I due borghi dei capolavori tra le montagne del Trentino: Tiarno di Sopra e Tiarno di Sotto


Tiarno di Sopra e Tiarno di Sotto sono due borghi della Valle di Ledro, in Trentino, che insieme fanno meno di duemila abitanti, ma le loro chiese sono piene di opere importanti, tra cui anche un capolavoro di Bernardo Strozzi. Per quali ragioni? 

Per far sapere alla gente che esiste hanno dovuto portarla in un museo famoso, qualche chilometro più a valle, al Mart di Rovereto, e organizzare una mostra tutta per lei, dopo un restauro. Altrimenti, la pala di Bernardo Strozzi avrebbe continuato a starsene nascosta, lontana dalle folle, protetta nella sua chiesetta tra le montagne, a Tiarno di Sopra, mille abitanti sparpagliati in un grumo di case dai tetti spioventi alla fine della valle di Ledro. Oppure all’inizio, se si arriva qui da Storo valicando il passo d’Ampola. Si sale in mezzo ai profili aguzzi e minacciosi delle Giudicarie, si procede per qualche chilometro in mezzo a questi sassi coperti di verde, in mezzo al niente, seguendo i tornanti della statale di Loppio, chilometri di boschi, abeti, muri di roccia, reti paramassi, i crinali dei monti che ti coprono la vista di quello che c’è dietro e sembrano messi lì apposta per sbarrarti la via. Poi, la strada comincia a scendere. Le curve diventano più dolci. I boschi prendono a farsi meno fitti e cedono il posto ai prati: prima qualche piccola distesa d’erba lungo i bordi della strada, poi sempre più grandi, fino al lago d’Ampola e oltre. Sono come i primi sprazzi d’azzurro dopo un pomeriggio di temporale. E alla fine ecco che si scende ancora più giù, i monti s’aprono, arriva la valle, arriva come il sole alla fine della tempesta, come un finale felice alla fine d’un sogno tormentato. Le prime case di Tiarno di Sopra ti dicono che il viaggio è finito. T’immagini cosa dovevano provare i viaggiatori d’una volta, quando non c’erano i mezzi di trasporto, quando oltrepassare le Alpi era un’impresa pericolosa che richiedeva giorni di cammino senza sapere cosa ti sarebbe accaduto durante il viaggio. E t’immagini cosa dovevano provare alla vista delle case dopo le montagne. Un senso di liberazione.

Tiarno di Sopra ha un borgo gemello che la guarda da poco più in basso. Si chiama, ovviamente, Tiarno di Sotto, e ci vivono poco più di settecento persone. Una volta, nel Medioevo, gli abitanti stavano più a monte, attorno alla chiesetta di San Giorgio, aggrappata alla cima d’un colle che guarda dall’alto i due paesi: poi, per qualche motivo, decisero di scendere, formando i due villaggi, che distano meno di mille metri l’uno dall’altro. E in tempi antichi non dovevano essere così diversi da come li vediamo oggi. Due borghi con case di sassi in mezzo ai prati, lontani da tutti i grandi centri: solo nell’Ottocento venne dapprima aperto l’asse che unisce la val di Ledro a Storo, e poi fu costruita la vertiginosa via del Ponale, quella che porta al lago di Garda, oggi resa inutile dalle gallerie della statale e trasformata in un sentiero per turisti. Con l’apertura delle nuove strade, la valle era collegata al resto del mondo. E qualche anno più tardi, nel 1866, si sarebbe trovata al centro dell’invasione garibaldina di Trentino: Garibaldi voleva aprirsi la strada per Trento passando in mezzo a queste montagne dimenticate, e aveva avuto ragione. Passate le Giudicarie, preso il forte d’Ampola, sconfitti gli austriaci a Bezzecca, la via per Trento era spianata. Però, tolto questo episodio, per secoli la val di Ledro era rimasta isolata, e da queste parti non è mai successo granché di memorabile. Al massimo qualche passaggio d’eserciti, ma niente di quelle cose che fanno scrivere pagine dense sui libri di storia. Le vicende più appassionanti che gli archivî della valle registrano nei secoli precedenti sono le dispute di confine tra gli abitanti. Ce n’è anche una tra quelli di Tiarno di Sopra e i vicini di Tiarno di Sotto. La vita, allora, doveva scorrere tranquilla. Eppure, questi due borghi così riparati hanno una caratteristica singolare: le loro chiese sono colme di opere importanti. Opere che nessuno immaginerebbe di trovare in mezzo alle montagne d’una valle laterale del Trentino. Opere degne delle chiese d’una grande città.

