Una biblioteca famosa può essere ancora sede di nuove ed emozionanti scoperte, soprattutto laddove la quantità di materiale è talmente vasta da rendere plausibile il rinvenimento di informazioni finora addirittura insospettate. È quello che si potrebbe pensare apprendendo della straordinaria scoperta che ha interessato la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze dove, dal fondo dei manoscritti dello storico Gino Capponi (Firenze, 1792 - 1876), è riemerso un corpus di disegni risalente agli anni Dieci e Venti del Cinquecento, riconducibili alla cerchia dei fratelli Giuliano da Sangallo (Giuliano Giamberti; Firenze, 1445 - 1516) e Antonio da Sangallo (Antonio Giamberti; Firenze, 1455 - 1534), e che raffigurano alcuni monumenti ed edifici, reali e d’invenzione, e prevalentemente romani. Presentati per la prima volta in una mostra allestita presso la Sala Dante della biblioteca dal 7 luglio al 30 settembre 2022, intitolata Roma ritrovata. Disegni sconosciuti della cerchia dei Sangallo alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e curata da Anna Rebecca Sartore, Arnold Nesselrath, Simona Mammana e David Speranzi, i disegni rappresentano uno dei più significativi ritrovamenti degli ultimi tempi per la conoscenza dell’arte e della cultura del primo Cinquecento.
L’importanza di questi ventisette disegni architettonici, tracciati su sei grandi fogli di pergamena, di 495 per 395 millimetri, ai quali è stato dato il nome di “Libro Capponi”, risiede, come spiegano i curatori della rassegna della Biblioteca Nazionale Centrale, nel fatto che tra le pagine di questo libro compare quella che era a tutti gli effetti la “Roma inseguita, ricostruita, vagheggiata e sognata dagli intellettuali, dagli architetti, dagli artisti e dai collezionisti che nell’età dell’Umanesimo e del Rinascimento contribuirono a rinnovarne il mito, con la penna e con la pietra, studiandola, narrandola e disegnandola”. Nesselrath ha definito quella del Libro Capponi una “spettacolare scoperta”: secondo lo studioso tedesco, “negli ultimi decenni il Libro Capponi è forse il più importante contributo di materiale sconosciuto riguardante lo studio dell’antico”. La scoperta, sebbene pubblicata solo quest’estate in occasione della mostra, risale in realtà alla fine del 2018, quando Sartore (adesso curatrice della editio princeps dei disegni, pubblicata nel catalogo della rassegna) stava lavorando a una sua ricerca, su tutt’altri temi (come spesso accade, le scoperte rilevanti sono spesso frutto d’incontri fortuiti): la studiosa, incuriosita da un’aggiunta dattiloscritta alla copia del catalogo dei manoscritti di Gino Capponi, aveva deciso di aprire il manoscritto “Gino Capponi 386”, quello che conteneva i disegni scoperti. Sartore avrebbe poi riscontrato che fino ad allora nessuno aveva studiato quei disegni: sono stati dunque necessari più di tre anni di lavoro per studiare i fogli trovati nel fondo Capponi, comprenderne il contesto di provenienza, capire quali legami avessero con la cultura dell’epoca, tentare di formulare ipotesi sull’ambito che li aveva prodotti.
