Il 15 marzo del 1562 nasceva ufficialmente l’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano: quel giorno, l’arcivescovo Giorgio Cornaro, nunzio in Toscana, per conto di papa Pio IV vestiva Cosimo I dei Medici, allora duca di Firenze e di Siena, con l’abito di Gran Maestro dell’Ordine, in una cerimonia fastosa tenutasi a Pisa alla presenza dei più importanti rappresentanti dello Stato. L’istituzione ebbe un ruolo di primissimo piano nelle vicende del Granducato Toscano lungo tutta la sua esistenza, e lasciò un’impronta ancora oggi riconoscibile nel tessuto urbanistico di diverse città in cui l’ordine cavalleresco aveva le proprie sedi operative, tra cui Pisa, Livorno e l’Isola d’Elba.
Le motivazioni che concorsero alla sua formazione sono in parte dichiarate nell’atto costitutivo, come “la lode e la gloria di Dio e la difesa della fede cattolica e la custodia e la protezione del Mare Mediterraneo”. Ma con buona probabilità, a queste se ne aggiungevano altre di ordine politico e di coronamento di ambizioni del signore toscano.
Va infatti notato come la funzione principale dell’Ordine, ovvero quella di combattere per mare turchi e barbareschi, fosse già assicurata da alcuni decenni dalla marina di Stato, che fin dal 1547 fece prendere il largo alla prima galea costruita a Pisa e nota per l’appunto come la Pisana. La marina in quegli anni aveva preso parte ad alcune note imprese e nel tempo aveva visto l’aumento di mezzi e di uomini, ma ciò non aveva impedito anche di incassare alcune cocenti sconfitte. È il caso del 1554, allorché il capitano della flotta, Jacopo d’Appiano, che avrebbe dovuto fermare lo sbarco dell’esercito francese sulle coste del Mar Tirreno, si era rifiutato di ingaggiare il combattimento con un nemico di eguali forze. E certo questo non è l’unico caso in cui la marina si era distinta per magre figure, e aveva avuto più volte maniera di dimostrare l’inesperienza dei suoi uomini nelle lotte contro i mussulmani, ad esempio facendo massacrare il suo equipaggio all’Isola di Gerba, dove le navi si erano fermate per rifornirsi, lasciando sbarcare i soldati senza precauzioni, o quando tre galee, tra cui la Capitana, che però fu l’unica a salvarsi, scappando nei pressi di Giannutri da imbarcazioni algerine, finirono per sfracellarsi contro le coste.
Cosimo I non voleva però abbandonare i suoi sogni egemonici sul mare, e forse per questo pensò di dar vita a un nuovo inizio, con una milizia selezionata e ufficiali finalmente addestrati e non raccogliticci. È stato già efficacemente segnalato, da studiosi come Furio Diaz e Cesare Ciano, che la disponibilità di una flotta era spendibile nell’equilibrio difficile con le potenze europee, potendo offrirne i servigi su richiesta, ad esempio al re di Spagna che ne necessitava per i suoi diversi impegni. L’autonomia dell’Ordine che batteva la propria bandiera poteva inoltre assicurare un minor coinvolgimento dello Stato toscano, quando lo stesso si rendeva protagonista o partecipe di azioni discutibili. Peraltro, il vessillo della difesa della fede poteva garantire prestigio e vantaggi militari e mercantili, e non di meno, ingraziarsi l’approvazione del papa. Difatti, nel 1569, quando lo Stato toscano mise a disposizione la flotta dell’Ordine a servizio della Lega Santa, Cosimo I ottenne il titolo di Granduca di Toscana, tramite una bolla papale emanata da Paolo IV. Va infine evidenziato che l’Ordine si presentava come un’istituzione nobiliare strettamente dipendente dal Principe e dalla sua dinastia, permettendo di stringere l’aristocrazia toscana in un patto di fedeltà con il sovrano.