Il Lago di Ledro
Il Lago di Ledro
La Valle di Ledro
La Valle di Ledro
Tiarno di Sopra. Foto: Wikimedia/Syrio
Tiarno di Sopra. Foto: Wikimedia/Syrio
Tiarno di Sotto. Foto: Wikimedia/Syrio
Tiarno di Sotto. Foto: Wikimedia/Syrio
La chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Tiarno di Sopra. Foto: BeWeB
La chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Tiarno di Sopra. Foto: BeWeB
Interno della chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Tiarno di Sopra, l'altare con la Pala di Bernardo Strozzi
Interno della chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Tiarno di Sopra, l’altare con la Pala di Bernardo Strozzi
La chiesa di San Bartolomeo a Tiarno di Sotto
La chiesa di San Bartolomeo a Tiarno di Sotto
Interno della chiesa di San Bartolomeo a Tiarno di Sotto
Interno della chiesa di San Bartolomeo a Tiarno di Sotto

C’è, tanto per cominciare, la pala di Bernardo Strozzi, che raffigura una Madonna in gloria con Gesù Bambino e una teoria di santi: Pietro in primo piano, poi Bartolomeo, Simone e Antonio abate più indietro, e in abisso i ritratti dei due committenti. Un dipinto spettacolare, una delle più ispirate realizzazioni del pittore genovese, citata in tutte le monografie. Un sogno blu ravvivato dalle tinte del mantello della Vergine e della veste di san Pietro: un oltremare scintillante di straripante modernità, privo d’eguali nella produzione di Bernardo Strozzi. Alla mostra del Mart avevano messo la pala vicina a un’opera di Yves Klein, per dire. Ovvero, vicino all’inventore del blu più famoso del mondo. Una pala tanto importante da segnare, s’è scritto, l’avvio della pittura barocca in Trentino. Incastonata dentro un altare nero che ne ravviva ed esalta i colori, un altare costruito coi marmi scuri estratti da un’antica cava vicina al lago d’Ampola, evidentemente piccola e poco sfruttata dal momento che nessuno più la ricorda. Ma c’è anche altro, nella chiesetta dei Santi Pietro e Paolo: un Cristo in croce con la Maddalena in passato assegnato a Bernardo Strozzi, poi però dato da Camillo Manzitti, uno dei maggiori studiosi del prete genovese, al più fedele dei suoi allievi, il padovano Ermanno Stroiffi, artista che lavorò molto tra Venezia e Mantova. C’è un Battesimo di Cristo di uno dei più spericolati pittori tedeschi del Seicento, Joseph Heintz il Giovane, una sorta di Bosch della Baviera che qui si produce in una composizione piuttosto compassata e regolare nel registro inferiore, ma turbinosa e movimentatissima nella parte alta, con l’apparizione di Dio in mezzo a un vortice di angeli e di luce abbagliante. Ci sono addirittura due opere di Andrea Michieli, meglio noto come Andrea Vicentino, che fu tra i più valenti collaboratori del Tintoretto, e che per Tiarno di Sopra dipinse una Madonna col Bambino in trono, accompagnata da due angeli musicanti e da quattro santi, e cioè Rocco, Pietro, Sebastiano e Bartolomeo, e una Madonna del Rosario con san Domenico, san Pietro martire, santa Caterina, sant’Agata, santa Lucia e santa Apollonia. Stando ai documenti, in passato la chiesa doveva essere ornata anche di opere di Jacopo Bassano, delle quali però non abbiamo più notizia.

