Appuntamento fisso delle estati a Livorno da quasi quarant’anni (la prima edizione risale al 1986), Effetto Venezia è una manifestazione di grande fascino che anima le strade, le piazze e i canali del più suggestivo quartiere della città, la Venezia Nuova. Scampato agli sventramenti di epoca fascista, e colpito meno di altri settori dai bombardamenti del 1943-1944, il rione mantiene un’atmosfera colorita e seducente, evocando l’epoca delle grandi fortune mercantili del porto di Livorno. Edificato dal 1629 come prima espansione della città medicea, su progetto dell’architetto senese Giovanni Battista Santi, il quartiere sorse su un’area paludosa con tecniche (e manodopera) importate dalla Serenissima, andando ad assumere il caratteristico nome di Venezia Nuova, anche in virtù della fitta rete di canali navigabili, tutt’ora ben leggibile.
Il festival, organizzato da Fondazione LEM (Livorno Euro Mediterranea) e Comune di Livorno, si svolge abitualmente nella prima settimana di agosto e attira un folto ed eterogeneo pubblico con un intenso programma che include conferenze, incontri, reading musicali, esibizioni di artisti di strada, danza, teatro laboratori e molto altro. Di grande richiamo i concerti, a ingresso libero, sugli scenografici palcoscenici allestiti presso la Fortezza Vecchia, nella Piazza del Luogo Pio e alla Fortezza Nuova, ma anche sui bei ponti seicenteschi, nelle piazzette e negli scali, memoria tangibile dell’antica anima mercantile del quartiere. Effetto Venezia, tuttavia, è anche l’occasione per riscoprire alcuni siti di grande interesse artistico, andando ad esplorare aspetti spesso trascurati della città labronica, ancora relegata, nella percezione comune, a destinazione poco accattivante sotto il profilo storico e culturale.
Il Museo della Città di Livorno (Polo Culturale Bottini dell’Olio – Piazza del Luogo Pio), con la sua sezione di arte contemporanea recentemente riallestita, offre aperture straordinarie in orario serale, fino alla mezzanotte, con tre nuovi progetti espositivi di varia ispirazione. La struttura museale è ospitata nel complesso settecentesco dei Bottini dell’Olio, un esteso magazzino oleario (si dice potesse ospitare ventiquattromila barili) voluto dal granduca Cosimo III (1642-1723) corredato di un pregevole edificio ecclesiastico, già intitolato all’Assunta e a San Giuseppe ed oggi sconsacrato, dall’interno riccamente decorato a stucchi: fu eretto, tra 1713 e 1715, dall’architetto fiorentino Giovanni Maria del Fantasia (1670-1743), protagonista del rinnovamento urbano della città in chiave tardobarocca, che vi eresse la propria sepoltura.
I percorsi serali in battello (partenza presso gli Scali del Monte Pio) permettono di immergersi nel volto più autentico della città, in un percorso tra i fossi illuminati a festa che ne rivela la natura di vero e proprio sistema viario, pensato per movimentare le merci, tra cantine a fior d’acqua e antichi scalandroni (le tipiche rampe lastricate che davano l’accesso ai magazzini ed agli empori sulla terraferma).
Spiccano, su tutto, le due chiese monumentali che si ritrovano integrate, a pieno titolo, nei percorsi di Effetto Venezia: Santa Caterina e San Ferdinando Re, aperte fino a tarda ora con eventi e visite guidate. La prima domina il paesaggio urbano della Venezia Nuova con la sua alta cupola ottagonale, ed ospita, durante la manifestazione, concerti di musica sacra e incontri sul tema del significato spirituale del suono. Eretta dal 1720 per i padri domenicani, su un terreno paludoso noto come “Cimitero dei Poveri”, Santa Caterina conobbe una vicenda costruttiva travagliata, condizionata da continui problemi di ordine economico. Il cantiere si trascinò fino al 1756 con l’avvicendarsi di vari architetti, dal già nominato Giovanni del Fantasia, al quale si deve il progetto iniziale della chiesa a pianta centrale, al più noto Ferdinando Fuga (1699-1782), inviato a Livorno dal priore di San Marco di Firenze, per risolvere i precoci problemi statici della cupola. L’interno è caratterizzato da un’estesa decorazione ad affresco, in gran parte ottocentesca, ma inoltrandosi tra le grandi cappelle si incontreranno anche gli affreschi settecenteschi del livornese Giuseppe Maria Terreni (1739-1811), nelle cappelle dedicate a Santa Caterina e alla Madonna del Rosario. Sulla parete di fondo del coro, dietro il ricco altare maggiore realizzato nel 1758 dal carrarese Bartolomeo Casserini (†1773), si staglia (in posizione purtroppo assai elevata) la grande tavola con l’Incoronazione della Vergine di Giorgio Vasari (1511-1574), dipinta attorno al 1571 per la cappella di San Michele in Vaticano, vittima delle spoliazioni napoleoniche ed acquistata, nel 1799, dall’imprenditore livornese Filippo Filicchi, la cui famiglia ne fece dono alla chiesa domenicana (1818). A Filicchi, primo console statunitense in Italia, si deve anche la frequentazione (ricordata da una lapide) di santa Elisabetta Seton (1774-1821), prima statunitense ad essere canonizzata dalla chiesa cattolica.