Si può parlare, a tutti gli effetti, di “carte dimenticate”, come Sartore e Speranzi chiamano questi fogli, che nel Libro Capponi si presentano come una serie adespota (ovvero senza indicazione del nome dell’autore) e anepigrafica (privi di titoli). La ricerca è partita da un appunto anonimo datato 3 giugno 1905: “Il barone di Geymüller mi dice che i disegni architettonici in sei fogli di pergamena appartenuti a casa Capponi (di via S. Sebastiano) gli sembrano di mano di Antonio da Sangallo detto il Vecchio - eseguiti quando era giovane - e che gli pare suo scritto quello che si vede nel foglio che ho segnato [segue uno spazio bianco] e che dice ‘Santo Agnolo in pescheria di Roma’”. Non sappiamo chi annotò l’attribuzione dello storico dell’arte svizzero Heinrich von Geymüller (Vienna, 1839 - Baden-Baden, 1909), ma certo è che all’inizio del XX secolo qualcuno visionò i disegni, senza tuttavia lasciar traccia negli studi (o almeno così stando a ciò che s’è potuto appurare sinora): poi, nessuno avrebbe più messo mano a quel materiale. Sartore e Speranzi hanno provato a ricostruire, sulla base delle informazioni note, la storia recente di questi fogli: rimasero tra il materiale della famiglia Capponi fino al 1905, anno in cui risultavano ancora tra le proprietà del marchese Folco Gentile Farinola, suo pronipote. Quest’ultimo chiese all’“amico di Geymüller” (così è stato ribattezzato l’anonimo estensore della nota) di studiare il contenuto dei sei fogli di pergamena, e questi a sua volta chiese una perizia allo storico dell’arte. “È possibile”, ipotizzano Sartore e Speranzi, “che l’intenzione di Farinola fosse fin da allora la vendita dei disegni, rimandata soltanto di qualche tempo. Nel 1920 infatti tutto il palazzo Capponi fu alienato alla famiglia Fabbri e dieci anni dopo la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze acquistava gli autografi e i carteggi di Gino Capponi e di Giuseppe Giusti, oltre a un piccolo numero di manoscritti di una certa importanza. Fra questi, era anche un ‘rotolo’ di ‘disegni architettonici ritenuti di Antonio da Sangallo’, cioè il Libro Capponi”. Il libro sarebbe giunto alla Biblioteca nel 1930, a seguito di un acquisto. Le pergamene sono state inventate in maniera sommaria nel 1989, ma non sono mai state oggetto di studio.
I disegni sono stati eseguiti a punta metallica, con riga e compasso, e poi ripassati a penna e inchiostro. Per attribuirli alla cerchia dei Sangallo è stato fondamentale il confronto con il Codice Barberiniano, altro insieme di fogli in cui vengono illustrati monumenti antichi che tornano anche nel Libro Capponi, e che sono accomunati dal ricorso alle stesse fonti grafiche, peraltro numerose. Il Codice Barberiniano è una delle raccolte di disegni più importanti del Rinascimento: i fogli che lo compongono furono messi assieme da Giuliano da Sangallo nel corso della sua carriera. Ci sono però differenze soprattutto concettuali che separano l’autore del Libro Capponi da Giuliano da Sangallo, su tutte, come spiega Nesselrath, il fatto che il primo fosse molto più tecnico e “architettonico”, e il secondo invece più “pittorico”. E ancora, “l’architettura reale di Giuliano da Sangallo - ponderata nell’insieme e raffinata nel dettaglio - è quasi in contrasto”, spiega Nesselrath, “con il chiassoso romanticismo dei suoi studi dall’antico. Dal Libro Capponi e dalle sue variazioni sangallesche emergono alcuni intenti più razionali e quella che sembra una dinamica ermeneutica di tali studi dietro le quinte”.
Impossibile, in questa sede, dar conto dei singoli disegni: si è dunque optato per una selezione di quelli più significativi, a cominciare dalla pianta del Pantheon, edificio col quale tutti gli architetti rinascimentali s’erano misurati. Il disegno del Libro Capponi restituisce l’interno e l’esterno del Pantheon, senza tener conto delle superfetazioni sopraggiunte nel momento in cui l’edificio venne trasformato nella chiesa di Santa Maria ad Martyres (nel 609 d.C.): è uno dei tanti disegni confrontati con quello corrispettivo del Codice Barberiniano, nei confronti del quale palesa alcune dipendenze, segno del fatto che l’icnografia (termine con cui si indica una rappresentazione in proiezione ortogonale della sezione orizzontale di un edificio) presente nel Libro Capponi segua disegni disponibili nella bottega dei Sangallo. Interessante è il disegno che illustra la fronte di un tempio corinzio ottastilo (ovvero con otto colonne) che finora non è stata identificata, forse ispirata al pronao del Pantheon: si tratta dunque d’un disegno d’invenzione. Nel timpano vediamo al centro un grande medaglione sul quale il disegnatore ha descritto una scena, e di fianco si trovano le figure di Tellus, dea della terra, e del dio Oceano: probabilmente l’autore del disegno si è ispirato a un qualche sarcofago romano con la rappresentazione delle stagioni, dal momento che le figure dei geni stagionali, come quelli che compaiono tra le figure di Tellus e Oceano, spesso s’accompagnano a queste due divinità. Per il medaglione invece è stata seguita una fonte moderna, ampiamente rivisitata: la raffigurazione è infatti tratta da uno dei tondi del cortile di Palazzo Medici Riccardi, raffigurante Dedalo aiutato da Pasifae mentre adatta le ali a Icaro, alla presenza di Artemide, a sua volta ispirato a una gemma in antico nelle collezioni medicee, oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Altro edificio d’invenzione è l’arco quadrifronte la cui struttura riprende quella dell’Arco di Giano al Foro Boario, mentre il fronte si rifà all’Arco di Tito a Roma a quello di Traiano a Benevento (nel disegno compaiono peraltro anche erbe infestanti). L’opera si distingue anche per la ricchezza di dettagli in cui il disegnatore s’è impegnato, realizzando rilievi che alludono a un’iconografia trionfale, con prigionieri legati ai lati e, al centro, una scena di battaglia tra romani e barbari ispirata, spiega Sartore, al “famoso bassorilievo del Museo di Palazzo Ducale di Mantova, che alla fine del XV secolo si trovava nella collezione del mercante romano Giovanni Ciampolini e, acquistato poi da Giulio Romano, fu spedito proprio a Mantova e usato come modello per l’affresco con La morte di Patroclo nella Sala di Troia del Palazzo Ducale”: il disegnatore poteva ritrovare il bassorilievo riprodotto in diversi libri di disegni disponibili al tempo. Un altro arco d’invenzione, nel quale “l’elemento rovinistico diventa espediente per presentare il monumento” (così Sartore) si distingue invece per la presenza, all’interno di una delle nicchie, del Pan Capitolino che era molto ammirato da artisti e collezionisti all’inizio del Cinquecento.
Tra gli edifici reali di Roma compare un disegno dell’Arco degli Argentari, che come spesso accade nel corpus del Libro Capponi (ma lo stesso vale per il Codice Barberiniano), ne propone una ricostruzione al completo. Una ricostruzione è anche quella proposta per il portico di Ottavia, mentre il disegnatore si attiene invece a una situazione più verosimile tracciando il prospetto del Teatro di Marcello, che già all’inizio del Cinquecento si presentava in rovina, condizione a cui alludono le erbacce e le crepe sulle superfici. È dunque un’opera interessante per capire come questo importante edificio dell’antica Roma, il teatro dedicato tra il 13 e l’11 a.C. a Marco Claudio Marcello, nipote dell’imperatore Augusto e da questi designato come suo erede (morì però prematuramente): possiamo vedere, per esempio, nella chiave di volta del secondo registro una delle maschere sceniche che erano state poste a decorazione dell’edificio, e che oggi sono scomparse, ma che nel Rinascimento ancora si trovavano al loro posto. Presenti, infine, anche due immagini del Colosseo, in prospetto e in sezione, affiancate: monumento che fu molto studiato da Giuliano da Sangallo, che ci ha lasciato numerosi disegni del Colosseo, nel Libro Capponi è riprodotto in un disegno “di complessa lettura”, spiega Sartore, per il quale “non si possono istituire confronti diretti con le sezioni più antiche nei codici di Giuliano. Manca infatti la raffigurazione del secondo ambulacro del terzo ordine così come non è ricostruito il piano attico dove, senza un coerente uso della prospettiva, sono disegnate soltanto le tre piccole finestre rettangolari. È invece accennato l’effetto di profondità nelle arcate dei corridoi anulari, senza però avere chiara la struttura interna e questo si manifesta nel modo in cui sono rappresentati i piani di spiccato delle volte”. Il disegnatore si premura di nuovo di sottolineare lo stato di rovina dell’antico anfiteatro Flavio, ma al contempo intende anche evidenziare l’imponenza del monumento, attraverso l’inserimento, in uno dei finestroni del terzo livello, di un personaggio che sta effettuando una misurazione col compasso, inserito per ragioni simboliche (data l’importanza del Colosseo) e forse anche per suggerire le proporzioni.
Per quanto riguarda i monumenti di altre città, doveroso segnalare la presenza di un foglio con il prospetto di una parete del Battistero di San Giovanni a Firenze, che all’epoca si riteneva originariamente tempio dedicato a Marte: “La straordinaria antichità del monumento, legato alla mitica fondazione di Firenze”, spiega Sartore, “è funzionale all’ideologia della precoce grandezza della città. Un immaginario civico di cui si trova riscontro nella Nuova Cronica di Giovanni Villani dove il Battistero è considerato un edificio interamente classico e addirittura costruito da maestranze qualificate provenienti da Roma, unico ad essere sopravvissuto alle distruzioni dei Goti e inattaccabile dal trascorrere del tempo”. È questo il clima culturale che consente l’inserimento del Battistero di Firenze in un nucleo di disegni di monumenti antichi. Nel Libro Capponi vediamo rappresentata una parete interna che tuttavia corrisponde parzialmente al vero poiché di fianco alla porta vengono collocati il monumento funebre dell’antipapa Giovanni XXIII di Donatello e Michelozzo (collocato da tutt’altra parte) e a destra un sepolcro di un guerriero (frutto d’invenzione). Compaiono inoltre la pianta del Mausoleo di Teodorico a Ravenna, che sconta però la scarsa conoscenza del monumento da parte del disegnatore (sono infatti presenti alcuni errori d’interpretazione), e una ricostruzione della Porta Palatina di Torino: il disegno conserva la struttura della facciata dell’antico accesso alla città, con le torri laterali, i quattro fornici e gli ordini sovrapposti ai livelli superiori, ma la integra liberamente per immaginarne l’aspetto completo. Anche Giuliano da Sangallo, nel Codice Barberiniano, aveva tentato qualcosa di simile, ma l’architetto aveva compendiato “la notazione rovinistica nella torre di sinistra inserendo addirittura un albero che, con le sue radici, ne compromette la struttura distruggendo i tre archi superiori”, scrive Sartore, mentre “non così si comporta il responsabile del Libro Capponi, il quale lascia integra la torre ma allude a un piano attico in rovina”.
Quanto alla datazione dei fogli, gli studiosi che hanno analizzato il Libro Capponi propendono per assegnarlo al primo quarto del XVI secolo, probabilmente tra il secondo decennio e l’inizio del terzo. Alcuni elementi appaiono determinanti: la presenza, nel foglio con l’arco trionfale, del Pan di cui s’è detto, utilizzato nel 1513 per gli allestimenti di una scenografia per papa Leone X, e poi, nell’altro arco d’invenzione, la presenza di un termine dalle sembianze di sileno che ricorre in uno dei progetti sangalleschi per il completamento della facciata di San Lorenzo a Firenze, databile tra il 1515 e il 1516, e ancora il fatto che entro il gennaio del 1519 Antonio da Sangallo il Giovane e Baldassarre Peruzzi condussero una campagna di rilevamenti al Foro di Nerva di cui l’autore dei fogli del Libro Capponi sembra non tenere conto nel disegnare pianta del complesso.
Non sappiamo cosa ne fu del Libro Capponi dopo il suo completamento. Sappiamo per certo che fu visto, studiato e preso come modello di riferimento dall’architetto Giovanni Antonio Dosio (San Gimignano, 1533 – Caserta, 1611), dal momento che per alcuni suoi disegni contenuti nel Codice Destailleur A è stata riscontrata una piena derivazione dagli schemi del Libro Capponi. Ma probabilmente i fogli finirono anche sul tavolo di lavoro di un altro architetto, Sallustio Peruzzi (Roma, 1511-1512 - Austria, 1572), sulla base di ulteriori riscontri. L’argomento della circolazione del Libro Capponi è stato però appena lambito ed è probabile che nuove informazioni verranno acquisite in futuro: lo studio di questo corpus di disegni è appena cominciato. Allo stesso modo, ulteriori conoscenze arriveranno da studi più approfonditi degli inserti decorativi che si trovano nei prospetti, dal momento che alcuni appaiono di qualità molto alta: questo aspetto del Libro Capponi è stato, per il momento, deliberatamente tralasciato. Rimangono dunque diverse questioni aperte che apriranno nuovi fronti di ricerca nei tempi a venire. E questo è sicuramente uno degli aspetti più interessanti che un’autentica e importante scoperta sempre comporta.
Le origini della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze vanno rintracciate nella biblioteca privata del letterato e bibliofilo Antonio Magliabechi, che nel 1714 lascia la sua raccolta costituita da circa 30.000 volumi, per lascito testamentario “a beneficio universale della città di Firenze”. Nel 1737 la città prende possesso della Libreria e la consegna al bibliotecario: l’atto sancisce la nascita della “Biblioteca Pubblica di Firenze”, dove per decreto deve venire depositato un esemplare di tutte le opere che si sarebbero stampate a Firenze e, dal 1743, in tutto il Granducato di Toscana. Nel 1747 la Biblioteca Pubblica (che veniva chiamata comunemente anche “Magliabechiana”) fu aperta al pubblico. L’istituto si arricchì ulteriormente di numerose raccolte e fu poi nel 1861, dopo l’Unità d’Italia, unita alla Biblioteca Palatina (ovvero la biblioteca dei Lorena). Fu allora che assunse il nome di Bibliografia Nazionale, mentre nel 1885 ottenne anche l’appellativo di Centrale. Dal 1870 la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze riceve, per diritto di stampa, una copia di tutto quello che viene pubblicato in Italia. Originariamente ospitata nel complesso degli Uffizi, dal 1935 si trova nell’attuale sede, il palazzo appositamente costruito dal 1911 su progetto dell’architetto Cesare Bazzani, raro esempio di edilizia bibliotecaria che fa parte dell’area monumentale del complesso di Santa Croce.
La Biblioteca Nazionale Centrale possiede una raccolta notevole: quasi sette milioni di volumi a stampa, 24.991 manoscritti, 3.716 incunaboli, un milione di autografi (basti pensare che al 2013 le scaffalature coprivano una distanza di 135 km lineari). Cospicua la raccolta di manoscritti: il Fondo Nazionale ne include 3971, inclusa parte dei manoscritti della vecchia sezione magliabechiana, e manoscritti provenienti dalle soppressioni conventuali, e con manoscritti di acquisto o dono, fino al 1905. La Raccolta Palatina include invece 3102 manoscritti suddivisi nei fondi Autografi Palatini, Baldovinetti, Bandinelli, Vincenzo Capponi, Del Furia, Galilei, Gonnelli, Gräberg, Palatino, Panciatichi, De Sinner, Targioni-Tozzetti. Ancora, diversi manoscritti provengono dai conventi soppressi, mentre altri si trovano nel Banco Rari, nel Fondo Gino Capponi, nel Fondo Foscoliani, nel Fondo Ginori Conti, nel Fondo Cappugi.
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