L’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano nasceva su modello del Sovrano Ordine di Malta, ma se ne discostava nella relativa autonomia, che vedeva infatti il ruolo di Gran Maestro ricoperto proprio dagli stessi regnanti. L’Ordine seppe subito conquistare un notevole prestigio, sia nel numero degli ordinati quanto nell’accumulazione del patrimonio. Se alla fondazione erano sessanta i Cavalieri a comporlo, di cui la metà toscani, al primo decennio del XVII secolo avevano preso le insegne di Santo Stefano poco meno di 1.400 uomini, di cui la maggior parte proveniva da altri Stati. E se inizialmente l’istituzione si sosteneva sulla munificenza granducale, in seguito diventò più indipendente anche a livello economico attraverso le rendite di vari possedimenti ottenuti tramite donazioni.
Praticamente fin dall’inizio della loro storia i Cavalieri di Santo Stefano ebbero la propria sede a Pisa nella piazza che proprio dall’Ordine prende il suo nome, piazza dei Cavalieri, ripensata su progetto di Giorgio Vasari. Qui sorgeva il Palazzo della Carovana, dove gli appartenenti all’Ordine risiedevano e si formavano attraverso un duro addestramento che prevedeva un periodo a terra mirato alla pratica delle arti liberali, religiose e militari, e uno direttamente sulle galee; a fianco alla residenza si trova la chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri, dove ancora oggi si custodiscono oltre a grandi capolavori del Bronzino, Vasari, Cigoli e molti altri, anche numerosi trofei di guerra come insegne e bandiere strappate dalle imbarcazioni islamiche. Mentre altra nodale sede delle loro operatività era il porto di Livorno, dove stazionavano le navi dell’Ordine.
Nel corso della loro plurisecolare storia i Cavalieri presero parte a numerose imprese: la prima uscita in mare fu nel 1563 per partecipare insieme alla flotta spagnola alla spedizione in soccorso della fortezza di Orano, cinta d’assedio dalle navi del temutissimo ammiraglio e corsaro turco Dragut. Al ritorno, una delle galee, la Lupa, rimasta isolata, fu attaccata da due galeotte mussulmane, e nello scontro perirono diversi cavalieri e la nave fu infine catturata. Benché la riuscita fosse fallimentare, l’onore dei militari toscani e del loro sangue versato fu invece salvo.
I Cavalieri presero parte al contingente di soccorso organizzato dal re di Spagna nell’epica battaglia che si consumò nella fortezza di Sant’Elmo a La Valletta, dove l’Ordine di Malta resistette per mesi, eroicamente, all’assedio della flotta algerina del Dragut, che morì proprio in quello scontro. Continui furono i combattimenti per mare dei cavalieri, e si ricorda anche con una certa agiografia il conflitto navale tra l’Ordine guidato da Jacopo d’Appiano e il famigerato corsaro Caraccialì (o Carg-Alì), in uno scontro che secondo la tradizione durò ben sette ore, e vide poi gli islamici battere in ritirata, lasciando due navi in mano toscana, con trecentodieci prigionieri, e duecentoventi cristiani, precedentemente rapiti, così riscattati.
Anche in quella che viene celebrata come la più importante vittoria navale guidata dagli eserciti cattolici contro i mussulmani, la battaglia di Lepanto combattuta il 7 ottobre 1571, partecipò lo Stato toscano fornendo dodici delle duecento galee coinvolte, con a bordo oltre cento Cavalieri di Santo Stefano. Le navi seppero farsi un discreto onore, impegnandosi per la maggior parte in manovre e catture di grande rilevanza, tra cui la riconquista di una nave, l’ex Capitana pontificia, precedentemente sottratta dai mussulmani.
