La Sant’Agata del Correggio (Antonio Allegri, Correggio, 1489 circa - 1534) è una ragazza dai lineamenti dolcissimi, pensierosa, densa d’umanità: poco più che una bambina, con le guance leggermente arrossate, e coi capelli castani raccolti all’indietro, con la luce tenue che indugia su qualche ciocca. Una fanciulla che, forte della sua fede e quindi delle proprie convinzioni, non prova alcun dolore nel guardare il suo seno reciso, sul piattino d’argento che reca tra le mani, con le dita leggiadre e affusolate che lo avvicinano agli occhi. Nessun moto di timore, né alcun segno visibile di sofferenza: al contrario, lo sguardo è pacato e sereno, dacché la giovanissima martire sa bene quale sia la ricompensa che l’attende. Una ricompensa che è già preannunciata dalla palma che vediamo appoggiata sul piattino: associata a tutti i martiri cristiani, la palma, secondo un’antica credenza orientale, si pensava morisse una volta sparsi i suoi semi. Un sacrificio, insomma: lo stesso cui il martire cristiano s’offre per testimoniare la sua fede (e “testimone” è il significato della parola martys in greco). Ma in antico le palme si concedevano anche in premio ai vincitori delle competizioni atletiche: e in tal senso, i martiri sono vincitori perché, sosteneva san Massimo di Torino nei suoi Sermoni, “essere giunti alla grazia del Vangelo è aver vinto”.
Secondo la tradizione agiografica, sant’Agata avrebbe subito il suo martirio che aveva appena sedici anni: nata nel 235 a Catania da una famiglia nobile e di fede cristiana, all’età di quindici anni si sarebbe totalmente votata a Dio, ma avrebbe al contempo ricevuto le morbose attenzioni del proconsole della città, Quinziano. Per poterla avere, il proconsole avrebbe fatto valere contro di lei l’editto dell’imperatore Decio che ordinava a tutti i cittadini romani di offrire pubblicamente un sacrificio agli dèi pagani: chi compiva i sacrificî, riceveva un certificato, e chi si rifiutava era arrestato e condannato a morte per empietà. Fatta arrestare sant’Agata e condotta nel Palazzo Pretorio, Quinziano avrebbe provato a sedurre la fanciulla, ottenendo però in cambio un secco rifiuto: infuriato, il proconsole avrebbe ordinato di torturare la giovane vergine, e soprattutto di strapparle il seno con un paio di grosse tenaglie. Miracolosamente guarita da san Pietro apparsole durante la notte del supplizio, sarebbe stata in seguito condannata a essere bruciata sui carboni ardenti. Le agiografie riportano che, mentre Agata era già avvolta dalle fiamme, un violento terremoto scosse Catania, facendo crollare il Palazzo Pretorio e salvando la giovane: il popolo catanese, colpito dalla vicenda, avrebbe protestato contro le torture inflitte alla povera Agata. Quinziano avrebbe dunque deciso d’incarcerarla, ma la ragazza, agonizzante, sarebbe morta poche ore dopo il suo imprigionamento. Il suo flammarium, il velo rosso che la identificava come vergine consacrata, sarebbe rimasto intatto, e fu dunque venerato come una reliquia dai catanesi. Sant’Agata è oggi la patrona di Catania (ogni anno si tiene in suo onore una partecipatissima processione nella città siciliana), oltre che una dei tre santi patroni della Repubblica di San Marino, e in virtù del tipo di martirio subito è inoltre la santa protettrice delle donne affette da patologie del seno: ma in generale è molto diffuso il suo culto, dacché sant’Agata, per la sua vicenda, è una delle eroine cristiane più legate al mondo femminile.
