L’arte italiana del XIX secolo e alcune sue propaggini che si sono avventurate nei decenni del secolo successivo hanno goduto a lungo in Italia di una tiepida fortuna. Il rifiuto della critica formalista per tutti i moti idealizzanti della cultura accusati di essere letterari (si pensi alla ben nota condanna di Roberto Longhi) e il voler misurare tutte le esperienze italiane con il metro di giudizio offerto dalle coeve esperienze francesi furono solo alcune delle principali motivazioni che non permisero la comprensione e l’accettazione di un periodo che invece fu straordinariamente prodigo di novità e che pose non poche premesse per alcuni risvolti dell’arte del nuovo secolo. Fra le vittime illustri di questi preconcetti figura anche il Divisionismo, rimasto per decenni relegato nei sottoscala della cultura italiana, come evidenziava Raffaele Monti, per essere lentamente riabilitato solamente a partire dagli anni Sessanta del XX secolo.
Studio dopo studio, mostra dopo mostra, è stato riscoperto questo complesso fenomeno artistico e ai divisionisti storici del nord Italia si sono a mano a mano aggiunti anche tutti gli altri protagonisti delle fondamentali esperienze toscane e liguri, quella piemontese e romana, riconsegnando finalmente il Divisionismo e i suoi artisti alla storia dell’arte. E se di solito, quando un movimento artistico viene rivalutato solo con notevole ritardo, le opere più importanti sono a quel punto in collezione privata o andate disperse, possiamo ben rallegrarci che questo non sia accaduto per il Divisionismo.
Infatti, quando si pensava che tutti i giochi collezionistici fossero ormai fatti, una lungimirante fondazione, la Fondazione Cassa di Risparmi di Tortona, ha dato vita in meno di due decenni alla più importante collezione sul Divisionismo, e di fatto all’unico museo interamente dedicato a questo movimento in Italia.
Ereditando le opere della realtà bancaria da cui prende il nome, il nucleo originario di questa straordinaria collezione poteva contare su alcune opere di Giuseppe Pellizza da Volpedo, importante protagonista della pittura divisionista e sociale, nato a pochi chilometri da Tortona. Con acquisizioni mirate, la Fondazione ha voluto valorizzare il primigenio nucleo del suo genius locii, il contesto in cui operò, gli allievi, le frequentazioni. Ma questo disegno ha preso dimensioni sempre più vaste, e collegamento dopo collegamento ha dato vita a questo straordinario spazio dedicato al Divisionismo, dove non solo ogni acquisizione risponde ad altissimi criteri di qualità, ma niente è lascito al caso come l’attenta scelta di cornici d’epoca, per non parlare dell’edificio medievale con vestigia romane che ospita il museo, raccordato da un’appendice architettonica novecentesca. La pinacoteca non è certo un museo immenso, ma nei suoi limitati spazi riesce a rendere con grande chiarezza la complessità di un fenomeno artistico che si declinò in differenti luoghi geografici e in modalità decisamente variegate e contraddittorie.
Come è ben noto, Vittore Grubicy De Dragon, importante figura di mercante-artista, fu “l’apostolo del Divisionismo” (come lo battezzò Fortunato Bellonzi). Il lombardo attraverso i suoi soggiorni all’estero e la lettura di giornali specialistici, era venuto a conoscenza (seppur sommaria) dalla teoria scientifica dei colori e della sua applicazione in pittura con la divisione del colore e la ricerca di effetti luministici. Fu attraverso i suoi proseliti che una compagine di artisti lombardi, alla fine del XIX secolo, fece proprie queste ricerche declinandole ognuno secondo le proprie sensibilità. In Lombardia il terreno per il Divisionismo fu particolarmente fertile, poiché questi artisti formati nel solco della Scapigliatura avevano già fatte proprie le ricerche antiaccademiche sulla resa di un’atmosfera vibratile di colore e di figure immerse nella luce. Fra questi ovviamente compaiono Giovanni Segantini, Giuseppe Previati, Angelo Morbelli ed Emilio Longoni.