Dopo la storica vittoria, che ridimensionò la potenza turca sul mare, le galere stefaniane furono impegnate soprattutto in una ferocissima guerra di corsa contro i legni mussulmani e barbareschi. In breve, la flotta toscana si fece una fama di rapace predatore, che non disdegnava per la verità, anche l’attacco a navi e mercanti protetti dalla Serenissima di Venezia. Ma l’elenco delle imprese è ancora lunghissimo: nel 1605 ad esempio, l’ammiraglio Iacopo Inghirami si distinse per una notevole azione, guidando cinque galee all’assalto della fortezza di Prevesa nel Mar Ionio, che attaccata di sorpresa nella notte fu vinta e distrutta, con in premio un considerevole bottino di beni e di schiavi. La fortuna invece non arrise l’Inghirami due anni dopo nel tentativo di riconquista di Famagosta, ma quello stesso anno poté invece celebrare la conquista di Bona, sulle coste nordafricane. Tale azione, celebrata da tutta la cristianità, valse al Granducato toscano un gran numero di schiavi catturati, tra i 1.500 e i 2.000, e il bronzo ottenuto da cospicui pezzi di artiglieria, con cui fu fusa la statua di Ferdinando I in Piazza della Santissima Annunziata a Firenze e i Quattro Mori del celebre monumento livornese. A quelle date, anche Vanni d’Appiano d’Aragona partecipò a un’operazione durante la quale si impadronì di tre brigantini tunisini, a bordo dei quali fu rinvenuta l’immagina sacra della Madonna del Carmine, oggetto di una precedente ruberia, a lungo riveritissima e ancora oggi custodita nella chiesa della Madonna di Livorno.
Da poco prima della metà del XVII secolo però la guerra di corsa fu sempre più invisa dallo stato dirigente toscano, che vedeva in essa un impedimento per sviluppare traffici commerciali con l’oriente. Negli anni successivi, infatti, queste spedizioni si ridussero, e la marina fu soprattutto impegnata nello scortare prodotti commerciali e personalità di rilievo, oltre che per il consueto ruolo di vigilanza e pattuglia lungo le coste tirreniche. Il secolo successivo vedrà gli ultimi scontri per mare, che si chiusero nel 1719, con la cattura di tre vascelli barbareschi al largo della Sardegna.
Con il tramonto di casa Medici si concluse la straordinaria stagione per mare dell’Ordine, tanto che nel 1744 il comandante stefaniano Ugo Azzi si raccomandava di far navigare almeno una galea, affinché gli equipaggi non dimenticassero tale pratica: “li uffiziali e le marine si avviliscono, li schiavi divengono fiacchi alla pratica del remo e l’altra ciurma si illanguidisce”.
Infatti, dal 1747, sotto la dinastia dei Lorena, il Granducato firmò trattati di pace con le città nordafricane, facendo venire meno la storica funzione dei Cavalieri di Santo Stefano. Da lì l’Ordine venne più volte riorganizzato, in particolare con le riforme di Pietro Leopoldo, perdendo sempre più la sua funzione di combattimento per mare, ma divenendo efficace strumento per la formazione della classe dirigente dello stato toscano. E tra alti e bassi l’istituzione continuò a sussistere anche dopo gli anni dell’occupazione francese, continuando però ad alimentare dubbi sulla sua utilità.
L’Ordine esautorato da tutti i suoi principali scopi rischiò di essere nuovamente soppresso con l’unificazione della Toscana al Regno di Sardegna, ma ciò valse solo sull’alienazione dei suoi beni patrimoniali, in quanto essendo ordine religioso fondato “in perpetuo” con bolla papale, poteva essere disgregato solo a discrezione del pontefice, e per tale motivo è ancora oggi esistente, e la sua memoria è tenuta viva dall’Istituzione dei Cavalieri di Santo Stefano, ente morale operante a Pisa, che promuove attività di pubblicazione e di studio.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Jacopo Suggi
Nato a Livorno nel 1989, dopo gli studi in storia dell'arte prima a Pisa e poi a Bologna ho avuto svariate esperienze in musei e mostre, dall'arte contemporanea, alle grandi tele di Fattori, passando per le stampe giapponesi e toccando fossili e minerali, cercando sempre la maniera migliore di comunicare il nostro straordinario patrimonio.