E la sant’Agata del Correggio è, effettivamente, una giovane che dimostra l’età della santa al tempo del martirio, ed è bellissima, d’una bellezza che trasuda amore, viva partecipazione, empatia col soggetto e con la modella, tanto che, poco dopo il suo ritrovamento, Dario Fo ha ipotizzato che la sant’Agata potrebbe essere un ritratto della giovane (e stupenda, almeno secondo la tradizione) moglie del pittore, Jeronima (o Girolama) Merlini. Nata nel 1503, e pertanto d’una quindicina d’anni più giovane del marito, Jeronima era figlia d’un uomo d’arme di nome Bartolomeo, scomparso proprio nello stesso 1503 mentre combatteva per il marchese di Mantova, Francesco II Gonzaga. Sposò Antonio Allegri nel 1519 e gli diede quattro figli: Pomponio, che seguì le orme del padre divenendo anch’egli pittore, Francesca Letizia, Caterina Lucrezia e Anna Geria. Scomparve prematuramente, soltanto ventiseienne, nel 1529.
Antonio Allegri detto il Correggio, Sant’Agata (1525-1528; olio su tavola, 29 x 34 cm; collezione privata) |
Allestimento della Sant’Agata in occasione della mostra Il Correggio ritrovato a Correggio |
L’ipotesi di Dario Fo è certo romantica e sicuramente sprona le fantasie del riguardante, ma ovviamente è del tutto priva di riscontri e difficile, se non impossibile, da provare. C’è però da dire che il grande scrittore e drammaturgo (che negli ultimi anni della sua carriera, com’è noto, si diede anche alla divulgazione storico-artistica) non è stato il solo a ritenere che la moglie del Correggio fosse anche modella dei suoi dipinti, anche se occorre sottolineare che ipotesi simili sono sì affascinanti, ma al momento destituite d’ogni fondamento e non rappresentano un interesse rilevante per gli studî storico-artistici. Sono, del resto, supposizioni che pertengono più al mondo delle lettere che a quello della ricerca scientifica: oltre a Fo, per esempio, assertore dell’ipotesi di Girolama come modella di Antonio era uno dei più grandi scrittori francesi di fine Ottocento, Édouard Schuré (Strasburgo, 1841 - Parigi, 1929), che nel 1900 pubblicò un saggio biografico sull’artista emiliano, nel quale era incluso un capitolo, intitolato Le Corrège et le génie de l’amour, nel quale si sosteneva l’ipotesi sulla base del fatto che, dopo il matrimonio nel 1519, il Correggio avrebbe intensificato la produzione di Madonne, e risultavano più o meno tutte avere le stesse fattezze e gli stessi connotati. Ciò bastava a Schuré per ritenere probabile la presenza di un’unica modella, e per di più d’una modella che gli fosse particolarmente familiare. Addirittura, all’inizio del secolo XIX, la relazione tra il Correggio e la sua sposa fu oggetto d’una tragedia, intitolata Correggio, e scritta dal drammaturgo danese Adam Gottlob Oehlenschläger (Frederiksberg, 1779 - Copenaghen, 1850), ispiratagli da una visita a casa dell’amico Bertel Thorvaldsen (Copenaghen, 1770 - 1844), il grande scultore rivale di Canova. Nella tragedia, scritta nel 1809, Oehlenschläger ha seguito il racconto vasariano della morte del pittore, che sarebbe scomparso nel 1534, a causa di una grave insolazione che lo avrebbe colpito mentre si recava da Parma a Correggio con un sacco di monete ricevute come pagamento per un’opera: nel dramma, la moglie (che viene chiamata “Maria” da Oehlenschläger) riesce tuttavia a raggiungerlo nel tragitto e convoca un frate per impartire all’artista l’estrema unzione. Il finale della tragedia di Oehlenschläger avrebbe peraltro ispirato un pittore danese del tempo, Albert Küchler (Copenaghen, 1802 - Roma, 1886), che nel 1834 dipinse un’opera raffigurante proprio la morte del Correggio.