Di grandissimo interesse, infine, la chiesa di San Ferdinando Re, vivida testimonianza del profondo radicamento, nel contesto livornese, del particolare culto dell’Ordine Trinitario, antica comunità di religiosi (fondata nel 1174), la cui vocazione missionaria era, ed è ancora oggi, rivolta alla liberazione degli schiavi. Giunti nel Granducato di Toscana nel 1653, i Trinitari francesi preferirono insediarsi nella vivace e cosmopolita Livorno, piuttosto che a Firenze, intuendo come l’interculturalità della città portuale, con la forte presenza di comunità orientali ed ebraiche, potesse rivelarsi strategica per la loro attività di redenzione, rivolta in massima parte al riscatto degli schiavi cristiani trattenuti nelle città nordafricane, da Algeri a Tunisi e Tripoli.
La costruzione della nuova chiesa trinitaria, detta anche “della Crocetta” (dallo stemma dell’ordine), iniziò nel 1711, su progetto del grande scultore e architetto fiorentino Giovanni Battista Foggini (1652-1725), e fu portata velocemente a conclusione (1716) dal solito Giovanni del Fantasia. La sobrietà dell’esterno, con la sua facciata non finita, non lascia intravedere la sontuosa decorazione dell’interno, impreziosito da una maestosa sequenza di sculture settecentesche in marmo, eseguite da uno dei più noti allievi del Foggini, il carrarese Giovanni Baratta (1670-1747) e dal nipote e continuatore Giovanni Antonio Cybei (1706-1784).
Lo sguardo è subito attirato dalla scultorea presenza dell’altare maggiore, fulcro visivo e devozionale dell’intero edificio; eretto da Baratta tra 1711 e 1717, l’altare colpisce per la sua monumentalità e per il senso di movimento, accentuato dall’inclinazione verso l’esterno delle colonne e della trabeazione, e dal contrasto tra marmi bianchi e policromi. Al centro del tutto si trova uno dei capolavori della scultura del Settecento in Toscana, il gruppo con l’Angelo che libera due schiavi, sunto mirabile delle finalità missionarie dei Trinitari. Baratta costruisce abilmente un’immagine di grande eleganza e di immediata leggibilità, unendo in un mirabile insieme tre figure a tutto tondo, quasi sospese in una dimensione tra il terreno e il divino, al centro della chiesa. Il grande angelo, sorretto da un etereo cumulo di nubi, spezza le catene ad uno schiavo, che sembra quasi ascendere verso il sovrastante motivo della Gloria dello Spirito Santo, esaltata da una raggiera in metallo dorato. Un altro schiavo, dai tratti inconfondibilmente moreschi, attende a mani giunte la liberazione, ma i suoi piedi sono ancora costretti da grandi ceppi, a significare forse il legame vincolante con il credo islamico (che gli europei del tempo avrebbero definito senza esitazione “falsa fede”).
Questo culmine emotivo, nel quale scultura e architettura appaiono intimamente unite e funzionali l’una all’altra, si attenua nei raffinatissimi ovali a bassorilievo di Baratta con le virtù teologali e cardinali (Speranza, Fede, Giustizia, Temperanza, Prudenza e Fortezza) che circondano l’altare e accompagnano idealmente verso le cappelle della navata. La seconda cappella sinistra, dedicata a San Pietro, fu realizzata da Baratta tra 1721 e 1723, ed impreziosita da una pala d’altare in marmo di squisita fattura, con la Consegna delle Chiavi a San Pietro, mentre sui soprapporta laterali si ammirano due preziosi ovali con la celebre scena del Domine Quo Vadis? e la Crocifissione di San Pietro.
La cappella prospicente, intitolata ai Santi Fondatori (1768), fu invece decorata, dopo la scomparsa di Baratta, dal nipote Giovanni Antonio Cybei, primo direttore dell’Accademia di Belle Arti di Carrara. In piena continuità, stilistica e visiva, con quanto fatto dal più anziano maestro, Cybei scolpì per l’altare un rilievo in marmo con i fondatori dell’ordine Trinitario, Felice di Valois (1127-1212) e Giovanni de Matha (1160-1213) in atto di adorazione ai piedi della Santissima Trinità. La parte superiore dell’opera è direttamente ispirata alla grande tela con la Liberazione degli Schiavi, eseguita nel 1750 da Corrado Giaquinto (1703-1766) per la Trinità degli Spagnoli a Roma. Occorre a questo punto sottolineare come la chiesa romana fosse di pertinenza dei Trinitari spagnoli, mentre lo stesso Cybei, che studiò pittura nello studio di Giaquinto proprio nel 1750-1751, fosse in rapporto con i Trinitari livornesi già da qualche anno. Nella sua peculiare qualifica di scultore e sacerdote, infatti, Cybei nutriva particolare affetto per i religiosi della Crocetta, ai quali aveva promesso di realizzare un altare a proprie spese sin dal 1750, ed è a lui che si deve l’arrivo di questo particolare culto anche nella città di Carrara, dove ancora esiste un Altare del Riscatto (1768, nel duomo di Sant’Andrea), ai piedi del quale egli volle essere sepolto.
La navata centrale è infine arricchita da quattro statue a figura intera di altissima qualità, rappresentanti altrettanti sovrani santificati, in rappresentanza di quattro nazioni europee: San Ferdinando di Castiglia (per la Spagna) e Sant’Edoardo (detto Il Confessore, per l’Inghilterra), furono eseguite dal Baratta, mentre San Luigi (per la Francia) e Sant’Enrico Imperatore (per l’Impero), da Cybei.
L’insieme, completato da una luminosa decorazione a stucco e recentemente restaurato, è di grande fascino; sono poche, e di grandissimo prestigio, le decorazioni ecclesiastiche accostabili a quella di San Ferdinando (per grandiosità della decorazione marmorea e della statuaria) nella toscana del Settecento, e la chiesa trinitaria di Livorno (ancora officiata dall’ordine) contribuisce in maniera decisiva a restituire a Livorno quella centralità culturale che le è propria.