Le sorprese continuano poi a Tiarno di Sotto, nella chiesa di San Bartolomeo. Quella “col secondo campanile più alto del Trentino”, tengono a sottolineare i locali, che vanno particolarmente orgogliosi di quel pennone ottocentesco alto settantadue metri. Dentro c’è di tutto. Se si alza lo sguardo s’incontrerà, un poco al buio perché l’illuminazione della chiesa non aiuta, un’interessante Ultima cena, unica opera conosciuta d’un pittore enigmatico, tale Ferdinando Valdambrini, artista forse di origini lombarde, che porta lo stesso nome d’un musicista che i documenti secenteschi definiscono “romano”, e che secondo alcuni potrebbe esser la stessa persona, dato che il nostro pittore si firma “Romanus” anche nella grande tela di Tiarno di Sotto. È un’opera dal gusto un po’ retrò, si potrebbe dire: è datata 1666, ma rivolge lo sguardo all’indietro, alla pittura cinquecentesca, alla stagione del Rinascimento veneziano, alle composizioni del Tintoretto, con tanto di citazioni dirette. E poi, nella stessa chiesa, prima d’arrivare all’altar maggiore, s’indugia su di una pala di Martino Teofilo Polacco (che però un tempo era al Duomo di Trento), su di una Discesa dello Spirito santo ch’è forse opera di Ignazio Unterbeger, sul soffitto decorato a inizio Novecento dal mantovano Agostino Aldi, fino ad arrivare allo spettacolare polittico veneziano del 1587, un’opera della quale ancora ci sfugge l’autore, ma basterà ricordare che a lungo è stata attribuita allo stesso Tintoretto per avere prova della qualità di questa macchina d’altare che mai ci s’aspetterebbe di trovare nella chiesa d’un borgo celato tra le montagne.

È una concentrazione d’opere d’arte rara per due borghi di montagna che insieme fanno meno di duemila abitanti. Chi conosce gli artisti sparsi nelle due chiese non potrà far a meno di notare che tutte le opere sono legate da un elemento comune: sono state tutte dipinte da artisti che, in un qualche momento della loro vita, si trovavano a Venezia. Si viene allora a sapere che in antico questa valle, e questi due borghi in particolare, godevano d’un legame speciale con la laguna. Dapprima si trattò d’un legame politico: nel Quattrocento, quando la val di Ledro e Riva del Garda furono conquistate dalla Repubblica di Venezia, i rivani s’adoperarono in tutti i modi per far valere i loro diritti sulla valle, cercando d’ottenere dalla Serenissima la facoltà d’amministrare la giustizia ordinaria sui territorî ledrensi. Fatto che, ha spiegato lo storico Silvano Groff, “sottintende una serie di motivazioni politiche ed economiche più ampie, legate al ruolo stesso della città rispetto al contado”. La valle però riuscì a mantenere una certa autonomia, a dispetto delle richieste dei rivani. E poi, il legame da politico diventò economico, poiché la valle si rivelò un’importante esportatrice di materie prime ch’erano fondamentali per Venezia. Dai dintorni del lago di Ledro arrivavano in laguna pelli, lane e prodotti alimentari, ma soprattutto legname e pece per l’arsenale: il legname per costruire le imbarcazioni, e la pece, la “pegola” come la chiamavano i veneziani, che serviva per il calafataggio delle navi, ovvero l’insieme di operazioni che consentivano di rendere impermeabili gli scafi, le sartie, le corde. Era un bene talmente prezioso da meritare una citazione nella Commedia di Dante, al canto XXI dell’Inferno, dove la pece serve a dare al lettore un termine di paragone utile per farsi un’idea della bolgia in cui sono immersi i barattieri: “Quale nell’arzanà de’ Viniziani / bolle l’inverno la tenace pece / a rimpalmare i legni lor non sani, / ché navicar non ponno in quella vece / […] / tal, non per foco ma per divin’ arte, / bollia là giuso una pegola spessa, / che ’nviscava la ripa d’ogne parte”.

La mostra con la pala di Bernardo Strozzi al Mart di Rovereto
La mostra con la pala di Bernardo Strozzi al Mart di Rovereto
La mostra con la pala di Bernardo Strozzi al Mart di Rovereto
La mostra con la pala di Bernardo Strozzi al Mart di Rovereto
Bernardo Strozzi, Madonna in gloria col Bambino e i santi Pietro, Simone, Bartolomeo e Antonio Abate (1630-1640; olio su tela, 256 x 164 cm; Tiarno di Sopra, Santi Pietro e Paolo)
Bernardo Strozzi, Madonna in gloria col Bambino e i santi Pietro, Simone, Bartolomeo e Antonio Abate (1630-1640; olio su tela, 256 x 164 cm; Tiarno di Sopra, Santi Pietro e Paolo)
Ermanno Stroiffi, Crocifissione con la Maddalena (1640 circa; olio su tela; Tiarno di Sopra, Santi Pietro e Paolo)
Ermanno Stroiffi, Crocifissione con la Maddalena (1640 circa; olio su tela, 250 x 175 cm; Tiarno di Sopra, Santi Pietro e Paolo)
Ferdinando Valdambrini, Ultima cena (1666; olio su tela, 152 x 254 cm; Tiarno di Sotto, San Bartolomeo)
Ferdinando Valdambrini, Ultima cena (1666; olio su tela, 152 x 254 cm; Tiarno di Sotto, San Bartolomeo)
Pittore veneto, Polittico: la Madonna col Bambino e san Giovannino, san Bartolomeo, san Giorgio, san Pietro, san Paolo e la Crocifissione (1587; olio su tela; Tiarno di Sotto, San Bartolomeo)
Pittore veneto, Polittico: la Madonna col Bambino e san Giovannino, san Bartolomeo, san Giorgio, san Pietro, san Paolo e la Crocifissione (1587; olio su tela; Tiarno di Sotto, San Bartolomeo)

Tiarno di Sopra e Tiarno di Sotto erano i principali centri di produzione della pece in val di Ledro. Questa sostanza densa e appiccicosa, ottenuta dalla resina dei pini silvestri che abbondano nei boschi attorno ai due paesi, ribolliva nei forni della valle, sgorgava dai colatoi e veniva raccolta in recipienti che raggiungevano Venezia partendo a dorso di mulo dalle ripide vie di montagna. La Serenissima costruì le sue fortune anche sul lavoro dei peciaioli della valle di Ledro che tutti i giorni sudavano tra boschi e forni, e a sua volta poté contare su tanta manodopera ledrense che abbandonava i borghi attorno al lago e scendeva a Venezia per lavorare. Altri valligiani, invece, approfittavano di questi legami economici per commerciare con la capitale della Repubblica. Simone Sala, per esempio: fu lui, con suo fratello Bortolo, a commissionare la pala con la Madonna in gloria a Bernardo Strozzi, e a corrispondere al pittore ligure un “magno pretio”, apprendiamo dai documenti, per donarla alla chiesa del borgo natale, per mostrare ai compaesani dov’era arrivato. E a volere che il ritratto suo e di Bortolo campeggiasse sotto l’effigie della Madonna: caso unico in tutta la produzione dell’artista genovese. Sono gli unici committenti delle opere di Tiarno dei quali c’è rimasta una memoria viva. Di altri, come il committente dell’Ultima cena di Valdambrini, è rimasto il ritratto, ma non conosciamo il nome. Altri invece son rimasti invischiati nella pece della storia. Dobbiamo però immaginare che l’enclave ledrense a Venezia fosse vivace, attiva, rumorosa: i trentini erano una delle comunità più folte della Serenissima, e scorrendo i documenti storici i cognomi tipici della valle di Ledro sono attestati con buona frequenza.

Poi, col declino della Repubblica, finì anche la prosperità della valle, che tornò a essere un luogo ai margini della storia. Per tanti anni, tra Ottocento e Novecento, la valle di Ledro sarebbe diventata anche terra d’emigrazione. Il benessere sarebbe tornato soltanto nel dopoguerra, più tardi rispetto al resto d’Italia, dapprima con le ricadute dello sviluppo industriale del Trentino, favorito dalla sua posizione, vicino alle grandi città dell’Italia del nord e proiettato verso la Germania, e poi con l’avvio del turismo ch’è oggi una delle prime e più preziose risorse economiche della valle. Il turismo è oggi ciò che un tempo era la pece, ciò che un tempo erano i commerci che la valle intratteneva con Venezia, eco di quelle fortune che i ricchi ledrensi di quattro secoli fa vollero esibire davanti ai loro conterranei inzeppando di magnifiche opere d’arte le chiese dei due borghi dei capolavori. C’è anche questa storia, la storia della ricchezza e dell’intraprendenza di tutta una valle, nascosta in mezzo a quelle pennellate.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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