Il Correggio di Adam Oehlenschläger |
Albert Küchler, La morte del Correggio (1834; olio su tela, 83,7 x 74,5 cm; Copenaghen, Thorvaldsens Museum) |
Al di là delle suggestioni teatrali e letterarie, dai raffronti stilistici è comunque ipotizzabile che la sant’Agata si possa collocare in un periodo compreso tra il 1525 e il 1530: ne è convinto Giuseppe Adani, studioso del Correggio fermamente convinto dell’attribuzione alla santa alla mano del pittore emiliano, sulla doppia base dei confronti con le altre opere dell’artista, e dei risultati delle analisi tecniche. “L’esecuzione allegriana”, ha scritto Adani, “si colloca nel secondo lustro degli anni venti del Cinquecento, quando il pittore, nel pieno della propria geniale maturità, pone mano ad alcuni soggetti di vibrante partecipazione come l’Adorazione degli Uffizi, lo Sposalizio mistico di santa Caterina del Louvre, la Santa Caterina di Hampton Court, ed altre visioni femminili nelle quali ritroviamo i caratteri fisionomici identici a quelli della Sant’Agata. Si potrebbe dire che la piccola tavola [...] sia stata, come una prima prova, il modello di un volto caramente avvicinato dal maestro e poi felicemente trasposto in lavori importanti”. In effetti non sappiamo per chi l’artista avessse dipinto l’opera, né in quali circostanze sia stata realizzata, e ovviamente non conosciamo con certezza l’anno d’esecuzione: dato il formato, è però possibile pensare che si fosse trattato d’uno studio per un’opera di più ampio respiro.
Quanto alle analisi dei tecnici, occorre premettere che alcuni dei dati più rilevanti sono emersi nel 2004, all’indomani del restauro della tavoletta compiuto a Milano da Pinin Brambilla Barcilon, la celebre restauratrice che s’è occupata di capolavori come gli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, quelli di Masolino da Panicale a Castiglione Olona, ma ch’è famosa in tutto il mondo soprattutto per il suo lungo restauro dell’Ultima cena che Leonardo da Vinci ha lasciato nel convento di Santa Maria delle Grazie nel capoluogo lombardo: un intervento impegnativo, durato dal 1978 al 1999. L’analisi di Brambilla Barcilon è una delle più interessanti e complete sulla Sant’Agata: la restauratrice ha rilevato come il dipinto avesse sofferto a causa d’un intervento antico sul supporto, eseguito per consolidarlo ma risultato nell’accentuazione di due fenditure verticali, ma anche come “le variazioni tonali e i chiaroscuri sono ottenuti attraverso una sovrapposizione di sottili velature trasparenti secondo le tradizionali tecniche pittoriche” e che “il volto e la capigliatura della donna sono caratterizzati da una esecuzione estremamente minuziosa e raffinata”. Il restauro del 2004 ha riguardato intanto il supporto: ne è stato regolarizzato lo spessore e si è intervenuti per consentire il movimento del legno rispetto ai cambiamenti dell’umidità. Sulla superficie è stata invece eseguita un’accurata pulitura: è stata rimossa la vernice ingiallita, e lo stesso dicasi per la patina sottostante e per il particellato atmosferico. Infine, la restauratrice ha proceduto con alcune lievi integrazioni e una sottile verniciatura onde dare maggior compattezza e lucentezza alle cromie.
Nella stessa occasione, sul dipinto è stata eseguita una radiografia che ha rivelato la presenza d’alcune figure facenti parte d’una Crocifissione. Ulteriori analisi sono state condotte tra il 2016 e il 2017 nei laboratori dei Musei Vaticani: in quest’occasione, il restauratore Claudio Rossi de Gasperis ha analizzato i pigmenti, confrontandoli con quelli di altre quattro opere del Correggio, e ha potuto confermare l’autografia anche su base tecnica. “Quanto osservato e descritto”, dichiarava Rossi de Gasperis nei risultati delle analisi, una relazione di nove pagine intitolata Indagini sulle preparazioni colorate del Correggio, “non può che convalidare l’ipotesi della attribuzione del dipinto della Sant’Agata dell’Allegri. Il fatto che l’opera sia stata realizzata con le medesime preparazioni colorate, riscontrate nei quattro dipinti correggeschi del confronto, qui analizzati, lo conferma. Inoltre tali preparazioni indicano uno studio profondo e sofisticato sui differenti effetti trasmessi alla superficie cromatica, per cui possiamo dedurne che Allegri abbia ottenuto, con attente cure, quelle meravigliose atmosfere e quegli incarnati che tanto lo caratterizzano. Si può altresì aggiungere che giammai un copista, pur bravo, abbia potuto cogliere tali raffinati accorgimenti, né avere quella libertà e sicurezza necessarie a distendere il colore e, attraverso i diversi spessori delle sue pennellate, a creare quei particolari accenti chiaroscurali che appartengono solo ad un grande artista”. Queste conclusioni sono state poi confermate da altre analisi, eseguite nel 2017 dallo studio M.I.D.A. dell’ingegner Claudio Falcucci.