In tele come Incensum Domino! o Vecchine Curiose, Morbelli inizia a mettere a profitto un suo personale Divisionismo, più puntiforme, dove le serrate composizioni architettoniche vengono rese vibranti dalla ricerca di effetti luministici che danno una resa quasi tattile del pulviscolo atmosferico colpito dai raggi di luce. Le sue masse nere divengono così vibratili, senza però perdere mai la loro plasticità. Il tema della vecchiaia, assolutamente congeniale al pittore dal carattere riflessivo, venne a lungo sondato da Morbelli, che dal Pio Albergo Trivulzio, celebre fondazione di carità milanese, aveva attinto per il suo repertorio iconografico fin dal 1883 con Giorni Ultimi, e a Tortona trova in Mi ricordo quand’ero fanciulla un formidabile saggio.
Giuseppe Previati fu tra i divisionisti il più idealista, allontanandosi in maniera più radicale degli altri dal dato naturale, per dar vita ad opere da sogno e dalle forti valenze simboliste. La criticatissima Maternità del 1891 è il manifesto di questa pittura. In Penombre, dipinto tra il 1889 e il 1891, Previati si muove ancora tra la cultura tardoromantica-realista e la sua nuova aspirazione per una pittura trascendentale, mentre nelle altre opere presenti a Tortona, La via del Calvario e Adorazione dei Magi, è già arrivato a quella pennellata scomposta filiforme in cui il colore diviene materia luminosa e impalpabile, che accentua il carattere lirico e astratto delle sue opere. Giovanni Segantini, invece, appronta un Divisionismo intuitivo, il cui interesse è tutto teso a catturare il segreto della luce, così importante per il pittore trentino, poiché è il segreto primordiale a cui tutti gli esseri viventi sono fatalmente legati, e cerniera fra la natura terreste e la verità celeste. A Tortona si conserva un disegno di Ave Maria a Trasbordo, opera nodale nella carriera segantiniana e la Raccolta del Fieno, uno studio dell’omonimo dipinto conservato a Saint Moritz.
Del genio locale Giuseppe Pellizza da Volpedo è possibile cogliere gran parte della parabola artistica, dalle reminiscenze fattoriane in opere come la Donna dell’Emigrato del 1888, alle simpatie per una pittura di forte impegno politico e di socialismo militante, alla quale si era accostato grazie alle frequentazioni con l’amico livornese Plinio Nomellini, fino alla scomposizione scientifica del colore in opere come la Sacra Famiglia o Il ritratto di Giovanni Cantù, per poi arrivare a una pittura che ha l’ardire di diventare assoluta, universale e paradigmatica,di un’idea come è per l’appunto l’opera Il Ponte. Il dipinto, che solo apparentemente potrebbe apparirci come un quadro di veduta, diviene invece un saggio dal portato allegorico, e se in un primo tempo il piemontese ne aveva dato ancora una valenza umanistica, dove il ponte diveniva simbolo, come esso scrive “dell’attuale architettura legislativa sociale che sostiene chi ha e schiaccia chi non ha”, successivamente vi reinterviene operando una traslazione nel messaggio, diventando una verità ultima del mondo in cui “non solo è ponte l’opera architettonica che grandeggia; anche il bambino che lega i genitori è ponte; ponte è il branco di pecore che sta tra il pastorello e la pastorella; ponte gli uccelli migranti e le nubi che varcano monti e gli oceani”.
All’alba del nuovo secolo, la pittura divisionista si offre agli artisti con molteplici valenze: la possibilità di sondare l’insondabile, l’immateriale, ma anche come opportunità assai più terrigna, con i piedi ben calcati per terra, affrontando i nuovi aneliti di libertà, di lotta di classe, gli sconvolgimenti e la vita degli ultimi. Plinio Nomellini fu in questo grande precorritore, con Lo sciopero prima, Mattino in Officina e poi Piazza Caricamento (anticipatrice del Quarto stato), la tematica del lavoro e delle lotte proletarie diventa protagonista, tanto da valergli anche un’incarcerazione per sovversione anarchica. Ma non è il solo a volgersi verso tematiche sociali, a Tortona si trovano anche un pregevole dipinto di un altro livornese, Gino Romiti, la Venditrice di Frutta di Emilio Longoni e Le cucine economiche di Attilio Pusterla.
