Nella Storia dell’Arte in Parma (2020) Maddalena Spagnolo tratteggia con elegante efficacia un capitolo, Nel segno di Leonardo, dove ritrova gli afflati del genio di Vinci che si spargono nelle terre padane e s’incanalano decisamente sul singolare pittore nato a Correggio (1489) che “giunge nella città verso i suoi trent’anni” per poi qui compiere imprese memorabili. Per l’autrice il legame tra i due è evidente e sarebbe inconcepibile negarlo, cosicché la critica può ora portarsi assai vicina alla tesi fondamentale di David Alan Brown The young Correggio and his Leonardesque Sources, scritta nel 1973 e che allora parve un impegno abbastanza “a latere” nell’ambito della letteratura artistica generale.
Scorrendo la tesi di Brown, ma seguendo pure le mobilissime tappe giovanili dell’Allegri tutto teso a raccogliere ogni dato del rinascimento esplodente, si può ipotizzare una trama di incontri che oggi divengono via via più credibili. Il Correggio esordiente diventa il pupillo prezioso della Dinastia reggente il luogo natìo, che in alcuni suoi membri lo accompagna e lo presenta in molti luoghi, e dalla quale il conte Nicolò II (poeta, drammaturgo, maestro di delizie) si diparte continuamente, chiamato nelle Corti settentrionali per ogni tipo di festa e occasione celebrativa. Dunque Modena, Ferrara, Venezia, Mantova e Milano sono toccate ben presto dal Correggio, e proprio nella capitale sforzesca Nicolò è il grande amico confidenziale di Leonardo, suo costumista delle continue feste e carnevali che godono della regìa del Conte correggese. Questi scrive un insinuante sonetto all’amico pittore, dove gioca sul suo attributo nominale (Tu Vinci tutti!) ma dove lo esorta a non svagarsi quando dipinge, altrimenti (gli dice con un riversamento quantomai significativo) tu dipingerai sempre Te stesso! È ben possibile che Nicolò (+1508) abbia portato una prima volta Antonio Allegri nello studio di Leonardo e davanti alle sue opere collocate.
Riguardo a Parma non possiamo considerare semplicemente la venuta “da fuori” del Correggio; anzi la città era sede da due secoli di un ramo della famiglia comitale correggese, che vi aveva anche governato e qui ospitato il Petrarca. In più le figlie dei “da Correggio” erano spose a nobili della città e dei castelli vicini. Pare che anche una zia materna di Antonio fosse maritata in città. Dunque il nostro Antonio era ben di casa là dove il torrente divideva il “di qua” e il “di là” dall’acqua, e ne conosceva i fermenti culturali ed artistici.
A rafforzare la trama di un flusso continuativo, ideale ma anche tangibile, tra Correggio, Mantova, Milano e Parma, entra ben presto Veronica dei conti Gàmbara, già amica ed ospite letteraria di Isabella d’Este Gonzaga, che diventa Contessa di Correggio dal 1508. Cadeva in quel tempo l’accorata trattativa tra Isabella e Leonardo per avere dall’ammirato genio una tavoletta dipinta con un Christo giovenetto de anni circa duodeci, cui la marchesa di Mantova ambiva supremamente. Non è improprio pensare che pochissimi anni dopo (1510-1511) Antonio Allegri abbia realizzato quelle due sorprendenti piccole tavole con tale soggetto, sospinto da Veronica; nè pensare che la signora di Correggio ne abbia inviato almeno la più parlante ad Isabella. Per curiosità diremo che il dipinto in questione, ora a Washington, fu a lungo ritenuto di Leonardo stesso. Da questo invio può reggere la congettura dell’arrivo in ricambio alla corte di Correggio del Redentore del Mantegna che tuttora illumina il Museo locale.
La tesi del Brown tocca dunque un fenomeno che ora appare senza dubbio centrale nella storia dell’arte. Michelangelo e Raffaello già dai primi due decenni del cinquecento avevano raggiunto apici espressivi e formali realmente assoluti. Come dipingere meglio di Raffaello? Come cavar dal marmo potenze e meraviglie più di Michelangelo? In effetti il largo fenomeno del manierismo testimonia questo blocco problematico tra capacità e linguaggi. Ma il fiume imponente dei costitutivi dell’arte italiana trovava nel patrimonio e nell’eredità di Leonardo l’ansa larghissima di una continuità imprevista e straordinariamente feconda che viaggiò sui fondali della naturalità emotiva, sulle leggi fisiche della mobilità e della visibilità fenomenica, sulla teologia più profonda e induttiva, sulla trasfigurazione tentata di un intero spazio. Tale nuovo verbo veniva dalle esperienze nordiche di Leonardo e passava a quel felicissimo giovane pittore, predisposto e solare, che veniva da Correggio.
