Cappella Sistina) e Carlo Giantomassi: entrambi responsabili insieme a Stefano Lupo capo-restauratore di una squadra di dieci operatori, della messa in opera del progetto tecnico. La commissione comprendeva inoltre storici dell’arte come Antonino Caleca e Andrea Muzzi, Soprintendente di Pisa, gli specialisti in Scienza della Conservazione Mauro Matteini già responsabile del CNR Beni Culturali, Paolo Mandrioli, Ulderico Santamaria direttore del Dipartimento Analisi Scientifiche dei Musei Vaticani, Perla Colombini ordinaria di Chimica alla Università pisana. Nel giugno del 2018, dopo dieci anni di ininterrotto lavoro, la grande impresa è arrivata a conclusione.
Nessuno pensi che un ciclo pittorico fra i più importanti della civiltà artistica italiana sia stato riportato “all’antico splendore” come scrivono i cattivi giornalisti. Ci sono parti irrimediabilmente perdute, altre ridotte all’ombra dell’ombra di quello che erano prima del ’44. Penso in particolare ai murali di Benozzo Gozzoli.
Per fortuna, nella generale devastazione del ’44, porzioni importanti del ciclo del Camposanto e, in particolare, le scene apocalittiche del Giudizio, del Trionfo della Morte sono state relativamente risparmiate dal fuoco e oggi il restauro è in grado di consegnarle a un livello di leggibilità soddisfacente.
Oggi, dopo settantacinque anni, il sistema iconografico che governa i murali del Camposanto è tornato leggibile. C’è il santo protettore di Pisa Ranieri, negli affreschi di Andrea da Firenze e di Antonio Veneziano, mentre le storie dei santi martiri Efisio e Potito, le cui reliquie si conservano in Duomo, sono dipinte da Spinello Aretino. La vita significa per tutti imprevisti, disavventure e prove, a tutti richiede pazienza e sopportazione ed ecco le storie del patriarca Giobbe, dipinte da Taddeo Gaddi. Mentre tutto, nella storia della Salvezza, allude al Tempo dell’Attesa e prefigura la venuta di Cristo Salvatore, come è testimoniato nelle storie dell’Antico Testamento, pitture murali estremamente deteriorate, di Piero di Puccio e di Benozzo Gozzoli.
Tutti però devono sapere che, il Giorno del Giudizio, in Paradiso si entrerà per la porta stretta, per la porta della preghiera e della penitenza, come insegna la vita dei santi anacoreti i quali trionfano sulla Morte che pure è la Signora di questo mondo e consuma nell’orrore e nella putrefazione la gloria della giovinezza, lo splendore dell’Amore e le potestà della terra.
È qui all’opera, in queste storie giustamente celebre, il cosiddetto Maestro del Trionfo della Morte da identificare nel grande maestro fiorentino di primo Trecento Bonamico Buffalmacco, geniale interprete di una variante naturalistica e ultraespressiva della lezione giottesca. Come ha dimostrato Luciano Bellosi in un memorabile saggio Einaudi del 1974.
Buffalmacco è documentato a Pisa nel 1336. È intorno a questo anno che avvia e conclude la decorazione pittorica del Camposanto. Il tema iconografico è quello apocalittico e ascetico di matrice domenicana (probabilmente ereditato dai testi del contemporaneo Domenico Cavalca), del Trionfo della Morte.
Bonamico Buffalmacco, Trionfo della Morte, dettaglio della Morte |
Bonamico Buffalmacco, Trionfo della Morte, dettaglio dei demoni e degli angeli che si disputano le anime |
Bonamico Buffalmacco, Trionfo della Morte, dettaglio dei demoni e degli angeli che si disputano le anime |
Bonamico Buffalmacco, Trionfo della Morte, dettaglio dei demoni e degli angeli che si disputano le anime |
La Morte afferma il suo potere, attraverso una sequenza di contrasti. È un contrasto il giardino d’amore dove belle ragazze suonano e cantano felici, messo a confronto con l’incontro dei tre vivi con tre morti. È questo il dettaglio più celebre della scena. Una allegra cavalcata di bei giovani attraversa il bosco per una battuta di caccia e qui incontra tre cadaveri rappresentati a un diverso livello di putrefazione. I cavalli scartano, i cani ringhiano fiutando l’odore della Morte, le ragazze si coprono il naso con il fazzoletto, i morti guardano i vivi perché sappiano quale sarà presto il loro destino.
In un’altra porzione di affresco si vede la Morte, la grande falciatrice, che miete i suoi poderi di questo mondo. Trascura i poveri, i malati, gli afflitti che pure la invocano come rimedio ai loro mali, mentre si accanisce sui potenti di questo mondo: papi, re, vescovi, giudici, notabili di vario genere. Di tutti costoro, uniti dalla falce della Morte, i demoni e gli angeli (ecco un altro contrasto) si disputano le anime.
C’è poi, chiave di lettura fondamentale, il contrasto fra la vita felice del giardino d’amore e della allegra cavalcata, e la solitudine dei santi anacoreti che, nel deserto, vincono la morte consumando la vita nella penitenza e nella preghiera.
Siamo di fronte (il restauro ultimo ci permette di capirlo come mai era stato possibile prima) a una pittura magnificamente realistica fortemente espressiva, che sembra contraddire l’ordine e la misura giotteschi dai quali pure deriva. Nei murali del Camposanto di Pisa, Bonamico Buffalmacco, il protagonista di alcune delle novelle più gustose del Decamerone, si colloca ai vertici più alti della grande pittura italiana del Trecento.
L'autore di questo articolo: Antonio Paolucci
Nato a Rimini nel 1939, laureatosi in storia dell'arte nel 1964 con Roberto Longhi, è storico dell'arte, già Ministro dei Beni Culturali, soprintendente del Polo Museale Fiorentino e direttore dei Musei Vaticani.