Ma le rivendicazioni sociali, così vive nell’ultimo decennio dell’Ottocento, subirono uno spiazzante arresto quando nel 1898 il generale Bava Beccaris sedò con un’inaudita carneficina i Moti di Milano, scatenatisi per le condizioni di lavoro e l’innalzamento del prezzo del pane, a terra restarono oltre 80 vittime ed un numero incalcolabile di feriti.
Anche se si è soliti individuare nel 1898 la fine dell’esperienza storica del Divisionismo, essa non si esaurisce certamente con la fine del secolo, ma anzi le sue ramificazioni si protraggono anche nei primi decenni del secolo successivo, dove una generazione di nuovi artisti fa propria la pennellata divisa per arrivare a soluzioni anche molto diverse. Nell’appendice moderna del museo si può seguire il cammino del Divisionismo con altre opere capitali dello stesso Plinio Nomellini, come Il Golfo di Genova (Nomellini instradò verso il Divisionismo pittori attivi in Liguria come Giorgio Kienerk e Rubaldo Merello), ma anche i Bagni Pancaldi di Alfredo Müller, dipinto che la storiografia rintraccia come fondamentale per un’intera generazione di artisti toscani e in particolare livornesi, fra cui Llewlyn Lloyd, Baracchini Caputi e Raffaello Gambogi, tutti presenti in collezione, che dal concittadino cosmopolita poterono imparare come sorpassare la lezione macchiaiola per aggiornarla sui dettami francesi. La pennellata divisa diventa sempre più frizzante ed elettrica, portatrice di energie in movimento come per Giuseppe Cominetti nelle sue scene di balli sfrenati o di guerra.
Del resto, il nuovo secolo si era aperto con lezioni di Giacomo Balla, che proprio in Piemonte si era avvicinato al Divisionismo, e alla cui scuola studiarono i pittori che in seguito diedero vita alla nuova compagine futurista, come Gino Severini, Umberto Boccioni e Mario Sironi. La pennellata divisa diviene quindi espressione di quella energia che connoterà il movimento Futurista e che a Tortona è possibile rivivere attraverso alcune opere di Boccioni, come il Ritratto di Armando Mazza e il disegno Case in costruzione, che sembrano preannunciare il celebre dipinto La città che Sale custodito al MoMa.
Il Divisionismo alimentò la pittura Futurista, ma si inerpicò anche per strade autonome come nel caso dell’altro pittore tortonese Angelo Barabino, si declinò in composizioni di gusto liberty con Galileo Chini, o divenne quasi una professione di fede con i nuovi allievi di Grubicy di cui il più fedele fu Benvenuto Benvenuti.
Il museo, corredato poi di un’importante biblioteca specialistica, si è ritagliato il ruolo di uno dei più prestigiosi centro studi per la comprensione dell’arte italiana a cavallo tra XIX e XX secolo. La pinacoteca si pone come uno dei progetti culturali più avveduti avviati negli ultimi tempi nel nostro paese, eccezionale per i caratteri di sistematicità e unitarietà, ricerca e qualità, coniugate all’interesse di valorizzare la cultura di un territorio e riallacciarla con quella nazionale, in un contesto né effimero né solidificato, ma anzi magmatico e in continua crescita, non poca cosa per una nazione anestetizzata da mostre blockbuster orientate al facile successo.
L'autore di questo articolo: Jacopo Suggi
Nato a Livorno nel 1989, dopo gli studi in storia dell'arte prima a Pisa e poi a Bologna ho avuto svariate esperienze in musei e mostre, dall'arte contemporanea, alle grandi tele di Fattori, passando per le stampe giapponesi e toccando fossili e minerali, cercando sempre la maniera migliore di comunicare il nostro straordinario patrimonio.