All’inizio di questo 2021 l’Associazione Amici del Correggio e il Lions Club di Correggio hanno voluto sottolineare il loro impegno culturale realizzando la traduzione in italiano della tesi di David Alan Brown, onorando così il grande amico studioso e nello stesso tempo rimarcando il ruolo storico di Antonio Allegri, il quale giusto cinquecento anni or sono collocava nel Palazzo dei Principi della su città natale lo stupendo ritratto della Contessa Veronica, esemplato magnificamente sulla Gioconda leonardiana. Il 25 febbraio scorso una conferenza internazionale in streaming ha coronato la presentazione della traduzione, con l’intervento diretto del prof. Brown. All’evento hanno aderito i Lions Club del Distretto emiliano-ligure. Per mostrare i contenuti della tesi, e della conseguente trattazione televisiva, mostriamo qui con figure alcuni titoli esemplari di avvicinamento tra i due grandi: Leonardo maestro e il Correggio figlio geniale. Si tratta di un modo pressoché didattico, ma certamente (dati i riscontri ricevuti) assai recepibile. Come afferma D. A. Brown il Correggio non copia mai Leonardo, non cerca di contraffarlo come fecero “i milanesi” suoi seguaci, ma ne coglie invece gli insegnamenti magistrali e l’imparagonabile “effetto di grazia”. Il Correggio, che visitò di nuovo Leonardo intorno al 1512, ne conservò sempre le intime ispirazioni: restando se stesso aprirà così le nuove strade delle arti, in Italia e in Europa.
Nota: Chi desiderasse in via informatica la traduzione del saggio di David Alan Brown (senza le note) si ponga in contatto con < giuseppe.adani@alice.it >
Correggio, Cristo giovane (olio su tavola, 42,6 x 33,3 cm; Washington, National Gallery of Art) |
Andrea Mantegna, Il Redentore (tempera su tela, 55 x 43 cm; Correggio, Museo Civico)
Il Correggio giovane realizza l’icona emblematica che Isabella attendeva da Leonardo. In effetti la piccola tavola in passato fu ritenuta di Leonardo stesso. Il Redentore del Mantegna testimonia il rapporto tra la Corte di Correggio e quella di Mantova. |
Leonardo, Disegno d’uomo (sanguigna; Londra, Royal Library) |
Correggio, L’Eroe (1518; affresco; Parma, Camera di San Paolo)
Il possesso certo della figura umana è lo stigma di ogni grande artista. Leonardo disegna di primissima mano non un modello, ma un uomo vivo e fremente. Porterà il suo “possesso” all’apax dell’Homo Vitruviano, dimostrandolo fulcro di ogni armonia, canonica e geometrica. Il Correggio, con eguale sicurezza stende il suo Eroe, coronato di quercia secondo l’antico uso latino: anch’esso figura emblematica del pieno rinascimento e preludio ai celebri nudi delle cupole. |
Leonardo, Disegno di bimbi (Venezia, Galleria dell’Accademia) |
Correggio, Putto con ghirlanda e trionfo d’amore (Svizzera, Collezione privata) L’intenso amore di Leonardo per l’infanzia si sostenta con molti disegni e osservazioni preziose, dove la centralità mimica si fonde soavemente con il carattere scientifico, puntuale, del maestro. Da parte sua il Correggio giovane si dedica subitamente ai bimbi, scegliendo per sempre il disegno a sanguigna sull’orme di Leonardo. Qui il morbido fanciullo è ripreso sotto un bellissimo Carro d’Amore, come quelli che il conte Nicolò faceva apprestare per le magnifiche feste cortigiane. Nella Camera di San Paolo l’Allegri stenderà ben presto il “puerile decus” con trentasei putti nudini, che ritroveremo poi in tutti gli affreschi. |
Leonardo, Volto di fanciulla (disegno eseguito nella bottega del Verrocchio; Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe) |
Correggio, Le angele nella Pala di San Sebastiano (olio su tavola; Dresda, Gemäldegalerie)
Celebre e impressionante la diuturna ricerca di Leonardo sulla espressione dei volti, specchio dell’anima: un tema che può condensare ogni dedizione, ogni sospiro, ogni raggiungimento della vita figurativa dell’artista, sino a rendere ciascun ritratto un’intrisione alitata di spiritualità. Leonardo disegnò così diverse teste di fanciulla, ben memore dello stiacciato fiorentino. Il Correggio comprende a fondo tale ricerca volendo dematerializzare le entità celesti per trattenerle in velature sospese, dolcissime. |
Leonardo da Vinci, La Gioconda (1503-1513 circa; olio su tavola, 77 x 53 cm; Parigi, Louvre) |
Correggio, Veronica Gambara (1520-1521; olio su tela, 103 x 87,5 cm; San Pietroburgo, Ermitage)
Con la Gioconda, “opera mai finita”, Leonardo impone una serie nuova di caratteri determinanti nel ritratto italiano, tra questi: la figura seduta oltre metà, e con le mani; le torsioni successive del busto e del capo dalla impostazione laterale (il senso di vita); la luce soffusa che s’accende sul volto, sul petto e sulle mani (intelletto, amore, fattività); l’immersione avvolgente nella natura sino a confini estremi, sino ai famosi perdimenti atmosferici. Il Correggio vide certamente l’opera nello studio di Leonardo a Milano e nel suo unico ritratto ne riprende l’impostazione felicissima e i dati particolari. La celebre poetessa, Signora di Correggio per decreto imperiale, esprime nel dipinto tutta la sua cultura, il suo stato d’animo, il procedere della sua vita; le ben più ampie misure della tela ne rivelano la destinazione palatina, confermata dallo sguardo aristocratico e benevolo che risponde al dolce sorriso. All’altezza del suo viso Veronica volle il nome dell’amato pittore: Antonius Laetus. |
Leonardo, San Giovannino, particolare del volto (olio su tavola di noce, 69 x 57 cm; Parigi, Louvre) |
Correggio, Sant’Agata (olio su tavola, 29 x 34 cm; Correggio, Collezione privata)
L’insegnamento di Leonardo nei passaggi pur minimi delle ombre è confermato nel Correggio da David Alan Brown con attenzione: si tratta di un collegamento importante che riguarda il ruolo attivo e selettivo della luce nei dipinti. In effetti il Correggio diventa famoso come maestro del chiaroscuro, senza tuttavia abbandonare l’evidenza e la bellezza del colore. E’ una conquista della pittura del nord che viene riconosciuta col termine affascinante di “morbidezza”. |
Leonardo, Spighetta di sonaglini maggiori, viole e fiori di pero (Venezia, Galleria dell’Accademia) |
Correggio, Maddalena (1516-1517; olio su tela, 38 x 30 cm; Londra, National Gallery)
Il grande Da Vinci, immerso sin dalla sua infanzia nella libera natura, non tralascerà mai l’amore e le indagini più acribiose su ogni aspetto della botanica in innumerevoli e definiti disegni. Dice infatti Leonardo che “per fare bisogna conoscere” e ritiene il disegno “più immediato di ogni parola, e della poesia stessa”. In analogia di vita e di interessi il Correggio indagherà sempre con passione le erbe, gli arbusti, le piante della sua campagna, come in questo quadretto di destinazione isabelliana, ove una Maddalena ancor florida si ritira per meditazione in un tripudio vegetale fra il tarassaco, i garofanini e l’edera rampicante. |
Leonardo, La Vergine delle rocce (1483-1486; olio ora su tela, 199 x 122 cm; Parigi, Louvre) |
Correggio, Madonna col Bambino e San Giovannino (olio su tavola; 48 x 37 cm; Madrid, Prado)
Capace di impreviste originalità Leonardo pone questa composizione ardita in “luogo strano”, simbolico, ove ogni elemento naturale s’accompagna e stride con le sacre figure. Una libertà che egli sentì come necessaria alla vitalità pittorica, dove acque, rocce e vegetazione si pongono in tenzone conflittuale con le luci forzate e le grandi ombre. Si tratta di una totale immersione naturalistica che regge i rimandi telogici dei Personaggi. Il Correggio si cala spontaneamente nell’invaso verzicante e nell’umbratile caverna con “tutto il sublime dell’arte, della quale è gran Maestro” come si esprime la Gàmbara poetessa, raggiungendo in questo lavoro incantevole l’ascendente leonardesco certamente ammirato a Milano. |
Leonardo, La Sala delle Asse, Prelievo precario oggi visibile (1497-1499; Milano, Castello Sforzesco) |
Correggio, la volta della Camera della Badessa (1518; affresco; Parma, Monastero di San Paolo)
Con la cosiddetta Sala delle Asse nella Torre Falconiera, tra il 1497 e il 1499, Leonardo tentò una impresa nuova, grandiosa e volitiva, poi quasi completamente degradata. Un’alberatura di sedici gelsi formava un largo recinto vegetale a ombrello, ramezzato verso il cielo, realizzando così la trasfigurazione di un intero ambiente ove idealmente potevano tenersi immaginarie feste agresti anche nell’inverno. Nicolò da Correggio non fu estraneo all’idea e all’opera. La primizia fu colta in pienezza da Antonio Allegri per la Badessa Giovanna a Parma, dove il salotto dei convenevoli incontri sapienziali divenne davvero un pergolato di delizie. |
Leonardo, Autoritratto (1515 circa; sanguigna; Torino, Biblioteca Reale) |
Correggio, Autoritratto (1531 circa; affresco, Parma, Cupola del Duomo)
Con il suo imperscrutabile disegno Leonardo, ormai in esilio e verso la fine della sua vita, si ritira in sé, quasi contemplandosi nel suo stesso mistero. È un commiato di commovente intensità: “se tu sarai solo, tu sarai tutto tuo ”! Diversamente il Correggio, spirito corale e innico, si ritrae come l’ultimo dei Pariarchi nella salita al cielo di Maria, e il suo sguardo si apre alla luce infinita dell’empireo. |
La tua lettura settimanale su tutto il mondo dell'arte
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Giuseppe Adani
Membro dell’Accademia Clementina, monografista del Correggio.