Antonio Allegri detto il Correggio, Madonna in adorazione del Bambino (1525-1526; olio su tela, 82 x 68,5 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi) |
Antonio Allegri detto il Correggio, Sposalizio mistico di santa Caterina (1526-1527; olio su tela, 105 x 102 cm; Parigi, Louvre) |
Antonio Allegri detto il Correggio, Santa Caterina che legge (1530 circa; olio su tela, 64,5 x 52,5 cm; Hampton Court, The Royal Collection) |
L’esistenza della Sant’Agata del Correggio non è comunque scoperta recente. La prima menzione di un’opera del Correggio raffigurante la santa catanese risale al 1866 ed è un passaggio in un’opera di letteratura di viaggio: una Escursione artistica per Sinigaglia di Alfredo Margutti, pubblicata a Firenze nel 1866, la cita come opera del Correggio e consiglia al lettore di recarsi ad ammirarla presso l’abitazione della vedova del chirurgo Angelo Zotti (Imola, 1833 - Senigallia, 1884), un medico talmente abile che, a Senigallia, la sua figura è diventata letteralmente proverbiale. Zotti fu chirurgo comprimario di Senigallia dal 1866, ruolo che ricoprì fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1884: i documenti riportano che una delle sue operazioni salvò la vita a un gentiluomo inglese che soggiornava nella cittadina marchigiana, e il paziente, per ringraziare Zotti, gli avrebbe regalato la Sant’Agata. Non è però dato sapere come l’opera fosse giunta in Inghilterra: probabilmente fu acquistata sul mercato antiquario italiano, forse nel Settecento, da un viaggiatore inglese, ma la storia precedente del dipinto al momento non è nota (“una prospezione sui registri delle collezioni private inglesi, molto numerose nei secoli XVIII e XIX”, ha scritto Giuseppe Adani, “potrebbe dare luce” all’argomento). Attraverso alcuni passaggi ereditarî, l’opera è giunta, durante il Novecento, nella raccolta di due sorelle marchigiane con residenza a Roma e Fano (ed è nella loro collezione che Dario Fo vide il dipinto, segnalandolo a Pinin Brambilla: la restauratrice, a sua volta, lo pubblicò nel volume Correggio che dipingeva appeso in cielo pubblicato da Panini nel 2010).
I più recenti capitoli della storia della Sant’Agata sono le due mostre che, nel 2018, l’hanno portata all’attenzione del pubblico. La prima si è tenuta proprio a Senigallia (in virtù del summenzionato legame tra la città e l’opera), al Palazzetto Baviera, dal 15 marzo al 2 settembre. La seconda ha invece riportato la santa “a casa”: si tratta della mostra Il Correggio ritrovato, allestita presso il Museo Civico “Il Correggio”, nella città natale di Antonio Allegri, dal 22 settembre 2018 al 17 marzo 2019. Il pubblico ha così avuto modo d’osservare da vicino quella “poesia d’incanto spirituale fatto pittura”, “perla dell’anima resa visibile dal velico pennello di Antonio da Correggio” (così Giuseppe Adani) che l’associazione degli Amici del Correggio ha finalmente fatto arrivare nella cittadina emiliana.
Bibliografia di riferimento
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo